Nel Ventunesimo secolo, a dispetto di tutti gli sforzi di medici, nutrizionisti e servizi sanitari, il tasso globale di obesità e degli altri disturbi a essa connessi è cresciuto fino a proporzioni epidemiche.
Ci sentiamo sempre dire che per restare sani dovremmo mangiare meno e fare più esercizio, ma è davvero così semplice?
È scientificamente dimostrato che abbiamo risposte metaboliche diverse agli stessi alimenti: non esistono linee-guida che possano valere per tutti, e molte diete si basano su dati scientifici sospetti, superati o pieni di pregiudizi.
Siamo tutti influenzati da miti ormai profondamente radicati nella nostra psiche (la colazione è il pasto più importante della giornata, i grassi fanno male, il pesce fa bene e così via), che possono risultare difficilissimi da estirpare.
In più l’industria globale del cibo investe ogni anno miliardi di euro, e di dollari, nella produzione di cibi altamente processati (sono quelli lavorati e confezionati, caratterizzati da tempi lunghi di conservazione) che, secondo alcuni, sono fatti apposta per farcene desiderare di più.
La nostra scarsa comprensione della scienza del cibo ha molte ragioni, non ultimo il fatto che quella della nutrizione è un’area di ricerca relativamente giovane e assai complessa, che nella maggior parte dei paesi ha cominciato a essere considerata solo dagli anni Settanta ed è rimasta a lungo esclusa dal resto della medicina.
Quarant’anni fa, era del tutto secondaria: ci veniva insegnato molto di più sullo scorbuto che sulle diete o sull’obesità, e purtroppo oggi la situazione non è poi così diversa.
Una ricerca scientifica seria nel campo della nutrizione è complicata e costosa da mettere in atto, e procurarsi i fondi per quegli studi di lungo corso che sono imprescindibili per avere risultati affidabili è tutt’altro che facile.
Fino a tempi molto recenti, inoltre, la scienza della nutrizione ha anche ignorato l’importante ruolo del microbiota, gli oltre 100 bilioni di batteri, funghi, parassiti e virus che vivono nel nostro intestino e che superano in numero le stesse cellule del nostro corpo.
Il cibo che ingeriamo interagisce con tutti questi microrganismi per produrre migliaia di sostanze chimiche diverse che influiscono sul nostro stato di salute. Comprendere questi processi ha modificato profondamente il nostro approccio con il cibo e la nutrizione. Ma ci sono anche ragioni per essere ottimisti: questo campo della scienza sta progredendo a una velocità mai vista prima.
Gli studi più recenti, inclusi quelli dell’Istituto Scientifico Weizmann, in Israele, e quelli di PREDICT, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, impiegano anche le più avanzate risorse offerte dall’intelligenza artificiale e dalla citizen science, e stanno cambiando convinzioni prima ritenute inattaccabili.
Ora abbiamo le prove che non esiste alcuna dieta che vada bene per chiunque: la chiave per mantenere sana la nostra popolazione di microbi e la nostra salute è un’alimentazione diversificata.
Sappiamo inoltre che disturbi come il diabete si possono tenere sotto controllo con una dieta povera di carboidrati e ricca di grassi, contro la credenza a lungo diffusa che solo i farmaci fossero utili in casi come questo.
E si è dimostrato che il grasso stesso, considerato per anni il diavolo nel nostro cibo, protegge dal diabete e dai problemi cardiaci, e non il contrario. Insomma è urgente che le nostre convinzioni sul cibo vengano riviste e che i miti che ci hanno accecato per tanto tempo vengano una buona volta cancellati.
Lo sappiamo tutti che i grassi fanno male e che quella vegetariana è una dieta sanissima, giusto? E invece non è detto che sia così. Ecco la verità su alcuni dei miti più diffusi e duri a morire su ciò che mettiamo in tavola…
1. CONTARE LE CALORIE
Devono uscire le stesse calorie che entrano: è questa la semplicissima regola su cui è stata costruita un'intera industria del cibo.
Secondo le linee-guida internazionali dell’OMS un maschio adulto dovrebbe consumare 2.500 calorie al giorno e una femmina 2.000, ma l'idea di un quantitativo calorico giornaliero universalmente valido è nella migliore delle ipotesi fuorviante e nella peggiore dannosa.
C’è l’errata convinzione che le calorie siano un metodo diretto per calcolare quanto un determinato alimento "faccia ingrassare".
In realtà, per quanto sia possibile indicare con precisione il valore calorico di un piatto, la relazione tra questo e l’organismo di ciascuno di noi è molto meno inequivocabile: ogni essere umano ha un diverso metabolismo basale (che normalmente nelle persone sane varia fino al 25 per cento) e brucia energie in modi diversi.
