Giorgio VI di Inghilterra salì al trono perché il fratello Edoardo aveva rinunciato alla corona per amore.
Delicato di salute, timido ed emotivo, superò la balbuzie che lo affliggeva e passò alla storia come sovrano carismatico e amato dal suo popolo, al quale fece sentire profonda dedizione durante la Seconda Guerra mondiale.
Ma che era veramente Giorgio VI, colui che avrebbe salvato il Paese durante la Seconda Guerra mondiale? Scopriamolo insieme.
1. Cresce lontano dai genitori
Re Giorgio VI di Inghilterra, colui che avrebbe salvato il Paese durante la Seconda Guerra mondiale, nacque il 14 dicembre 1895 a Sandringham, nel Norfolk, nel “cottage” (in realtà un vero e proprio palazzo) che i suoi genitori avevano ricevuto come dono di nozze due anni prima.
Il futuro sovrano nacque lo stesso giorno in cui cadeva la ricorrenza della morte di Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, marito della regina Vittoria, ancora ben salda sul trono.
Perciò venne battezzato col nome di Alberto, immediatamente abbreviato in Bertie, soprannome che venne usato in famiglia per tutta la sua vita.
Essendo il secondogenito, non si prevedeva che sarebbe salito al trono, riservato – come era naturale – al fratello maggiore, il principe Edoardo. I primi anni di vita di Alberto non furono facili.
Come avveniva normalmente all’epoca nelle classi sociali elevate, cresceva lontano dai genitori, allevato dalle balie. Alberto era di salute cagionevole ed emotivo, facile agli spaventi e alle lacrime.
Aveva problemi cronici allo stomaco e alle ginocchia. Inoltre era mancino, ma veniva costretto a scrivere con la destra, forzatura non estranea alla balbuzie da cui era afflitto, che iniziò a manifestarsi a partire dagli otto anni.
A quattordici anni venne mandato al collegio navale, dove si classificò ultimo della sua classe. Chiunque altro si sarebbe visto chiudere in faccia le porte di ogni possibile carriera in Marina per questo, ma non lui, membro della famiglia reale, che due anni dopo poté iscriversi al Royal Naval College di Dartmouth.
Allo scoppio della Grande Guerra Alberto era quindi in Marina, a bordo della corazzata HMS Collingwood, con la quale partecipò in prima fila all’impegnativa battaglia navale dello Jutland, il 31 maggio 1916.
In seguito fu costretto a sbarcare per le conseguenze di un’ulcera duodenale e nel febbraio 1918 entrò nella neonata Royal Air Force, prendendo il brevetto di pilota e assumendo il comando di una squadriglia l’anno successivo.
Terminata la guerra e l’impegno militare, Alberto tornò a studiare, questa volta al prestigioso Trinity College di Cambridge, storia ed economia. La sua balbuzie gli rendeva difficile apparire in pubblico, ma amava gli sport ed eccelleva nel tennis (infatti partecipò anche a un torneo di Wimbledon).
Nella foto sotto, una rara immagine della battaglia dello Jutland che si tenne nel mare del Nord tra il 31 maggio e il primo giugno 1916 e alla quale Alberto, futuro re Giorgio VI, partecipò sulla corazzata Collingwood.
2. Il matrimonio e il logopedista australiano
In quanto secondogenito e quindi non destinato al trono, Alberto ebbe una grande libertà nella scelta della consorte (normalmente i legami matrimoniali dei membri della dinastia reale erano stabiliti dagli interessi politici del momento e quindi tutti si sposavano con esponenti di altre famiglie reali).
Egli si innamorò di Elizabeth Bowes-Lyon, che era figlia di un Pari d’Inghilterra e discendeva da Enrico VII Tudor, re d’Inghilterra nel Quattrocento.
Lei però respinse la sua proposta per ben due volte, in quanto era preoccupata dalle fatiche e dalle rigidità della vita di corte. Alla fine accettò e i due si sposarono il 26 aprile 1923 nell’abbazia di Westminster.
La loro unione venne considerata una ventata di rinnovamento nel mondo artefatto delle dinastie europee. Dopo la luna di miele, la coppia partì per un lungo viaggio in Africa, dove visitò il Kenya, l’Uganda e il Sudan, che all’epoca erano tutte colonie britanniche.
Alberto ed Elizabeth ebbero due bambine, Elizabeth detta Lilibeth (la futura regina) e Margaret, contessa di Snowdon. La famiglia abitava al numero 145 della centralissima Piccadilly Circus a Londra, dove conduceva una vita relativamente appartata.
Qua sotto, le nozze di Alberto (al centro) con Elizabeth Bowes-Lyon il 26 aprile 1923 alla presenza della famiglia reale. Elizabeth aveva rifiutato la proposta di matrimonio di Alberto due volte prima di acconsentire a sposarlo.
La balbuzie di Alberto, nel frattempo, era diventata un grosso problema, soprattutto dopo la disastrosa esperienza del discorso di chiusura della British Empire Exhibition a Wembley nel 1925.
