Ad alcuni proprio non piace, ma sono molti di più coloro che lo amano.
Si calcola che in tutto il mondo ci siano ben 600 milioni di gatti domestici (un numero enorme, quasi il doppio degli abitanti degli Stati Uniti).
Insomma, è il più diffuso animale da compagnia, eppure su questo felino persiste tuttora un alone di mistero che avvolge l’origine del rapporto con l’uomo.
Tanto che ancora oggi alcuni studiosi ritengono che questo animale non abbia mai davvero completato il passaggio da felino selvatico a gatto domestico.
Negli ultimi anni, però, nuovi dati provenienti dalle indagini genetiche e dai ritrovamenti archeologici stanno aiutando a chiarire alcuni dubbi che riguardano la storia di questo affascinante felino. Scopriamo di cosa si tratta.
1. CHI HA FATTO IL PRIMO PASSO?
Prove anatomiche e genetiche hanno accertato che l’antenato selvatico del gatto domestico è una specie chiamata Felis libyca o gatto selvatico fulvo o libico, specie distribuita in ampi territori e che ha almeno tre sottospecie attualmente riconosciute.
Confrontando il Dna mitocondriale (di origine solo femminile o matrilineare) e brevi sequenze di Dna nucleare, detti microstelliti, delle specie di gatti selvatici eurasiatici e mediorientali del genere Felis (F. silvestris, F. bieti, F. libyca ornata, F. libyca cafra, F. libyca libyca) con il Dna di 979 esemplari di gatti domestici di tutto il mondo si è scoperto che gli esemplari addomesticati condividono tutti lo stesso Dna e che quest’ultimo è praticamente indistinguibile da quello dei gatti selvatici mediorientali (Felis libyca libyca), una delle tre sottospecie del gatto selvatico fulvo.
Ciò dimostra non solo che il gatto domestico (Felis catus, Linneo) deriva dai gatti selvatici mediorientali, ma anche che la prima domesticazione è avvenuta proprio in questa regione.
Che cosa ha favorito prima l’addestramento o mansuefazione (taming in inglese) dei gatti selvatici mediorientali, e in seguito la loro domesticazione vera e propria?
Tutti gli studiosi concordano sul fatto che si tratta di una trasformazione che ha coperto un periodo molto lungo, iniziata con una delle più grandi rivoluzioni umane (quella neolitica, circa 12.500 anni fa), vale a dire la trasformazione delle prime tribù nomadi di cacciatori-raccoglitori negli agricoltori-allevatori della cosiddetta Mezzaluna Fertile, tra il Sud della Penisola Anatolica (Turchia), il Sinai, Israele e la Mesopotamia.
Per alcune specie di animali diffusi in queste regioni, come i bovini selvatici o uro (Bos primigenius), le capre (egagro) e le pecore (mufloni e urial), l’addomesticamento durò appena qualche secolo e permise di avere latte, carne, lana o aiuto nel lavoro dei campi. Per il gatto, invece, è ormai certo che ci vollero migliaia di anni.
Carlos Driscoll, che all’Università di Oxford ha studiato approfonditamente anche dal punto di vista genetico la domesticazione, preferisce usare per la fase iniziale dell’avvicinamento all’uomo il termine taming (addestramento) e sostiene che tutto è cominciato per un esclusivo volere del gatto.
dalle prime “fattorie” che piano piano sorgevano nelle praterie mediorientali, i gatti libici potevano infatti trovare avanzi commestibili tra i rifiuti, catturare i piccoli uccelli come i passeri (attirati dagli avanzi delle granaglie coltivate) ma soprattutto nutrirsi di topi selvatici a loro volta attratti dalle derrate immagazzinate.
2. IL FASCINO DEL FELINO
Al contrario di ciò che succedeva per le altre specie addomesticate che erano tenute lontane dai loro antenati selvatici, però, i gatti andavano e venivano dai villaggi ai territori circostanti e per lungo tempo nella Mezzaluna Fertile c’è stato sicuramente un continuo scambio genetico tra le popolazioni di gatti che frequentavano l’uomo e i gatti veramente selvatici.
Ciò ha reso i gatti domestici molto simili e spesso geneticamente indistinguibili (anche ai giorni nostri) dai loro predecessori, rendendo difficile ricostruire cronologicamente la loro storia, poiché anche i rari resti scheletrici ritrovati nei siti archeologici non permettono sempre una distinzione sicura fra esemplari addestrati, domestici e selvatici.
Ulteriori analisi hanno anche rivelato che il Dna mitocondriale, trasmesso solo per via matrilineare, appartiene ad appena cinque “aplogruppi” diversi, che corrispondono ad altrettante linee evolutive.
Il che significa che, alcune decine di migliaia di anni fa, cinque femmine hanno dato origine a tutti i felini che abbiamo attualmente in casa.
Questa magica cinquina ha probabilmente partorito vicino agli insediamenti umani, abituando i propri piccoli alla presenza degli uomini, che a loro volta li hanno accettati, visto che erano utili nella caccia ai topi.