Inoltre non bisogna dimenticare che i conteggi delle calorie sono solo stime. L'idea che si possa misurare esattamente il valore energetico di un alimento è senza senso: sostenere che un piatto con 312 calorie sia meglio di uno con 329 è semplicemente ridicolo.
Per esempio si è pensato per anni e anni che le noci avessero un valore calorico del 20 per cento superiore a quello che hanno realmente, finché non si è scoperto che gran parte dei loro grassi non vengono rilasciati quando le mangiamo.
Allo stesso modo, la maniera in cui il nostro corpo utilizza e conserva le energie ricavate, per dire, da una pannocchia di granturco è diversa da quella delle energie che vengono dal pane di grano o dai cornflakes.
Eppure la semplicistica teoria delle "calorie dentro, calorie fuori” mette l’energia ricavata in tutti questi differenti casi sullo stesso piano.
Oggi sappiamo anche che i vari metodi di cottura alterano la struttura del cibo: una bistecca alla tartara fornisce meno calorie di un hamburger al sangue, che a sua volta ne fornisce meno di una bistecca stracotta.
Cosa ancora più importante, il cibo processato ad alti livelli vede distrutta la struttura delle sue cellule, che siano animali o vegetali, e si trasforma in una "poltiglia” poverissima dal punto di vista nutrizionale.
Quando si ha a che fare con le calorie, comunque, il problema fondamentale non è tanto il calcolo in sé - che a qualche scopo molto basilare può anche servire - quanto piuttosto il fatto che esso trasmette una falsa sensazione di sicurezza e precisione.
Su questo le industrie farmaceutiche hanno potuto costruire un intero mercato di cibi "ipocalorici" per nulla sani, spacciandoli per ottimi alimenti. In realtà per il consumatore medio le calorie sono un disastro: ci hanno fatto credere che gli effetti del cibo su di noi siano facilmente misurabili e ci hanno indotti a mangiare alimenti enormemente alterati che non saziano la nostra fame.
Ma l'essere umano non è un'automobile con uno standard per il carburante: l'organismo è una "macchina" molto più complessa. Anziché basare le nostre scelte alimentari su conteggi universali, arbitrari e spesso imprecisi, dovremmo imparare a conoscere e capire il nostro corpo e le sue vere necessità.
2. IL VEGANISMO E' L'ALIMENTAZIONE PIÙ SALUTARE
Negli ultimi anni è diventata sempre più di moda l'alimentazione a base di vegetali, con i suoi supposti risultati positivi tanto sulla salute dell’uomo quanto sul benessere degli animali e dell'ambiente.
E in effetti per queste ultime due realtà il veganismo è realmente un vantaggio, ma per quanto riguarda la nostra salute i dati scientifici non sono poi così sicuri.
Sebbene secondo alcuni studi la dieta vegana sembri ridurre i rischi connessi ai disturbi cardiovascolari, non ci sono riscontri su un allungamento della vita media dei vegani rispetto a quella dei non-vegani.
Da una ricerca britannica che ha preso in esame 5.200 casi di decesso è emerso che tra vegetariani e non-vegetariani l’incidenza di morte è la stessa.
I vegani possono ricavare tutte le proteine di cui hanno bisogno da grano e legumi, ma tendono a soffrire di carenze di vitamina B12 e ferro, e i bambini allevati con dieta vegana restano spesso più piccoli e mostrano carenze di determinate sostanze nutritive fondamentali.
L'industria del cibo ha cavalcato queste tendenze producendo numerose alternative vegane a vari alimenti, che sono spesso altamente processate e piene di sale, zucchero e conservanti: una scatola di "bastoncini di pesce vegani" esaminata conteneva non meno di quaranta ingredienti artificiali.
L'aspetto più positivo di qualunque dieta vegana è l'elevato consumo di alimenti vegetali, che sono essenziali per fornire il grande quantitativo di fibre amate dai nostri microbi e per mantenerci in buona salute.
Ma gli stessi alimenti si possono aggiungere a una dieta onnivora o vegetariana ottenendo i medesimi risultati, per cui non si può sostenere che il veganismo in se stesso sia più salutare di altri regimi.
Ciò detto, esistono comunque ottime ragioni per ridurre il nostro consumo di carne e latticini: la maggior parte della gente non ha davvero bisogno del quantitativo di proteine di cui in genere crede di necessitare, e il futuro stesso del nostro Pianeta dipende da una generalizzata riduzione del consumo di carne.
Solo, non cadete nel tranello di pensare che "vegano" sia automaticamente sinonimo di "salutare".
3. IL CIBO LOCALE È SEMPRE IL MIGLIORE E L'ESERCIZIO FISICO FA DIMAGRIRE
- IL CIBO LOCALE È SEMPRE IL MIGLIORE
Negli Stati Uniti un prodotto alimentare viaggia in media per 2.414 chilometri prima di raggiungere il piatto del consumatore.
