Sono state inventate ancora prima del denaro.
Sembra incredibile ma è proprio così. Com’è possibile?
Ecco la storia delle imposte, a volte davvero bizzarre, dalle origini a oggi…
1. Fisco crudele nell’antico Egitto e l'evasione nell'antica Roma
La pressione fiscale nel nostro Paese è tra le più alte d’Europa ( 42,1% nel 2019). L’unica consolazione?
Pensare che paghiamo le tasse da una vita, prima ancora dell’arrivo del denaro!
Da più di 5mila anni chi è al potere inventa mezzi per “spremere” i produttori di ricchezza nella comunità.
Alcune tavolette d’argilla risalenti a 3mila anni prima di Cristo ci informano che i governanti di diverse città della Mesopotamia avevano provveduto a tassare i raccolti, il pascolo delle bestie e i prodotti dell’allevamento, il trasporto delle merci, la pesca nei fiumi e i funerali.
Poiché all’epoca il denaro non esisteva ancora, si pagava in natura, cioè in prodotti agricoli, in bestiame o in prestazioni d’opera (per esempio si scavavano canali o si coltivavano i campi dei potenti). S
pesso si pagava anche con la vita: contadini, artigiani e commercianti potevano essere obbligati a prestare una specie di servizio militare; partivano per la guerra, senza sapere se sarebbero mai tornati a casa.
Nella patria dei faraoni, la maggior parte delle terre agricole era di proprietà dello stato e veniva data in affitto a contadini che erano soggetti all’imposta sul raccolto, calcolata non sulla produzione reale ma su quella presunta.
Gli esattori al servizio del faraone, infatti, controllavano i “Nilòmetri”, i pozzi artesiani che erano stati scavati in punti strategici lungo il Nilo e che consentivano di calcolare sia la portata del fiume sia la misura delle sue benefiche piene.
Più alto era il livello dell’acqua nella scala idrometrica del pozzo, maggiore la quantità di limo che si sarebbe river- sato sui campi e più alta era l’imposta sul raccolto decisa in anticipo.
Scellerata fu anche la politica fiscale del tardo impero romano, dal III secolo d.C. in poi: la burocrazia assunse col tempo dimensioni enormi e i suoi costi gravarono sui contribuenti. I nostri avi in parte si dissanguarono, in parte evasero le tasse.
A detta di molti studiosi, quest’evasione fiscale endemica rese Roma più fragile e disarmata dinanzi agli assalti di barbari e invasori. Evasori e “furbetti”, dunque, esistono da migliaia di anni.
In una tavoletta incisa a caratteri cuneiformi e risalente al 1.900 a.C., un commerciante assiro scrive ai suoi sottoposti: «Il figlio di Irra ha spedito merci di contrabbando al mercante Pushuken, ma i beni sono stati intercettati e sequestrati e Pushuken è finito in galera. Per favore, evitate di contrabbandare altre merci: le guardie sono ovunque!».
2. Le prime proteste
Anche i lamenti contro le imposte esistono da millenni. Asserisce una tavoletta cuneiforme di Lagash, antica città sumera e poi babilonese, oggi in Iraq: «Puoi avere un padrone, puoi avere un re, ma l’uomo che devi temere di più è l’esattore delle tasse».
Nel Tao Te Ching, testo cinese sul taoismo che ha oltre 2250 anni, si legge: «Il popolo è affamato perché quelli che sono al potere si mangiano troppa ricchezza con le tasse».
Le popolazioni vessate dalle imposte si sono sempre lamentate, ma qualche volta hanno fatto anche di più.
Quella che nel 1773 era iniziata come una semplice protesta fiscale contro i balzelli imposti dalla Gran Bretagna su alcune merci, tra cui il tè, ben presto si è trasformata in una rivoluzione: parliamo di quella americana, terminata con la nascita degli Stati Uniti d’America (1783).
La protesta contro l’ingiustizia e i privilegi del sistema fiscale non furono estranei neppure alla Rivoluzione francese nel 1789; infine, la campagna del Mahatma Gandhi (foto sopra a sinistra) per l’indipendenza dell’India dalla Gran Bretagna (1947) cominciò con una protesta fiscale contro varie imposte, tra cui quella sul sale, ed esplose con la celebre e non violenta “marcia del sale” del 1930.
A giudizio di Charles Adams, esperto di diritto tributario e storico americano, autore di For Good and Evil. L’influsso della tassazione sulla storia dell’umanità (Liberilibri), l’eccessiva pressione fiscale ha sempre condotto a tre reazioni distruttive: fenomeni di schiavitù, evasione o fuga all’estero, atti di ribellione.
Caratterizzata da discriminazioni, esenzioni e privilegi, costituisce sempre un fattore destabilizzante e implica disgregazione politica, economica e sociale; e ciò è tanto più vero quando l’eccesso di tassazione è la conseguenza di uno sperpero di denaro pubblico da parte di chi governa.
Ciò, sottolinea Adams, conduce inevitabilmente all’evasione fiscale e, spesso, alla rivolta.
