I bambini provano un’attrazione spontanea per gli animali.
Li vedono da subito come qualcosa di più di un giocattolo inanimato.
‘Pupazzi’ vivi e affascinanti in cui è più facile identificarsi ed esprimere in modo immediato e diretto le proprie emozioni.
Su di loro riversano i sentimenti più segreti, ricevendo in cambio, nel caso di cani o gatti, affetto e amicizia.
1. Un mutuo scambio
Al contrario del pupazzo, l’amico a quattro zampe è un essere vivente e, in quanto tale, ha esigenze che vanno rispettate.
In questo modo si offre al bambino una duplice possibilità: iniziare uno scambio affettivo e allo stesso tempo rapportarsi in modo corretto con la realtà.
Si tratta di un mutuo scambio che nasce dai bisogni elementari di entrambi per cui, come osserva Robert Delort in L’uomo l’animale dall’età della pietra ad oggi, anche il cane «spontaneamente manifesta la sua preferenza per i bambini piuttosto che per gli adulti. L’attrazione è reciproca, dato che il bambino compensa la frustrazione dovuta alla mancanza di comunicazione corporea con la madre, che si instaura al momento dello svezzamento, con il contatto con il cane, a sua volta strappato alla madre».
È un contatto tra cuccioli di specie diverse, ma entrambe socievoli e sociali, cioè capaci di vivere all’interno di un gruppo organizzato e di tessere relazioni. In comune hanno innanzi tutto quelle caratteristiche morfologiche ed espressive che rinviano allo schema infantile, inibiscono l’aggressività e stimolano l’istinto di protezione e la tenerezza.
Un secondo elemento comune ai due cuccioli è la capacità di usare un linguaggio non verbale, mimico e gestuale, che prevale nei bambini fino a due, tre anni per essere poi quasi del tutto abbandonato a favore del linguaggio parlato.
Non è una capacità da poco se il contatto corporeo risulta per il bambino il canale privilegiato del suo stare al mondo, e se è vero che il livello di comunicazione non verbale ha radici nella sfera emotiva più profonda.
L’importanza attribuita alla parola dalla nostra società porta invece a relegare in uno spazio marginale le forme di espressione alternative e questo non è sempre positivo. Vivendo in una società della parola abbiamo perso la capacità di esprimere al meglio il nostro livello emozionale più profondo. [...]
Nel nostro ciclo evolutivo, nel nostro ciclo filogenetico noi stiamo perdendo parte delle nostre prerogative che sono ancora presenti negli animali, nel cane nel caso specifico, e che soltanto lui può imparare, può insegnarci e può farci imparare a riconquistare nuovamente. [...]
Noi abbiamo perso la capacità di inibire la nostra aggressività attraverso dei segnalatori: gli occhi, lo sguardo, lo sguardo attonito dell’altro che sta per subire una nostra aggressione...
Tutto questo un cane lo riporta nel bambino, lo insegna, insegna il livello della sofferenza, insegna la capacità di misurare la propria aggressività nel tirare la coda, nel tirare le orecchie o nel saltargli in groppa o quant’altro, insegna a misurare il proprio livello di energia.
Ed è proprio attraverso il gioco che bambino e cane imparano a confrontarsi e a comunicare. La voglia di giocare, associata alla funzione attribuita al gioco, è l’altro elemento che accomuna i due cuccioli.
Per entrambi il gioco ha un’importanza decisiva nell’esercitare la capacità di adattamento e l’intelligenza creativa, nel mettersi alla prova in ruoli diversi e nel misurarsi con l’altro, ma anche nell’esplorare il mondo circostante e liberare le tensioni. Per questo uno dei regali più belli che fa un cane divenuto grande al suo padrone rimasto piccolo, è che anche se è cresciuto ed è diventato un adulto, non disimpara a giocare.
Nel cane il bambino scopre quindi un’opportunità di esprimersi diversa, ritrova un oggetto sul quale riversare il suo affetto in alternativa ai genitori e in assenza di fratelli, ma anche un soggetto capace di azioni e reazioni che impongono rispetto e tutta una serie di doveri.
Ecco perché crescendo con un cane il bambino acquisisce il senso di responsabilità, la capacità di comprendere e intuire lo stato d’animo dell’altro e la tolleranza verso il diverso da sé; sviluppa il senso di protezione, ma anche la sicurezza in se stesso e nelle proprie capacità; impara a relazionarsi con il mondo esterno e a strutturare la sua vita sociale in modo equilibrato.