La Gran Bretagna, che un tempo produceva il più alto numero di varietà di mele al mondo, oggi ne importa il 70 per cento, facendone viaggiare alcune per oltre 16mila chilometri.
Un discorso, quello dei cibi che arrivano da molto lontano, valido per la maggior parte dei paesi occidentali.
I costi ambientali, sociali ed economici associati al trasportare il cibo in giro per il mondo sono enormi, e in molti si preoccupano giustamente di come ridurre questi spostamenti.
Per contrastare almeno un po’ il fenomeno, i consumatori più coscienziosi cercano di comprare cibo locale, una scelta che in effetti aiuta l’ambiente, l’economia e i produttori. Suona semplice e può essere solo una buona idea. Ma è davvero così?
La realtà è più complicata. Secondo uno studio pubblicato da Semantic Scholar nel 2009, in Gran Bretagna mangiare agnello cresciuto in Nuova Zelanda sarebbe più ecologico di qualunque altra opzione locale.
Infatti, sebbene la carne viaggi per distanze enormi, lo fa anche in quantità elevate e gli animali crescono in fattorie eco-efficienti che impiegano idroelettricità.
Inoltre il clima leggermente più mite della Nuova Zelanda permette all'erba di crescere più a lungo: in questo modo le pecore possono vagare libere e hanno bisogno di meno cibo aggiuntivo.
Anche i pomodori cresciuti nel soleggiato clima spagnolo sono più ecosostenibili di quelli prodotti in serra in molti paesi del Nord Europa.
Insomma comprare cibo locale può sì ridurre la distanza netta tra il campo e la tavola, ma qualunque beneficio per l’ambiente sarà probabilmente cancellato dai numerosi brevi viaggi di veicoli poco efficienti, che divorano enormi quantità di carburante.
Tuttavia non c’è dubbio che "mangiare locale" sia la scelta migliore se ci si rivolge a cibi stagionali e si scelgono con attenzione i mezzi di raccolta e trasporto.
In altre parole, "locale" può voler dire "migliore" ma non automaticamente: assicuratevi sempre di conoscere la provenienza del vostro cibo, di sapere se è prodotto stagionalmente e se è processato il minimo possibile.
- L'ESERCIZIO FISICO FA DIMAGRIRE
E' vero che l'esercizio mantiene generalmente più sani e riduce l'incidenza di molti disturbi comuni.
Ma non è la bacchetta magica per dimagrire che tanti credono sia.
A meno che non siate atleti professionisti o maratoneti che si allenano tutti i giorni, le probabilità maggiori sono che l'attività fisica resetti in basso il vostro termostato metabolico e aumenti i vostri livelli di fame: a quel punto mangerete di più e di conseguenza brucerete meno delle calorie che brucereste stando a riposo.
In particolare le aziende produttrici di bevande dolci hanno cavalcato questo mito per decenni, finanziando ricerche che sostengono che se solo facessimo più esercizio potremmo mangiare e bere tutti gli zuccheri che vogliamo.
Ma la semplice verità è che la maggior parte della gente non può combattere una pessima dieta solo facendo jogging: le scelte corrette nel campo dell'alimentazione sono più importanti di qualunque iscrizione in palestra.
4. BISOGNA BERE OTTO BICCHIERI D'ACQUA AL GIORNO
Chiunque ha bisogno di acqua per vivere e stare bene, ma con il passare del tempo il quantitativo raccomandato è andato crescendo sempre di più, e oggi molte linee-guida si attestano su un minimo di otto bicchieri al giorno.
Ci sono dunque prove scientifiche a sostegno della preoccupazione che ci si possa disidratare con tanta facilità? La risposta in sintesi è no.
Studi che hanno seguito per oltre un decennio soggetti anziani non hanno riscontrato alcun beneficio sulla funzionalità renale o sulla mortalità correlato a un maggior consumo d'acqua.
Eppure ingegnose campagne pubblicitarie da parte delle aziende che producono acqua in bottiglia ci hanno convinto non solo che dovremmo bere di più, ma anche che la costosa acqua minerale in bottiglia è quella che ci fa meglio.
Attualmente gli esseri umani bevono più acqua imbottigliata di quanto abbiano mai fatto: la relativa industria globale cresce del 10 per cento ogni anno e si stima che nel 2025 il mercato varrà 215 miliardi di dollari (approssimativamente 180 miliardi di euro).
Tuttavia la ricerca scientifica ha dimostrato che nel mondo di oggi l'acqua del rubinetto è sanissima, anzi con la sua aggiunta di fluorina è anche d'aiuto ai nostri denti.
Vero che alcuni studi vi hanno rilevato tracce di prodotti farmaceutici, ma ne sono stati trovati agli stessi livelli anche nell'acqua in bottiglia: si tratta perlopiù di cloro (un gas naturale che evapora rapidamente una volta aggiunto all'acqua), ma la sua percentuale è troppo piccola per sortire qualunque effetto di rilievo sulla nostra salute.
