Sembrano fake news, ma non lo sono.
Si tratta semplicemente di fatti poco noti, ma che a modo loro dicono molto sulla dinastia sabauda e sai suoi intrecci con la storia europea.
Fra scambi in culla, corone sfiorate e troni mancati, vi sveleremo alcuni succosi “dietro le quinte” della nostra royal family.
1. Il Madagascar può attendere
Pochi lo sanno, ma fra il Cinque e il Seicento casa Savoia assoldava corsari inglesi - Henry Mainwaring, Robert Walsingham, Robert Easton e altri - per far preda nel Mediterraneo e razziare schiavi musulmani in Nordafrica.
E nel Settecento i reali stavano per estendere questa attività addirittura nell'Oceano Indiano, come potenziali sovrani del Madagascar e delle ciurme di pirati europei e americani che in quell'isola si annidavano.
Andò così: Vittorio Amedeo II fu invitato per iscritto, dagli stessi pirati, a proclamarsi sovrano del Madagascar. Non tutti erano rozzi: fra loro c'erano anche raffinate menti politiche, nobili e letterati capaci di tenere in mano la penna come la spada. La proposta partì in un anno imprecisato fra il 1720 e il 1730.
I filibustieri del Madagascar desideravano far carriera e da semplici pirati volevano diventare corsari, grazie a lettere sabaude che certificassero il servizio reso al sovrano; il loro obiettivo era essere trattati come prigionieri di guerra anziché finire impiccati, in caso di cattura da parte di navi da guerra inglesi, francesi, olandesi ecc.
In cambio, i filibustieri garantivano che re Vittorio Amedeo non avrebbe dovuto sborsare un soldo, perché sarebbero stati loro, i pirati promossi corsari, a fornirgli gratis la manodopera militare e le navi necessarie a presidiare il Madagascar e le sue acque.
Anzi, gli avrebbero pure pagato sostanziose royalty sulle prede fatte in mare. Si prospettò addirittura l'ipotesi di usare il Madagascar come base di conquiste in Etiopia.
Come finì? Vittorio Amedeo ci pensò su, ma non ne fece nulla: era ancora impegnato ad assorbire nei suoi domini la Sardegna (acquisita da poco). La stessa linea seguì il figlio Carlo Emanuele III; il Madagascar appariva favoloso ma un po' troppo impegnativo.
Sotto, le divise dei soldati di fanteria del Ducato di Savoia all’inizio del Settecento.
2. La prima corona
In casa Savoia il titolo di conte di Ginevra non luccicava.
Veniva attribuito ai secondogeniti maschi del duca; poi ci si aspettava che costoro si dessero da fare, con la spada o con i matrimoni, per trovare una collocazione migliore nel mondo.
Nel XV secolo un conte di Ginevra di nome Luigi (foto sotto), fu il primo Savoia della Storia a cingere una corona: ci riuscì impalmando Carlotta di Lusignano, erede effettiva del regno di Cipro ed erede teorica anche di molto altro in Oriente.
Segniamoci la data: il 7 ottobre 1459 a Nicosia un Savoia viene incoronato re di Cipro, Gerusalemme e Armenia, due secoli e mezzo prima che la dinastia cingesse la corona di Sardegna e quattro secoli prima che assurgesse a quella d'Italia.
Luigi non durò molto come sovrano, soltanto un anno. E anche in quell'anno il suo potere venne contrastato con le armi.
Carlotta aveva un fratellastro che aspirava al trono di Cipro, e per raggiungere lo scopo il fedifrago non esitò ad allearsi con il sultano dell'Egitto e a sbarcare sull'isola al comando di un'armata di mercenari arabi.
Luigi cercò aiuto sia in Savoia sia presso le repubbliche marinare italiane, ma quello che ottenne non bastò.
Scacciato da Cipro già nell'ottobre 1460, vi sbarcò un'altra volta nel 1461 con un nuovo esercito, ma fu respinto, stavolta definitivamente.
Nell'impossibilità di farli valere, cedette i suoi pomposissimi titoli regali al fratello duca, che a sua volta li trasmise agli eredi. Fino a Vittorio Emanuele III: solo allora questa storia finì.
3. Il figlio del macellaio
Sui Savoia grava un sospetto che a suo tempo fu avvalorato (sottotraccia) da Massimo d'Azeglio, e più di recente è stato considerato seriamente dallo storico britannico Denis Mack Smith: l'ipotesi che il primo re d'Italia, Vittorio Emanuele II, non fosse figlio di Carlo Alberto, ma di un macellaio fiorentino.
Niente adulterio però: si tratterebbe di un caso di sostituzione. Ecco i fatti.
La notte del 16 settembre 1822, nella Villa del Poggio Imperiale a Firenze - dove Carlo Alberto e la moglie soggiornavano -, il lettino del piccolo Vittorio Emanuele bruciò, assieme alla balia che aveva appiccato involontariamente il fuoco manovrando un lume.
La ragazza mori carbonizzata, ma da quel rogo il prezioso frugolo si sarebbe salvato miracolosamente, senza il minimo danno.
Per il Regno di Sardegna la perdita di quell'unico erede al trono sarebbe stata esiziale: già re Carlo Felice, vecchio e senza figli, era stato costretto a designare come erede un lontanissimo cugino (di quinto grado), da lui peraltro non amato, e cioè Carlo Alberto.