3. Da dove deriva la parola fisco e la differenza tra tributi, tasse e imposte
Con la parola fisco s’intende in genere l’attività dello stato legata all’imposizione e alla riscossione di imposte, tasse e tributi.
In particolare, si indicano sia il complesso di leggi e norme dello stato che stabiliscono quali e quante imposte dobbiamo pagare (e come, dove e quando pagarle), sia l’agenzia pubblica incaricata di gestire le entrate dello stato.
Il termine italiano deriva dal latino fiscum che anticamente designava il cesto di vimini in cui si conservava il denaro necessario a pagare i tributi.
Con il tempo, fiscum passò a indicare la cassa dell’imperatore, distinta da quella del popolo, detta erario (aerarium publicum) e conservata nel tempio di Saturno, nel Foro di Roma.
Nel linguaggio comune i termini tributi, tasse e imposte sono utilizzati come sinonimi, ma in termini fiscali e legali esiste una differenza. Tributi è il termine generico, indica le prestazioni in denaro che i cittadini devono allo Stato e agli enti pubblici.
Le tasse sono i tributi che versiamo a fronte di un servizio pubblico: quella che paghiamo per lo smaltimento dei rifiuti, per esempio, è una tassa propriamente detta; sono tasse anche quelle scolastiche e universitarie, quelle aeroportuali o quello che dobbiamo pagare per l’occupazione di spazi e aree pubbliche.
Le imposte, invece, sono tributi dovuti allo stato e non sono collegate ad alcun servizio. L’Irpef che ogni cittadino paga sul reddito percepito e l’Imu (o le sue versioni più recenti) che paga in quanto proprietario di un immobile sono imposte, non tasse.
Tecnicamente le imposte si distinguono in dirette e indirette: le prime colpiscono il reddito e il patrimonio (Irpef, Irap, Ires, Imu, ecc.), mentre le seconde gravano sui beni di consumo (IVA, accise sulla benzina, ecc.) o sui trasferimenti (imposta di registro).
4. Storia delle tasse più incredibili
In cinquemila anni di storia s’è tassato di tutto e di più, con un’inventiva a dir poco sorprendente.
- La tassa sulla pipì
69 d. C.: giunto sul trono, l’imperatore Vespasiano varò nuovi tributi per risanare le finanze dell’impero, e fra questi c’era un’imposta sui servizi igienici, i cosiddetti “vespasiani”, e sulla pipì che vi veniva raccolta.
Bisogna sapere che nella Roma dell’epoca solo le grandi ville dei ricchi erano dotate di latrine: la maggior parte delle abitazioni ne era priva e i cittadini dovevano recarsi in una delle 144 latrine pubbliche o in quelle gestite dai privati.
Questi cercavano di accrescere i propri guadagni raccogliendo l’urina e vendendola ai conciatori di pelli (che ne ricavavano l’ammoniaca necessaria alla concia). Vespasiano impose ai gestori di latrine private il pagamento di un’imposta (detta centesima venalium) che nel giro di poco tempo si rivelò una vera manna per le casse imperiali.
Rimproverato dal figlio Tito per il fatto di ricavare denaro dalla pipì, l’imperatore prese un mucchio di monete d’oro provenienti dall’imposta e le mise sotto il naso del figlio, esclamando: «Pecunia non olet (Il denaro non puzza)».
Memori di tasse come questa, al tempo della nascita del Regno d’Italia (1861), i cantastorie siciliani cantavano a squarciagola: «Guvernu italianu ti ringraziu/ ca ppi pisciari non si paga daziu».
- La tassa su fumo e fuoco
802- 811: furono gli anni in cui regnò l’imperatore bizantino Niceforo I il quale introdusse un’imposta detta kapnikon che gravava sul fumo di ogni focolare domestico: la dovevano pagare tutti, ricchi e poveri.
1263: noi italiani non siamo stati da meno: il Regno di Napoli introdusse il primo focatico o fuocatico, l’imposta sul focolare che, sotto diverso nome, sopravvisse sino al 1923.
1342: fu la volta della Francia. Il re Filippo VI (foto sotto), dovendo far cassa per affrontare l’inizio della Guerra dei cent’anni, introdusse la “tassa sul fuoco”.
- La tassa sulla barba
1535: il primo a varare un’imposta una tantum sulla barba fu il barbuto Enrico VIII, re d’Inghilterra. Sua figlia, la regina Elisabetta I, la reintrodusse qualche decennio più tardi, con una pignola precisazione: il pagamento era obbligatorio solo nel caso in cui la barba vantasse più di 2 settimane di crescita.
1705: anche lo Zar di Russia Pietro il Grande impose una salatissima “tassa sulla barba” . Si trattava di un’imposta di 100 rubli per i ricchi mercanti, di 60 per cortigiani e funzionari pubblici, di 30 per gli abitanti delle città e di 10 per i contadini. Perfido tributo quello russo: un precetto cristiano ortodosso proibiva di tagliarla e, di conseguenza, proibiva anche di evadere la tassa.