Educare un cane a obbedire ai comandi essenziali per la convivenza richiede una chiarezza che equivale a salute mentale, un’ottima palestra intellettuale per il bambino che si abitua a usare un linguaggio chiaro e coerente anche con gli altri.
2. La funzione educativa del rapporto fra cane e bambino
Ma il significato educativo del cane diventa ancora più profondo e complesso se pensiamo che in realtà dura per tutto il ciclo vitale del cane, che si può considerare quasi complementare allo sviluppo personale del bambino.
Ogni età del bambino può essere arricchita dalla presenza di un cane proprio per le infinite sfumature di significato che questo può assumere per lui, in qualsiasi momento della sua crescita.
Dal momento che la vita del cane è più breve di quella dell’uomo, lo sviluppo del bambino viene scandito dal ritmo delle fasi del ciclo vitale del cane. Lo svolgersi delle tappe sociali dell’uno (cane), preme per la realizzazione di quelle dell’altro (bambino), in una continua interazione, segnata dall’assoluta flessibilità dei ruoli.
In ballo ci sono i grandi temi della vita, affrontati con semplicità e naturalezza. In altre parole il cane, che prima del bambino conosce le turbe della sessualità, il desiderio di autonomia dell’età adulta, la gioia della maternità, le sofferenze della vecchiaia e l’epilogo della morte, permette al bambino di assistere a questi grandi eventi e quindi di prepararsi ad affrontarli nel modo migliore.
In più, facilita ai genitori il compito, sempre gravoso, di spiegare le fasi difficili della vita perché offre loro un modello concreto al quale fare riferimento.
E così il cane, dopo avere insegnato al bambino a superare la prima grande paura del distacco con la sua presenza-assenza e il suo bisogno di autonomia, quando muore gli insegna a elaborare anche il concetto di morte, di solito considerato tabù.
Il cane ci insegna ad avere un rapporto mediato con la morte attraverso il rapporto che noi viviamo rispetto alle separazioni; il bambino impara ad apprendere che la morte non è altro che una separazione più prolungata rispetto alle separazioni che costantemente vive nel rapporto con il cane, perché il cane scappa sempre, va in avanti, non è come la madre che è così presente, quasi soffocante molto spesso, soprattutto nei primissimi anni di vita.
Il cane fornisce la dinamicità e la percezione di una mobilità esterna, che dà poi l’elaborazione del concetto di morte, del concetto di lutto, del concetto di separazione.
Il ciclo si completa quindi in un continuo e graduale scambio di ruoli che sviluppa la capacità di adattamento del bambino: che prima fa da protettore del piccolo cucciolo indifeso, poi diventa il compagno di giochi del cucciolone, poi a sua volta è il cucciolo protetto dal cane adulto, in seguito ne diventa l’amico e complice inseparabile finché, appena adolescente, si assume il compito di accudire, assistere e curare l’amico fedele ormai vecchio e malato.
3. Il ruolo dei genitori secondo l’età del bambino
La splendida amicizia tra cane e bambino, e quindi tra cane e uomo, sarà tale solo a una condizione: che i genitori ne conservino sempre il controllo e guidino spassi dell’uno e dell’altro sin dai primissimi momenti.
A loro spetta innanzi tutto il compito delicato della scelta del cane da affiancare al bambino, scelta che va sempre fatta affidandosi al veterinario di fiducia o all’allevatore esperto o all’addestratore.
L’incontro può avvenire tra due ‘cuccioli’, o tra un lattante e un cane adulto, oppure tra un bambino già grandicello o un ragazzo e un cucciolo. In tutti questi casi il ruolo dei genitori è decisivo perché il rapporto tra i due si instauri senza traumi che lo pregiudicherebbero gravemente.
Nel loro progressivo ruolo di protettori, educatori e supervisori, i genitori devono sempre far sentire la propria presenza, in tutte le fasi di crescita del bambino e del cane, intervenendo in modi diversi per guidare il processo di coeducazione e per fissare le norme di igiene e di comportamento reciproco.
- Quando il bambino è sotto i tre anni
Se il bambino non ha ancora tre anni e se il cane è un cucciolo e tanto più se è adulto, il genitore deve essere onnipresente per garantire le condizioni di sicurezza e guidare i loro primi tentativi di far conoscenza: a quell’età il bambino, incosciente e maldestro nei movimenti, potrebbe far male al cane e suscitare qualche reazione indesiderata.
Al cane adulto d’altra parte deve essere data la possibilità di partecipare alla vita del gruppo e di familiarizzare con il piccolo, annusandolo ogni volta che vuole, perché da qui passa la sua accettazione del nuovo arrivato nel branco.
