Secondo molti antropologi nelle trasformazioni degli oggetti nel tempo è possibile individuare un parallelismo con l’evoluzione delle specie viventi.
I prodotti dell’ingegno umano si trasformano infatti secondo criteri analoghi a quelli che hanno portato gli esseri viventi a modificarsi o a estinguersi.
Alcuni oggetti subiscono infatti un processo di diversificazione: così come le specie viventi tendono a moltiplicarsi per adattarsi ad ambienti diversi, anche apparecchi e utensili si differenziano gli uni dagli altri nella forma e nelle funzioni.
È quello che è capitato a coltello e forchetta. Nel Seicento quest’ultima aveva due rebbi (punte) e non permetteva di raccogliere i pezzi di cibo più piccoli: si usava quindi il coltello, che aveva allora una lama larga e tonda fatta apposta per questo.
Nel corso dei secoli nelle forchette crebbe il numero dei rebbi: questo permetteva di usarle per portare il cibo alla bocca dopo averlo infilzato. Così il coltello perse questa funzione e poté diventare più piccolo. In altre parole, la trasformazione di un oggetto ne modificò anche un altro a esso collegato.
Perché la padella è rotonda e la sedia ha quella forma? Può sembrare incredibile ma molti degli oggetti che ci circondano sono gli stessi da 5mila anni!
1. La padella per friggere
Tutti ne abbiamo almeno una a casa; in genere è di acciaio inox con fondo in Teflon antiaderente e un manico in bachelite termoisolante.
Ebbene, questo tipo di pentola dalla forma rotonda, con i bordi bassi e un lungo manico ha alle spalle millenni di storia.
Era infatti una delle pentole più usate nelle cucine di Atene e Sparta, le due più importanti città della Grecia antica; all’epoca si chiamava téganon ed era per lo più in rame.
Dai Greci il suo uso passò ai Romani: il grande cuoco e gourmet Marco Gavio Apicio (25 a.C.-37 d.C.) la cita nel suo celebre libro di ricette, il De re coquinaria, chiamandola patella frixilis, padella per friggere.
Nel Medioevo il nome latino patella si corruppe in molti modi (paelle, paiele, pavelle, padela) finché Bartolomeo Scappi, il grande chef dei papi, vissuto nella Roma del Cinquecento, la battezzò “padella per far ova frittolate”.
Nei due millenni e mezzo che ci separano dagli antichi Greci la padella è cambiata pochissimo: come tutte le altre pentole, fu appoggiata sulle braci del focolare, e per evitare che si rovesciasse, fu dotata di tre piedini d’appoggio che perse solo nell’Ottocento, con l’invenzione dei primi fornelli a gas.
A parte i piedini e il materiale (l’acciaio inox è una scoperta del Novecento), è rimasta la stessa di 2.500 anni fa.
Nella foto sotto, una padella cinese del 1200-1300 dotata di piedini per non rovesciarsi in fase di cottura. Scomparvero in Cina come nel resto del mondo nell’Ottocento quando furono inventati i fornelli a gas.
2. La forchetta dalla prestigiosa storia
La cucina è ricca di utensili storici: piatti, ciotole, vasi, bicchieri di vetro, coppe, calici e casseruole esistono da più di 2mila anni!
Anche le posate, strumenti banali all’apparenza, rivelano una prestigiosa storia. Prendiamo la forchetta: è un’invenzione degli antichi Romani.
Detta lingula o ligula, aveva all’epoca solo due rebbi e veniva utilizzata dai servi per infilzare le carni cotte alla brace e portarle a tavola.
Il suo uso scomparve in Occidente dopo le invasioni barbariche, ma si mantenne vivo presso la corte di Bisanzio, storica capitale dell’Impero romano d’Oriente. E fu proprio qui che subì un’importante trasformazione: divenne una posata individuale.
Nel 1004, Giovanni Orseolo, figlio del doge veneziano Pietro II, sposò la 17enne Maria Argyropoulaina, nipote dell’imperatore bizantino Basilio II. Al banchetto di nozze, tutti mangiarono con le mani, tranne la principessa Maria la quale, tra lo stupore dei presenti, utilizzò una forchettina d’oro a due rebbi.
A Venezia, preti e sacerdoti tuonarono a lungo contro questo “strumento del demonio”, ma alla fine il suo igienico utilizzo s’impose tra i nobili; tra Trecento e Quattrocento acquistò un terzo rebbio (per poter meglio infilzare i bocconi piccoli) e si diffuse tra i ricchi borghesi.
Agli inizi del Cinquecento cominciò a invadere le tavole di altre città italiane, come Roma e Firenze. Il 31 dicembre 1581, il filosofo francese Michel de Montaigne si trovava a Roma e fu invitato a cena da un potente cardinale.
Nei suoi Saggi il filosofo ci racconta che il prelato aveva fatto predisporre una meravigliosa tavola imbandita; davanti a ogni commensale aveva distribuito un piatto con cucchiaio, coltello e forchetta, due salviette e un piccolo cestino per il pane. Montaigne si meravigliò, ma a noi questa tavola sembra familiare.