- La tassa sulle finestre
1696: per far cassa e combattere contro l’esercito del re di Francia Luigi XIV, in Gran Bretagna si vara la Window tax, un’imposta fissa di 2 scellini ad abitazione unita a un’imposta progressiva, calcolata sul numero delle finestre presenti.
Sotto le 10 finestre per casa, non si paga nulla; se le finestre vanno da 10 a 20, l’imposta prevede il pagamento di 4 scellini, se le finestre sono più di 20 gli scellini diventano 8.
Sapete che cosa fecero molti inglesi? Pur di non pagare questa tassa, vissuta come una vergognosa imposta sulla luce e sull’aria, murarono le finestre di casa.
- La tassa sui passeri
1789: nella regione di Stoccarda da tempo i raccolti vengono saccheggiati dai volatili di passaggio e il Duca del Württemberg, Carlo II Eugenio (foto sotto), decide di passare all’azione. Già ma come?
Soldi nelle casse ducali non ce ne sono, non per risolvere questo piccolo problema almeno. Il Duca ha un’idea: vara una nuova tassa.
Obbliga i sudditi dei villaggi agricoli a catturare e consegnare alle autorità almeno 12 passeri, in cambio di un modesto compenso di 6 kreuzer, la moneta dell’epoca. I sudditi che ne catturano di meno sono però obbligati a pagare una salata imposta di 12 kreuzer all’erario ducale. Che genio quel Duca!
- La tassa sulla cipria per parrucche e sugli orologi
1783-1801 e 1804-1806: in questi anni in Gran Bretagna la carica di premier è ricoperta dal Cancelliere dello Scacchiere William Pitt “il Giovane”.
Introdusse una serie di nuove imposte per far fronte al dissanguamento delle casse statali, causato prima dalla Guerra d’indipendenza americana e poi dal conflitto contro Napoleone.
Oltre a introdurre l’imposta sul reddito, Pitt varò una tassa sulla cipria in polvere da spruzzare sulle parrucche maschili e femminili - provvedimento che fu costretto a ritirare due anni più tardi per le proteste dei nobili - e un’imposta sulle candele in cera. Non soddisfatto, impose anche un tributo sul possesso di orologi da tavolo e da polso.
5. Neanche il sesso sfugge al fisco
Quando è efficace un’imposta? Quando viene applicata a qualcosa di assai comune o così diffuso da garantire un gettito continuo.
E qual è la cosa più praticata nel mondo? Il sesso! Per il fisco di molti Paesi, l’industria del sesso è come un’altra: le sue attività e i suoi proventi vanno tassati.
In Italia esiste da qualche anno la porno-tax che grava su produttori e distributori di materiale pornografico hard core (la tassa non frutta granché poiché l’industria è in declino per via della diffusione della pornografia online).
In Germania, la “tassa sul piacere” colpisce gli eros center, le case d’appuntamenti, i locali per scambisti, le saune erotiche e cioè tutte le attività commerciali che hanno a che fare con il sesso e persino i centri estetici in cui si praticano massaggi tantrici.
Nello Utah (Usa), qualsiasi attività commerciale che impieghi lavoratori di qualsiasi sesso purché nudi o in topless deve destinare il 10 per cento dei proventi al pagamento di una specifica imposta.
Nel nostro paese sino a oggi le “lucciole” non pagano le tasse, ma sempre più forze politiche cominciano a chiedere la tassazione dei loro “servizi” e sempre più prostitute chiedono di poter pagare per godere di fondamentali diritti (previdenziali e non solo).
In passato le cose non sono andate diversamente. Sotto l’imperatore Caligola (12-41 d.C.), furono varati a Roma i tributi detti vectigalia prostitutarum: le prostitute dovettero pagare un’imposta pari al 20 per cento dei loro incassi.
Un prelievo fiscale simile s’era già visto nell’antico Egitto e nelle città greche di Atene (ai tempi di Solone), Cos e Siracusa.
Ce n’è per tutti: sposi, single e persino vedove
- In molte città italiane chi si sposa civilmente deve pagare una tassa comunale il cui importo varia a seconda della location scelta (per un matrimonio in Campidoglio, a Roma, per esempio si pagano 100 euro).
Anche la Francia medioevale ha tassato il matrimonio, ma noi italiani abbiamo preso di mira anche i single. Il 13 febbraio 1927 fu introdotta un’imposta per celibi dai 25 ai 65 anni; gli importi subirono due aumenti, nel 1934 e nel 1937, e se un giovane non aveva di che pagare, dovevano pensarci i suoi genitori.
- Già nel 403 a.C. i censori Marco Furio Camillo e Marco Postumio Albino imposero a chi era invecchiato celibe di versare all’erario una somma a titolo di punizione; nel 18 a.C. l’imperatore Augusto emanò una legge che, per far fronte al crollo delle nascite e ai divorzi facili, sanzionava dal punto di vista fiscale le nubili (donne dai 20 ai 50 anni), i celibi (uomini dai 25 ai 60) e le coppie senza figli. Infine, nella Spagna del XIV secolo fu introdotta una tassa per le vedove risposatesi troppo presto.