- Quando il bambino ha un’età fra i tre e i sei anni
Se il cane entra in famiglia quando il bambino ha un’età compresa fra i tre e i sei anni, sta sempre al genitore rendere positiva la loro interazione mostrando al bambino come avvicinarsi al cane, come giocare con lui e come toccarlo per non infastidirlo, insegnargli che il cane non è un giocattolo, ma un essere vivente bisognoso di cure e attenzioni.
È presto perché il piccolo se ne occupi da solo, ma è giusto che assista e partecipi alle cure e alle manifestazioni d’affetto che i genitori rivolgono al suo amico a quattro zampe: affinché si renda conto che anche lui ha bisogni e diritti e, specie se il bambino è figlio unico, accetti di non essere l’unico destinatario dell’affetto e delle attenzioni dei genitori.
- Quando il bambino è tra i sei e i dieci anni
Se il bambino ha un’età compresa entro questo periodo di tempo, invece, si può cominciare a pensare di affidargli il cane per le passeggiate quotidiane e di demandargli alcune responsabilità nella cura dell’amico e nella sua educazione.
Esercitare i bambini a impartire i comandi con coerenza di parola, tono di voce e atteggiamento, è un’utile lezione di logica, di comportamento, di equilibrio e padronanza di sé. A quest’età i bambini sono molto attratti dagli animali e tendono a spostare l’interesse affettivo su di loro.
Sentono nel rapporto con loro una promessa di spontaneità, di affetto e di libertà. Il cane diventa quindi un compagno di giochi e di avventure, un interlocutore fidato con cui parlare a tu per tu.
Anche in questa fase è importante però che il genitore affianchi il bambino nella cura del cane e lo aiuti a decodificare alcuni comportamenti che possono sembrare strani, dandogli le chiavi per capire il diverso linguaggio del suo amico d’infanzia.
- Quando il ragazzo è quasi un adolescente
Superati i dieci anni, il ragazzino è in grado di dedicarsi al cane con sempre maggiore responsabilità, riesce anche a intendersi completamente con lui e a entrare in sintonia con le sue esigenze. La presenza dell’adulto è però ancora e ugualmente importante. Resta sempre un insostituibile punto di riferimento, come supporto e come consigliere.
L’adolescenza è un momento delicato in cui cambiano gli equilibri e le priorità, ma il valore del rapporto tra il ragazzo e il cane non diminuisce, al contrario, perché «con il progredire dell’età aumentano le capacità di valutazione per un apprezzamento più avanzato, etico ed ecologico.
È questo il periodo delle forti passioni e degli innamoramenti e il ragazzo tende quindi a creare un rapporto esclusivo anche con il cane: in questo momento di incomunicabilità, conflitti e incomprensioni si sente emotivamente più vicino a lui che alle persone.
Il rapporto risponde al bisogno di totalità e chiarezza dell’adolescente e l’adolescente risponde al bisogno canino di dipendenza e totalità.
Il cane può essere un ottimo antidoto delle paure adolescenziali, prima fra tutte quella dell’esclusione sociale, perché assume il ruolo di mediatore nel rapporto tra il ragazzo e l’ambiente circostante, diventa occasione di incontri oltre a far accrescere il senso di sicurezza e autonomia nel ragazzo che vede accettata e valorizzata l’immagine di sé.
Anche in questo caso è bene che il genitore faccia sentire la sua presenza, specie nei momenti in cui il ragazzo, preso dalla ricerca di privacy e autonomia, potrebbe trascurare il suo compagno. Gli adulti devono vicariare il giovane padrone senza troppo recriminare, ma anche senza farsi schiavizzare.
È un’altra occasione di imparare che l’impegno con una creatura dipendente è per sempre, anche se cambiano le proprie condizioni.
4. La funzione terapeutica
La Pet Therapy è nata grazie a un bambino affetto da una grave forma di autismo e alle osservazioni del suo terapeuta, Boris Levinson, che aveva riscontrato un miglioramento del suo piccolo paziente a suo parere dovuto all’interazione con il proprio cane, capitato casualmente in studio.
È infatti proprio nei bambini con particolari problemi di socializzazione (disturbi della comunicazione e dell’adattamento), o affetti da vere e proprie patologie psichiche e fìsiche (autismo e disturbi delle capacità motorie) o da difficoltà comportamentali (disturbi della personalità e dell’apprendimento, disturbi da deficit dell’attenzione, ansia da separazione) che la Pet Therapy continua a dare risultati positivi.
Anche dalle successive sperimentazioni del veterinario francese Ange Condoret, fondatore dell’AFIRAC, il cane risultò essere un utile ‘strumento’ terapeutico di rieducazione nei bambini con difficoltà di linguaggio.
