Altro che chiusura temporanea per il lock down! Se fossimo tutti calvi, i parrucchieri abbasserebbero definitivamente le saracinesche.
Sarebbe un bel risparmio, e non sarebbe l’unico vantaggio.
Se davvero nessuno avesse i capelli, non dovremmo più gestire lunghezze fuori controllo, riccioli indomabili o ricrescite di capelli bianchi.
Spese beauty diminuite, tempi ridotti al minimo in bagno al mattino, addio allo stress da calvizie incipiente…
Siamo sicuri, però, che un mondo senza capelli sarebbe poi così liberatorio? Scopriamolo insieme!
1. TESTE AL SOLE
I capelli, in realtà, non sono utili soltanto all’estetica. Certo, farne a meno non ci porterebbe a morte prematura.
Uno studio danese, il Copenhagen City Heart Study, effettuato su 20mila uomini e donne seguiti per sedici anni, ha chiarito che non ci sono differenze di aspettativa di vita fra calvi e capelloni.
Semmai, potrebbe esserci qualche problema di cuore in più: svariati studi hanno suggerito che perdere i capelli si associa a un maggior pericolo di infarti e malattie cardiovascolari, con un incremento del rischio che arriva a quintuplicare se larghe porzioni di cuoio capelluto sono ben visibili prima dei quarant’anni.
La ricerca più recente in merito, condotta da Sonali Pechlivanis dell’Ospedale Universitario di Essen, in Germania, è però tranquillizzante, perché il legame sembra tutto sommato debole (per la salute di cuore e vasi contano di più altri fattori, come obesità o diabete).
Inoltre la testa liscia negli uomini sarebbe soltanto l’espressione di una diversa sensibilità agli androgeni come il testosterone: essere calvi, in altri termini, non è causa diretta di infarti e simili, ma – come i problemi di cuore – è una conseguenza di altri fattori di rischio, fra cui appunto la maggior sensibilità agli ormoni maschili.
Lo stesso vale per i tumori alla prostata: per anni, vari studi hanno ipotizzato che i calvi avessero una maggior probabilità di ammalarsi; ma, nel giugno scorso, una ricerca della Case Western Reserve University di Cleveland (Usa) su oltre 5mila uomini, seguiti per più di vent’anni, ha chiarito che il rischio non è significativamente più alto.
Tanto che c’è perfino chi ha ipotizzato il contrario: secondo l’urologo Jonathan Wright del Fred Hutchinson Cancer Center di Seattle (Usa), i calvi precoci, grazie al sole che arriva di più sulla loro testa, avrebbero livelli più alti di vitamina D, e per questo si ammalerebbero un po’ meno di tumore.
Se, però, gli effetti su cuore e prostata di una vita da calvi tutto sommato non sembrano preoccupare, proprio quelli del sole dovrebbero farlo, come osserva la dermatologa Norma Cameli dell’Istituto Dermatologico San Gallicano di Roma:
«Se non avessimo i capelli saremmo più esposti ai raggi solari, che sul cranio arrivano a picco e perpendicolari: l’80 per cento dell’invecchiamento cutaneo dipende dall’esposizione al sole, per cui la pelle della testa si coprirebbe di lentigo solari, le macchie scure tipiche delle parti più esposte, e soprattutto tanti svilupperebbero lesioni precancerose come la cheratosi attinica.
Dipende dall’esposizione cumulativa, per anni, ai raggi solari ed è più frequente nei calvi; le papule rosse e squamose possono evolvere in tumore cutaneo, un altro problema che sarebbe più comune se tutti non avessimo la protezione delle chiome».
2. CRIMINI E SCAPPATELLE
Su questo c’è ormai certezza: WegQi Li della Brown University di Providence a Rhode Island (Usa), seguendo oltre 36mila uomini dal 1992 in poi, ha di recente osservato che la probabilità di tumori cutanei alla testa e al collo è parecchio più alta nei calvi, con un rischio che per il melanoma e il carcinoma delle cellule squamose è oltre sette volte maggiore rispetto a chi non ha perso la capigliatura.
Usare il cappello e la crema solare, quindi, diventerebbe una necessità inderogabile se i capelli si atrofizzassero a tutti.
«I capelli poi, così come i peli, servivano ai nostri antenati per una migliore termoregolazione, perché trattenevano il calore; non avendoli, saremmo meno protetti dal freddo. Ma oggi questo non ci impensierirebbe granché», prosegue Cameli.
«Perderemmo anche un mezzo per percepire il mondo circostante: i follicoli sono circondati da terminazioni nervose, e così i capelli funzionano come sensori per stimoli tattili». Non che usiamo molto i capelli per toccare il mondo intorno, ma qualcosa dell’esperienza sensoriale verrebbe a mancare.