Ma se anche questo erede fosse rimasto senza discendenza, le potenze europee avrebbero potuto dichiarare estinta la dinastia dei Savoia per sostituirla con un'altra.
Proprio per il mese successivo (ottobre 1822) era convocato a Verona un Congresso della Santa Alleanza, e se il Regno di Sardegna si fosse presentato con la dinastia sull'orlo dell'estinzione ne sarebbero potute uscire decisioni irreparabili.
Da qui la necessità assoluta di mostrare al mondo un principino in perfetta salute, mentre il lettino era un tizzone e la balia era morta.
La vox populi disse che il principino era morto ed era stato sostituito con un altro bambino, figlio di un macellaio soprannominato Maciacca, o Tanaca (vero nome Gaetano Tiburzi).
Secondo la testimonianza dell'ex Primo ministro Massimo d'Azeglio, raccolta a viva voce dall'editore e scrittore Gaspero Barbera, il vero figlio di Carlo Alberto sarebbe "rimasto abbruciato nell'incendio; anche il generale Alfonso La Marmora e altri dignitari espressero dubbi sulla reale paternità di Vittorio Emanuele II, dubbi poi soffocati.
Tutto vero, tutto falso? Per appurarlo servirebbe un esame del Dna, che non è mai stato fatto. E i Savoia non vi sono affatto tenuti: hanno diritto come tutti alla loro privacy genetica. Del resto, la storia di tante famiglie reali sarebbe da riscrivere, se si andasse a scandagliare chi è figlio di chi.
4. Regine in casa d'altri
Casa Savoia non ha avuto imperatori, ma vanta ben due imperatrici, una a Costantinopoli e una in Germania, a testimoniare il prestigio europeo di una dinastia capace di combinare fruttuosi matrimoni per le sue rampolle.
Nel 1328 una Giovanna di Savoia (foto a sinistra) si insediò a Bisanzio come imperatrice consorte, assumendo il nome di Anna Paleologina, ma fece ben di più che accasarsi, perché dopo essere rimasta vedova esercitò da sola il potere nella capitale e nell'impero, e lasciò in Oriente una discendenza che di sangue era anche sabauda.
Costantinopoli era un nido di vipere, dove ci si muoveva fra intrighi e tradimenti, ma Giovanna se la cavò egregiamente, pur rivelandosi il ruolo di imperatrice molto complicato: per lei furono decenni di lotte continue.
Qualche secolo prima, un'altra vita illustre grazie alle nozze fu quella di Berta di Savoia, che diventò imperatrice d'Occidente sposando un principe tedesco, che poi diventò imperatore del Sacro romano con il nome di Enrico IV (si, quello di Canossa e della lotta per le investiture).
Tempi più burrascosi visse Mafalda di Savoia, diventata regina del Portogallo nel 1146, quando il Paese era per metà occupato dai Mori e vi infuriava la guerra: conflitto che peraltro finì bene, visto che fu lei, Mafalda, a entrare da trionfatrice a Lisbona, appena conquistata dopo un epico assedio, al fianco di re Alfonso I.
Altre Savoia divennero poi regine di Portogallo, di Francia e di Boemia. Ma i nostri ex reali hanno mai conferito il potere a una donna? No, in assenza di figli maschi, le eventuali femmine venivano scavalcate da consanguinei, anche lontanissimi cugini, purché maschi.
Qua sotto, Berta di Savoia col marito Enrico IV e il figlio, a Canossa.
5. Illuminati ma non troppo
Vittorio Amedeo II, il duca di Savoia che diventò re di Sardegna (e lo stesso a cui venne offerta la corona del Madagascar), fu un sovrano intelligente, colto e riformatore.
L'arco della sua vita coincise con il primo albeggiare dell'Età dei Lumi, eppure sotto di lui, fra il 1709 e il 1710, Torino fu teatro di un processo per stregoneria seguito da una condanna a morte per squartamento, come nel più buio dei Secoli bui.
Un carcerato, Giovanni Boccalaro, studiò un piano che nel XXI secolo ci fa sorridere, ma al tempo fu preso sul serio dai suoi contemporanei: con presunte pratiche di magia nera cercò di far morire Vittorio Amedeo II, contando sul fatto che il duca successore festeggiasse poi l'ascesa al potere con un'amnistia, di cui lo stesso Boccalaro avrebbe beneficiato.
Era un sarto, "ospite" del carcere di Torino per omicidio. Il Boccalaro avrebbe confezionato un pupazzo di pezza con le fattezze del re, ma il feticcio cadde in mano alle autorità, grazie alla soffiata di un compagno di cella.
Il Boccalaro provò a difendersi affermando che il delatore si era inventato tutto per ottenere uno sconto di pena, tuttavia l'accusa aveva in mano una prova, cioè il pupazzetto, e questo portò a una condanna atroce: torturato e mutilato con le tenaglie infuocate ("nei luoghi soliti" dice la sentenza), il poveretto fu smembrato in quattro parti, che vennero appese alle quattro porte di Torino, e la sua testa esposta su una colonna.
Fu un caso estremo per truculenza, ma non isolato: sotto Vittorio Amedeo II le condanne per stregoneria, di varia severità, furono una sessantina. Niente male per un duca illuminato (foto sotto).