Dopo Condoret non si contano gli studi e le esperienze portate avanti con successo da medici e psichiatri su piccoli pazienti: da un’indagine condotta negli Stati Uniti risulta infatti che su un campione di oltre quattrocento psicoterapeuti la maggior parte degli intervistati ricorre alla Pet Therapy.
Il presupposto da cui si parte è che il coinvolgimento animali/bambini risulti positivo e significativo nei riguardi del riequilibrio emotivo e comportamentale. Il discorso vale anche per gli adolescenti con turbe emotive per i quali il cane diventa un mezzo terapeutico per l’acquisizione di una maggiore consapevolezza del mondo che li circonda, soprattutto considerato il fatto che in linea di massima la distanza emotiva tra uomo (bambino) e animale è minore che tra uomo e uomo.
Interessanti a questo riguardo sono i risultati emersi da una recente ricerca condotta dall’ORSEA, e coordinata da Fernando Ferrauti, presso il Dipartimento per il Disagio Devianza Dipendenza della ASL di Frosinone.
Il binomio cane-bambino creatosi nell’età di formazione della personalità incide sulla riduzione di rischio/presenza della dipendenza da sostanze psicotrope in età adolescenziale e adulta. I cani e altri piccoli animali domestici stanno entrando a far parte della vita di giovani pazienti ospedalizzati e lungodegenti e sono accettati in alcuni istituti di cura come parte integrante della terapia.
È accaduto presso il reparto pediatrico del Policlinico di Padova con il progetto ‘La fattoria in ospedale’, un’esperienza pilota avviata qualche anno fa; avviene da anni presso il Green Chimney Farm di Brewster (New York), che accoglie circa 400 animali e oltre cento ragazzi di età compresa tra i 6 e i 18 anni, vittime di violenze o abusi sessuali, disadattati e autistici.
Mediante specifici programmi educativi e terapeutici, soprattutto con il supporto di cani addestrati, i medici sono riusciti a ottenere risultati incoraggianti a livello di recupero del linguaggio e della comunicazione, riduzione dello stress e dell’aggressività, aumento della socializzazione e dell’autostima.
II cane è ben accetto anche da bambini affetti da sindrome di Down, come risulta da alcuni studi condotti a partire dal 1989, riportati da Marina Verga, docente di Etologia Zootecnica presso la facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano; è inoltre risultato un valido supporto per bambini con handicap motori che dalla vicinanza con il cane acquistano maggiore sicurezza e senso di autonomia.
5. Rischi e pericoli della convivenza
I benefici che la presenza del cane apporta al bambino spesso si scontrano con le mille perplessità dei genitori circa i pericoli di questa convivenza.
Vanno sfatate innanzi tutto le paure legate a possibili zoonosi. Le elementari regole di igiene sono sufficienti a eliminare questa possibilità.
I cani e i gatti che vivono in casa sono controllati dal veterinario, hanno un'alimentazione ben controllata e pertanto difficilmente si ammalano di malattie infettive che si possono trasmettere all'uomo.
Quanto alle allergie, premesso che sono più frequenti con il pelo del gatto, è emerso da alcune ricerche che le possibilità di contrarle si riducono nei bambini che nel primo anno di vita hanno vissuto a contatto con un anima le domestico. Ci sono poi i pericoli legati alle eventuali aggressioni di cani a danno dei bambini.
A questo riguardo bisogna precisare che non esistono cani più cattivi di altri, ma solo cani meno adatti di altri a convivere con i bambini perché selezionati dall'uomo per sviluppare al massimo la combattività, la vigilanza o la territorialità per compiti e scopi specifici. Ci sono poi cani con problemi comportamentali dovuti a una mancata socializzazione con l'uomo o a un addestramento sbagliato.
Quando avviene un'aggressione a scattare sono sempre gli stessi meccanismi legati alla paura del cane provocata da qualche incomprensione con il bambino, all'istinto predatorio scatenato da un gesto involontario o imprudente, alla competizione gerarchica innescata da una cattiva familiarizzazione con il piccolo membro del gruppo rispetto al quale il cane si considera dominante.
Sta ai genitori quindi scegliere il cane giusto per mole, per caratteristiche somatiche e soprattutto per carattere ed educazione (socievole, tollerante e docile), e sta sempre ai genitori vigilare sul rapporto cane-bambino, specie nella fase più delicata che va dagli otto mesi ai tre anni, e gestire nel migliore dei modi il processo di coeducazione.
E sempre e comunque lasciandosi guidare da allevatori, addestratori o veterinari competenti.