Di sicuro, invece, molti crimini resterebbero impuniti: al di là dei colpevoli di scappatelle coniugali (se nessuno avesse i capelli, non ci sarebbero crini sospetti da cercare sugli abiti del partner e molti fedifraghi potrebbero farla franca con maggior facilità), gli autori di reati possono essere incastrati dalla giustizia se sulla scena del delitto viene trovato loro materiale biologico, fra cui appunto i capelli, su cui fare un test del Dna.
In un mondo di calvi, non ci sarebbero test di paternità fatti di soppiatto recuperando i capelli di lui dal pettine, né tantomeno indagini per valutare la presenza di malattie genetiche in una ciocca; soprattutto, sarebbero impossibili i test antidroga o per valutare l’esposizione ai metalli pesanti.
Nei capelli, che crescono a un ritmo di circa un millimetro ogni tre giorni, si accumulano infatti molte sostanze con cui veniamo a contatto: esaminandoli, si può risalire al periodo in cui si è fatto uso di droga, per esempio.
Nella foto sotto, un ebreo ortodosso con i suoi classici boccoli (payot).
3. QUESTIONE DI STATUS
Forse, però, quel che più si modificherebbe se non avessimo i capelli è il comportamento.
Dovremmo, infatti, trovare altri modi per distinguerci, sedurre, identificarci, visto che fin dall’antichità chiome fluenti e curate sono associate a bellezza e forza, mentre acconciature diverse hanno da sempre reso ben chiare le differenze di classe (i parrucconi settecenteschi difficilmente potevano essere tenuti in testa da un lavoratore) e distinto i gruppi sociali, religiosi, politici.
Portare le treccine rasta, insomma, è una scelta di campo precisa quanto raparsi a zero, e come osserva Piero Tesauro, presidente della Società italiana di tricologia, «i capelli comunicano: non è un caso che i giornalisti televisivi abbiano tagli “neutri”, serve a non influenzare il pubblico.
Le donne, poi, modificano la chioma per marcare passaggi esistenziali precisi: chi non ricorda Gwyneth Paltrow che in Sliding Doors (1998) cambia radicalmente look dopo aver lasciato il fidanzato? Infatti, anche per privarla dell’identità e ridurla all’obbedienza, si rasa una persona a zero: succede alle reclute militari, che così diventano elementi indistinti della truppa.
E accadde agli ebrei nei campi di concentramento: i loro capelli venivano usati per tessere calzini, un altro modo per rimarcare la pochezza degli ebrei agli occhi dei tedeschi».
Ricci o lisci, tantissimi o pochi, di innumerevoli tinte anche al naturale, senza l’intervento del parrucchiere: la varietà delle chiome è enorme e molto conta l’etnia.
Dipende dalla genetica: al netto delle differenze individuali, gli asiatici hanno, per esempio, un minor numero di capelli per centimetro quadrato rispetto a caucasici e africani; ma le loro chiome appaiono più voluminose, perché i capelli hanno un diametro maggiore, circa 0,6 millimetri contro 0,1 di quelli più sottili degli africani (pure a parità di numero di capelli conta molto il calibro, più sono “grossi” più sembrano folti).
Gli asiatici poi hanno fusti circolari che rendono la capigliatura liscia, gli africani hanno capelli più appiattiti e per questo sono molto ricci. Quanto ai tanti possibili colori, sono determinati anch’essi dalla genetica e dipendono dai melanociti presenti nei follicoli: se prevalgono quelli che contengono eumelanina il colore è scuro, la feomelanina invece è tipica di biondi e rossi.
Nella foto sotto, l’attivista e sportivo americano Colin Kaepernick. Ha una chioma che non rinnega le sue origini africane.
4. NON ATTRAENTI, MA INFLUENTI
Del resto la forza di Sansone stava tutta nei capelli, e la suggestione è rimasta ancora oggi se, come racconta Tesauro, «non c’è un presidente degli Stati Uniti calvo da molto tempo e l’attuale, Donald Trump, si è sottoposto a quattro trapianti per evitare di diventarlo, facendosi perfino realizzare una sala operatoria ad hoc nella Trump Tower.
Fra gli ultimi venti premiati con l’Oscar per il miglior attore ce ne sono almeno cinque che hanno fatto il trapianto; Sean Connery, in 007-GoldenEye (1995), aveva il parrucchino perché stava perdendo i capelli, ma il personaggio del seduttore James Bond non era pensabile calvo».
Nessuno di loro, insomma, si sarebbe mai fatto convincere da Frank Muscarella della Barry University, in Florida, che – tramite esperimenti su volontari a cui sono stati fatti vedere gli stessi visi maschili con e senza capelli – ha scoperto come i calvi siano ritenuti più intelligenti, influenti, onesti, dotati insomma di una “maturità sociale” maggiore rispetto ai capelloni.
Certo, non sono considerati più attraenti, ma le donne li percepiscono come meno aggressivi ed è possibile che ci sia una spiegazione evolutiva: i nostri antenati erano pelosi e capelluti, probabilmente paurosi a vedersi, così la calvizie potrebbe essere stata un modo per distinguere uomini maturi, saggi e rassicuranti, di rango sociale più alto.