Insomma, è un dato di fatto che l'acqua in bottiglia abbia uno spaventoso costo in termini ambientali e nessun beneficio in salute. Ma in quanto a sapore? Test di laboratorio su soggetti che non potevano vedere che cosa stavano bevendo hanno dato risultati migliori per l’acqua di rubinetto.
Ed è quest’ultima che vi consigliamo di bere: eviterete di contribuire al mezzo bilione di bottiglie di plastica che finisce nell'ambiente ogni anno e vi libererete almeno un po’ dal potere del marketing.
5. DOVREMMO SEGUIRE TUTTI LO STESSO TIPO DI DIETA E I PESTICIDI NON FANNO MALE
- DOVREMMO SEGUIRE TUTTI LO STESSO TIPO DI DIETA
Negli ultimi cinquant'anni ci siamo sentiti dettare costantemente l'esatto quantitativo di calorie, grassi, proteine e carboidrati che dovremmo mangiare per essere sani.
Al momento ci viene detto di evitare i grassi saturi, preferire i cibi magri, scegliere la margarina al posto del burro, ingerire grandi quantità di vegetali ricchi di amido, mangiare poco e spesso e non saltare mai la colazione.
Ebbene, dietro a tutto questo non c'è nessun sostegno autenticamente scientifico, anzi le ricerche più recenti hanno confutato gran parte di queste raccomandazioni.
C'è dunque poco da meravigliarsi se nell'ultimo mezzo secolo il tasso di obesità nel mondo è triplicato.
La colpa non è solo dell'influenza dell'industria alimentare, ma anche del semplice fatto che abbiamo trascurato l’unicità di ciascuno di noi.
Nel 2020 PREDICT1 ha eseguito uno studio nel quale a mille soggetti sono stati dati gli stessi pasti e sono poi stati controllati i valori del loro sangue, il loro metabolismo e la presenza di eventuali infiammazioni: non ci sono stati due risultati uguali, nemmeno tra gemelli identici (che sono cloni genetici).
Alcune persone hanno avuto reazioni negative ai grassi, altre ai carboidrati, e queste alterazioni ematiche di breve periodo possono a lungo andare portare a problemi metabolici e aumento di peso.
Studi random come quello condotto nel 2018 da DIETFITS hanno messo a confronto diete ricche di grassi e diete povere e hanno scoperto che dopo un anno non c'erano differenze degne di nota tra un gruppo e l'altro, ma ce n’erano di enormi all’interno dei gruppi stessi.
Stiamo entrando oggi nell'era della nutrizione personalizzata, in cui si possono finalmente consegnare alla storia le diete e le linee-guida generali dei decenni passati.
- I PESTICIDI NON FANNO MALE
La moderna produzione di cibi più economici in quantità sempre maggiori è stata facilitata dall’uso dei pesticidi.
Gran parte dei prodotti che ognuno di noi consuma regolarmente è stata esposta a una sostanza chiamata glifosato.
Ne sono stati rilevati valori particolarmente alti negli alimenti per la colazione, come i cereali. I coltivatori usano questo pesticida fin dal 1974 per la sua capacità di uccidere le erbacce preservando nel contempo i raccolti, il tutto - si suppone - senza danneggiare né gli animali né l'uomo.
Ma vari studi oggi dimostrano che potrebbe esistere una correlazione tra l’esposizione al glifosato e l'insorgenza di alcuni generi di linfoma, con effetti collaterali che aumentano se si indaga anche sulla presenza di altri pesticidi come gli organofosfati.
Il dato, però, è avversato dalle multinazionali che producono glifosato e anche da alcune agenzie sanitarie. A non essere affatto in discussione, invece, sono i danni inflitti dai pesticidi (e dagli erbicidi) alle colonie di microrganismi che vivono nel terreno e nel nostro intestino.
Uno dei ruoli del microbiota umano è stabilizzare il nostro sistema immunitario, quindi forse non dovrebbe sorprendere che alcune prove epidemiologiche (per quanto deboli) colleghino i pesticidi all’aumento dei fenomeni allergici. Per quanto i governi ci rassicurino che il quantitativo di pesticidi impiegato in agricoltura è innocuo per la nostra salute, è un dato di fatto che consumiamo queste sostanze per tutta la durata della nostra vita.
Particolarmente vulnerabili ai loro effetti più subdoli potrebbero essere le donne incinte e i loro bambini, è ormai diventato urgente fare studi più numerosi e approfonditi sugli effetti di queste sostanze sulla nostra flora intestinale.
Nel frattempo, possiamo ridurre la nostra esposizione lavando bene frutta e verdura, coltivandole in proprio o scegliendo prodotti biologici, che certamente subiscono meno trattamenti con i pesticidi.