3. Sedie e sgabelli
E a proposito di tavole imbandite, lo sapete che sedie e sgabelli sono cambiati molto poco dai tempi dell’antico Egitto?
Già 5mila anni fa nella terra dei faraoni gli artigiani producevano sgabelli in legno a quattro gambe e con una seduta in stuoia intrecciata, sgabelli bassi in mogano da usare come poggiapiedi e sgabelli pieghevoli che oggi non sfigurerebbero in una casa rustica.
Quanto alla sedia, sappiamo che si sviluppò dallo sgabello durante l’epoca della II Dinastia (2.800-2.660 a.C.) e che a partire dal Nuovo Regno (1.552- 1.070 a.C.) divenne uno dei mobili più comuni nelle case egizie.
Il modello base non aveva braccioli e presentava una seduta di fibre intrecciate (di solito imbottita con un cuscino), oltre a quattro gambe spesso decorate a zampa d’animale (i braccioli erano riservati alle poltrone).
Lo schienale era in origine dritto e rigido: solo col tempo si ammorbidì e assunse la forma “a cartella”, leggermente inclinato all’indietro.
Furono gli antichi Greci, nel V secolo a.C., a modellare il klismós, cioè un tipo di sedia a noi familiare: senza braccioli, con un comodo schienale arrotondato che avvolgeva la schiena e quattro gambe incurvate all’infuori.
4. Cuscini e guanciali
Sin dai tempi dei Faraoni, i cuscini imbottiti rendevano più comode sedie e poltrone.
Nell’antichità erano riempiti di paglia, scampoli di tessuto o preziose piume, le nostre trisnonne e bisnonne li imbottivano con pula di grano o farro, fiocchi di lana grezza e cirmoli (piccoli e morbidi fiocchi di legno di pino cembro).
Oggi, invece, sono realizzati in gommapiuma, lattice o memory foam, una morbidissima schiuma di poliuretano che reagisce al calore corporeo e “memorizza” per qualche secondo le sue forme. A parte l’imbottitura, la forma dei cuscini non è cambiata affatto nei millenni.
Molto diversa è invece la storia del guanciale, il cuscino destinato a sostenere la nostra testa a letto.
In Mesopotamia e nell’antico Egitto era duro, anzi durissimo: si trattava di un poggiatesta a forma di mezzaluna in pietra, a volte in legno (materiali poveri) oppure in alabastro o in avorio (materiali più preziosi).
Per renderlo un po’ più confortevole, lo si avvolgeva con qualche giro di stoffa, ma duro sostanzialmente restava (e poi dormendo non si poteva girare la testa).
Anche nell’antica Cina i guanciali erano “torture” in cui non si poteva affondare il viso: nelle case povere era un rozzo poggiatesta in ceramica, mentre i nobili ne avevano di raffinati in porcellana smaltata, dipinta e arricchita di pietre preziose (ancora più dure).
La versione morbida e soffice del guanciale entra nella storia grazie a Greci e Romani e, per ragioni che tutti noi comprendiamo al volo, dalla storia non è più uscita.
5. Gli ombrelli
L’origine di alcuni degli oggetti senza cui oggi non riusciremmo più a vivere si perde nella notte dei tempi; è il caso dell’ombrello, per esempio.
Assiri, Babilonesi, Egizi e Persiani lo utilizzavano già diversi secoli prima di Cristo. Non sappiamo chi l’abbia inventato: qualcuno sostiene che siano stati i Cinesi nell’XI secolo a.C.
I Babilonesi impiegarono l’ombrello come parasole, ma più per vezzo che per convinta necessità.
Gli Egizi, invece, credevano che la dea Nut coprisse la Terra con il suo corpo arcuato, proprio come un parasole, e le persone camminavano con gli ombrelli per avere la sua protezione.
In estremo oriente l’ombrello addirittura divenne un segno distintivo di nobiltà, tanto che poi il suo uso fu permesso soltanto ai reali e ai dignitari di corte. In effetti, sculture e dipinti di migliaia di anni fa, provenienti da Assiria, Persia e India mostrano servitori intenti a riparare dal sole i loro governanti con un ombrello.
Tuttora, in molti paesi africani, l'ombrello è simbolo di autorità. Come simbolo di potere poi si diffuse anche tra le massime autorità della gerarchia della Chiesa (Papi e cardinali).
I primi ombrelli della storia furono riservati a imperatori, nobili e alti dignitari, ed erano molto simili ai nostri: anziché essere in tessuto sintetico, legno e metallo, avevano manico, asta e telaio in bambù o in legno di gelso e la parte superiore in seta o carta trattata con lacche pregiate e dipinta a mano.
A differenza di quel che si può pensare, per millenni l’ombrello non servì affatto come riparo dalla pioggia: come il nome rivela, fu utilizzato per fare ombra, cioè per ripararsi dal sole.
Fu solo agli inizi dell’Ottocento che questo oggetto cominciò a essere utilizzato per non infradiciarsi sino all’osso. E sapete a chi venne un’idea così geniale? Agli inglesi, ovviamente, nella cui patria piove per 360 giorni all’anno. O quasi.