Ma gli studiosi pensano che la relazione tra gatto e uomo, fin dalle origini, non sia stata solo di convenienza: in effetti alcuni popoli usavano contro i roditori anche donnole, furetti e faine. Fu probabilmente l’eleganza e il fascino di questo animale e del suo comportamento, che spinsero l’uomo a rispettarlo.
Forse anche perché nell’aspetto ricordava i grossi felini da cui ci si doveva difendere (leoni, leopardi e forse qualche tigre).
Si ipotizza infatti che nel sito archeologico di Gobekli Tepe, che si trova nella zona sud-orientale della Turchia e che ospita il tempio più antico del mondo (12.000 anni fa), fossero già presenti raffigurazioni di gatti, purtroppo poco leggibili perché la roccia friabile è stata erosa dal tempo.
Un altro ritrovamento è però più chiaro: gli archeologi Jean Guilaine, membro del College de France, e Jean Denis Vigne, docente del Laboratorio di Anatomia comparata del Museo di Storia Naturale di Parigi, hanno scoperto nel 2004 una tomba che contiene lo scheletro di un uomo e quello di un gatto, risalente al 7000-7500 a.C., negli scavi ciprioti del villaggio protostorico di Shillourokambos.
Il felino fu sicuramente portato nell’isola, poiché all’epoca non esistevano gatti a Cipro; la tomba prova quindi che già 9000-9500 anni fa, esisteva un legame tra un gatto e un essere umano e che l’animale ha fatto parte di un rituale legato alla sepoltura.
Altri importanti scavi come quelli di Tell es-Sultan nei pressi della città di Gerico (Israele) hanno portato alla luce resti di gatto probabilmente domestico risalenti al 6700 a.C. e una graziosa statuetta di avorio che ne riproduce le sembianze.
3. EGIZI, FENICI E ROMANI
Ma nel mondo antico l’“epoca d’oro” del gatto è stata sicuramente quella egizia: i più antichi ritrovamenti dell’antico Egitto risalgono a 3800-3200 a.C., e sono emersi nella città di Neken, dove sono presenti anche sepolture con gatti e un’altra specie di felino: la lince delle paludi (Felis chaus) comune lungo il corso del Nilo.
Col passare degli anni, poi, il gatto divenne sempre più un elemento della tradizione religiosa.
La sua immagine venne identificata con le molteplici divinità feline, fino alla sua completa associazione con la dea Bastet (rappresentata col corpo di una giovane donna dalla testa di gatto), simbolo di gioia, amore, femminilità e fertilità, che proteggeva la casa, la famiglia, il parto e i bambini.
Nel suo tempio a Bubasti, capitale dell’Egitto durante la XXII Dinastia (900-700 a.C.), vi era un enorme serraglio dove i felini erano allevati in gran numero; i fedeli li acquistavano facendoli poi mummificare per donarli alla dea: negli scavi del tempio furono trovate oltre 300.000 offerte di gatti domestici uccisi e mummificati.
Ma gli antichi Egizi tenevano anche i gatti in casa e di sicuro amavano i loro felini domestici: in epoca tolemaica divenne usanza radersi le sopracciglia in segno di lutto quando il gatto di casa moriva.
Inoltre gli Egizi chiamavano i Fenici, popolo di navigatori e commercianti, “ladri di gatti”, poiché era loro abitudine, quando arrivavano nei porti egizi, rubare e tenere sulle proprie navi alcuni gatti, utilizzati per difendersi dai topi o da vendere ad altre popolazioni come animali esotici.
Le indagini genetiche hanno dimostrato che furono proprio i Fenici a portare i gatti in Sardegna, tanto che i membri dell’attuale popolazione selvatica (Felis libyca sarda) sono proprio i diretti discendenti di quegli esemplari.
Del resto il gatto ebbe grande diffusione anche durante l’Impero romano, come testimoniano alcuni mosaici. Osservando i gatti riprodotti in tali opere, si può notare che all’epoca questi animali avevano ancora una colorazione simile a quella degli esemplari selvatici, ovvero grigiastro striato di scuro (detto mantello makerel), un “carattere dominante”.
Soltanto durante il Medioevo si diffusero, sicuramente a causa dell’uomo che cominciò a selezionarle, le mutazioni che rendono il mantello bianco, rosso, nero o pezzato.
Oggi esistono circa 50-70 razze di gatti selezionati (perfino una geneticamente modificata per contrastare le allergie al pelo) e per svelare ulteriori curiosità sulle origini di questo felino è in corso in alcuni siti del Medio Oriente e in Egitto un importante progetto di ricerca guidato dall’archeozoologo Wim Van Neer del Laboratory of Biodiversity and Evolutionary Genomics dell’Università di Leuven in Belgio.
Sequenziando interi genomi di gatti antichi e moderni, si conta di avere risultati più completi e affidabili di quelli fin qui ottenuti. Aggiungendo altre vite alle leggendarie sette vite del gatto.