Le donne, dal canto loro, senza capelli dovrebbero trovare altri mezzi per sedurre: una chioma folta è l’emblema della femminilità. Ne sa qualcosa la politica Giorgia Meloni, ingiuriata lo scorso agosto per un’ipotetica calvizie incipiente.
Forse anche per questo, secondo Tesauro, «se non avessimo i capelli saremmo tutti un po’ più depressi: perderemmo una grossa parte della nostra identità».
Pure di quella razziale, oltre che personale: le diverse etnie hanno struttura, densità e colori di capelli molto differenti (vedi foto sotto, dove donne di etnia Miao, in Cina, indossano parrucche fatte con i capelli dei loro antenati), tanto che per riconoscere un africano, un europeo o un asiatico basta guardarne la capigliatura di spalle.
Le differenze si stanno attenuando nella nostra società sempre più multirazziale, e in futuro avremo forse capelli più simili e omogenei, così per distinguerci resteranno solo le acconciature... sempre meglio che diventare tutti calvi, e non solo per la sopravvivenza dei parrucchieri.
5. E PER CHI LI PERDE...
Socrate, Aristotele, Ippocrate. Ma anche Giulio Cesare, che se ne fece un cruccio al punto da inventare il riportino: la calvizie è un problema che affligge l’uomo dalla notte dei tempi.
I tentativi di risolverla in passato sono stati innumerevoli e fantasiosi: i Vichinghi usavano escrementi di oca, quelli di piccione erano mescolati a rafano, cumino e ortica già da Ippocrate, l’amorevole Cleopatra tentava di rinfoltire le chiome di Giulio Cesare con un trito di topi, denti di cavallo e grasso d’orso.
Oggi i rimedi sono meno nauseabondi e soprattutto più efficaci. Per fortuna, visto che i problemi di caduta sono in aumento dopo la pandemia di Covid-19: lo stress in eccesso a distanza di tre mesi ha portato a un’impennata delle richieste d’aiuto all’Istituto dermatologico San Gallicano di Roma.
Per lo più casi di telogen effluvium, la caduta abbondante dovuta a situazioni acute di disagio. E riconoscere la causa della perdita dei capelli è il primo passo per risolverla; perché, come spiega la dermatologa Norma Cameli, «i motivi possibili sono tanti e serve perciò una diagnosi precisa: gli interventi utili in un caso sono superflui in altri e viceversa.
Quando per settimane si perdono oltre cento capelli al giorno (la norma è 50-60), o se la cute diventa visibile, è opportuno andare dal dermatologo e sottoporsi a una tricoscopia, esami del sangue o, in una donna, ecografie pelviche se si sospetta un ovaio policistico che provochi alopecia androgenetica, una delle cause più diffuse».
Le terapie possibili sono molte: «Ci sono quelle topiche con minoxidil, un vasodilatatore che prolunga il ciclo vitale del capello, con antagonisti degli androgeni come il progesterone, con antinfiammatori per mitigare l’infiammazione perifollicolare cronica che danneggia il capello e si manifesta, spesso in chi abita nelle grandi città, con arrossamenti, prurito, forfora. In caso di alopecia androgenetica si possono prendere per bocca estratti di serenoa repens o finasteride: questo farmaco è temuto ma ha poche complicanze, basta usare dosi adeguate e sottoporre i pazienti giovani a regolari spermiogrammi, per assicurarsi che non ci siano conseguenze sulla fertilità.
Esistono poi spazzole o “cappellini” che emettono un raggio laser a una specifica lunghezza d’onda: vanno però usati con regolarità e per sempre – il cappello, per esempio, deve essere indossato mezz’ora per tre volte alla settimana, o sei minuti al giorno – e così tanti pazienti li abbandonano».
Con il needling si possono far penetrare nella cute, tramite aghi sottili, vitamine, fattori di crescita, farmaci; le terapie più nuove sono quelle basate sull’iniezione di plasma ricco di piastrine o cellule staminali. Bisogna essere chiari con il paziente, sono una scommessa. Funzionano nel 60- 70% dei casi, e non c’è modo di sapere prima se saranno efficaci.
Non devono essere la prima opzione, semmai possono potenziare una terapia locale o sistemica che abbia già dato il massimo; peraltro sono costose, circa 7-800 euro per un trattamento contro i 600 di una cura annuale con i farmaci. Qualsiasi terapia si scelga, però, è fondamentale la gradualità e seguire il paziente perché abbia le giuste aspettative: tutti sperano in risultati eclatanti e subito, ma serve tempo.
Volendo rimedi istantanei, c’è pur sempre il camouflage. Si può ricorrere alla dermopigmentazione, una sorta di tatuaggio, o alle polveri di microfibre che si legano elettrostaticamente ai capelli rendendoli più folti alla vista, ma lo shampoo le rimuove. Infine anche alcuni prodotti cosmetici all’inizio possono servire; se la perdita di capelli è consistente, occorre però un approccio medico.