4. UN ANIMALE SOCIALE E GLI IBRIDI MALATI
- UN ANIMALE SOCIALE
I felini sono animali tutto sommato solitari ma certamente “non asociali” e il gatto di casa non fa certo eccezione.
Del resto il numero elevato dei cosiddetti “muscoli di espressione”, che si trovano sul muso e sulla testa dei gatti, non avrebbe senso se la loro presenza non fosse per la comunicazione di emozioni rivolta sia ad altri gatti sia agli altri animali, uomo compreso.
Per comunicare, inoltre, sul corpo del micio di casa sono posizionate, in alcuni punti cruciali, speciali ghiandole odorifere utilizzate per la marcatura degli spazi (territorio) e degli altri individui, compresi noi umani.
Quando il gatto sfrega il musino contro la mano o altre parti del corpo del suo proprietario diffonde il profumo delle ghiandole periorali, guanciali e temporali che si trovano sul muso, mentre quando “fa la pasta” (cioè preme la zampe alternativamente) usa le ghiandole interdigitali, ed anche quando alza la coda avvolge gli umani che lo circondano in una nuvola di feromoni emessi da ghiandole sottocaudali e perianali.
Perché? I feromoni danno al gatto una sensazione di tranquillità e sentirli addosso al padrone rende l’animale ben disposto nei suoi confronti, come succede con le sostanze odorose emesse dal gattino alla nascita, che inducono la mamma a prendersi cura di lui.
- IBRIDI MALATI
I felini sono tutti geneticamente simili tra loro e molte specie possono essere incrociate per dare animali ibridi. Così da tempo si prova a creare nuove razze di gatti facendo accoppiare esemplari domestici e felini selvatici. Come in questi esempi.
- Bengals.
Gatto leopardo asiatico (Prionailurus bengalensis) + gatto domestico.
- Savane.
Serval o gattopardo africano (Leptailurus serval) + gatto domestico.
- Chausie.
Gatto della giungla (Felis chaus) + gatto domestico.
- Safari.
Gatto di Geoffroy del Sud America (Leopardus geoffroyi) + gatto domestico.
Purtroppo questi ibridi sono soggetti a gravi problemi di salute: per esempio la dolorosa malattia dell’intestino irritabile (IBD) che causa diarrea cronica, la cardiomiopatia ipertrofica, l’atrofia retinica progressiva, la lussazione della rotula, le lesioni della bocca (più comune nei Chausie) ed altre.
5. MALEDETTI GATTI
Nel Medioevo i gatti non godettero buona fama: erano odiati e disprezzati, perché considerati come manifestazioni del diavolo, streghe trasformate o “animali eretici" !; fu una visione negativa del mondo felino.
Nel 1100 l’associazione gatto-diavolo era radicata; in quell’epoca affermavano che durante i riti satanici il diavolo scende come un gatto nero davanti ai suoi devoti.
Un’accusa a gruppi eretici come Catari e Valdesi era anche quella di adorare i gatti. Durante il processo ai Templari, agli inizi del XIV secolo, ci fu anche l’accusa di far partecipare i gatti a cerimonie religiose e di pregare per loro.
Per l’uomo medievale, che credeva che gli animali fossero stati creati da Dio per servire ed essere governati dagli uomini, il gatto costituiva un’anomalia, perché, anche se addomesticato, era riluttante all’obbedienza.
Contro i gatti neri, dichiarati stirpe di Satana e compagni delle streghe, papa Gregorio IX (1170-1241) emanò la Bolla del 1233 che ne decretava l’uccisione.
Fu una strage che durò parecchi decenni e della quale finirono vittime gatti con i mantelli di qualunque colore, tanto che si pensa che alcune delle pestilenze portate dai ratti, proliferati a causa delle condizioni igieniche precarie (peste nera del XIV secolo e successive) siano da imputare in parte anche alla rarefazione dei gatti che venivano perseguitati e uccisi in questa “caccia alle streghe”.
Ma poi, a mano a mano che ci avviciniamo al XVIII secolo, il gatto comincia a riacquistare il posto di compagno dell’uomo e di rispettato regolatore della popolazione dei roditori.
Alla fine del XVII secolo La Fontaine dedicò ampio spazio al gatto e Perrault con “Il gatto con gli stivali” fece riacquistare simpatia al gatto, presentandolo come un galantuomo e con atteggiamento elegante.
Lope de Vega, grande drammaturgo spagnolo, vissuto tra il XVII e il XVIII secolo, scrisse addirittura un “Gattomachia” in 2500 versi, poema in cui presentò i gatti come protagonisti per evidenziare e criticare le passioni e i difetti tipici degli uomini.
Nel XIX secolo allevare i gatti divenne di moda, ed essi, riabilitati, ebbero libero accesso ovunque. Nel corso dei secoli, diversi Santi amarono i gatti e attualmente S. Antonio Abate è il loro protettore: la “Festa del gatto” ricorre il 17 Febbraio.