Fu dopo quell’episodio, raccontato nelle scene iniziali del film Il discorso del re (2010), che Alberto si affidò alle cure di Lionel Logue, un logopedista e attore dilettante australiano. Alberto aveva particolari difficoltà a pronunciare la lettera “K”, cosa che rappresentava un ulteriore problema dato che in inglese la parola “re” si dice “king”.
Logue era stato respinto dalla medicina ufficiale, che lo considerava un ciarlatano per i suoi metodi, e si era trasferito a Londra con la moglie e i tre figli, andando a vivere in un appartamento a buon mercato in Harley Street.
Fu la moglie di Alberto, Elizabeth, a convincerlo a incontrare Logue (foto sotto) e a mettersi in cura presso di lui, dopo aver sperimentato inutilmente molti altri specialisti.
Logue lasciò una descrizione molto stringata di Alberto dopo il loro primo incontro: «Profilo mentale: abbastanza normale, ha un forte tensione nervosa dovuta al suo difetto. Profilo fisico: ben fatto, con belle spalle ma un petto flaccido».
Gli prescrisse un mix di esercizi respiratori e con la lingua, ma soprattutto agì sul piano psicologico con una specie di terapia psicanalitica che alla fine si rivelò vincente.
3. La morte del padre, re Giorgio V e la sua incoronazione
Re Giorgio V morì il 20 gennaio 1936 e il figlio primogenito, il principe Edoardo, venne chiamato a succedergli col titolo di Edoardo VIII. Ma qui si aprì una delle crisi più gravi della monarchia britannica.
Edoardo, infatti, era innamorato di una donna americana, Wallis Simpson, che però era già stata sposata per ben due volte: entrambe le volte aveva divorziato e tutti e due i mariti erano ancora in vita.
Ciò rappresentava un ostacolo insormontabile all’epoca perché il sovrano di Inghilterra è anche il capo della Chiesa anglicana: era semplicemente impensabile che potesse avere come consorte una donna che, per gli standard etici e religiosi, viveva consapevolmente in uno stato di peccato.
Il primo ministro inglese dell’epoca, Stanley Baldwin, avvisò più volte il sovrano che il popolo britannico non avrebbe mai accettato una situazione di questo genere e alla fine Edoardo si piegò, decidendo di rinunciare alla corona e abdicando l’11 dicembre 1936 a favore del fratello Alberto.
Questi non era per nulla desideroso di sobbarcarsi il peso della corona, soprattutto di fronte alla necessità di ricostruire l’immagine della monarchia, fortemente compromessa dallo scandalo generato da Edoardo. Ma non ebbe scelta.
Per prima cosa scelse il nome di Giorgio VI, intendendo in questo modo sottolineare la continuità con il padre (piuttosto che con il fratello). L’incoronazione (foto sotto) ebbe luogo il 12 maggio 1937, lo stesso giorno previsto per l’incoronazione di Edoardo VIII.
Giorgio dovette affrontare quella sera una prova severa per lui: il discorso di insediamento, che sarebbe stato trasmesso dalla BBC in diretta in tutto l’Impero. La preoccupazione generale era tale che era stata preparata anche una versione registrata su disco.
Tuttavia, grazie all’aiuto del suo logopedista Lionel Logue, il nuovo sovrano superò brillantemente ogni ostacolo e l’evento diede molto lustro alla sua immagine: «È con tutto il cuore che vi parlo questa sera. Mai prima d’ora un re appena incoronato ha potuto parlare a tutto il suo popolo nelle sue case nel giorno dell’incoronazione.
La regina e io auguriamo salute e felicità a tutti voi. Non trovo le parole per ringraziarvi dell’affetto e della lealtà alla regina e alla mia persona.
Vi dico solo che, se negli anni futuri potrò darvi prova della mia gratitudine nel servirvi, è questo il modo che più d’ogni altro sceglierò.
La regina e io serberemo sempre nei nostri cuori l’ispirazione che viene da questo giorno.
Che possiamo essere sempre degni della benevolenza che con orgoglio credo ci circondi dall’inizio del mio regno. Vi ringrazio di cuore e che Dio vi benedica».
4. La prova più dura
Si stavano già profilando all’orizzonte le nuvole della Seconda Guerra mondiale.
Il primo ministro britannico Neville Chamberlain (nella foto accanto) si illuse fino all’ultimo che la sua politica di appeasement (riappacificazione) con Hitler avrebbe evitato il conflitto, finché non fu troppo tardi.
Quando nel settembre 1939 la guerra scoppiò effettivamente, Giorgio VI e la moglie Elizabeth decisero di rimanere a Londra, rifiutando con fermezza l’ipotesi, suggerita dal governo, di raggiungere il ben più sicuro Canada.
I sovrani rimasero a Buckingham Palace (anche se passavano le notti al castello di Windsor) dove sfuggirono per poco alla morte il 13 settembre 1940, quando due bombe tedesche colpirono il palazzo.
La regina esclamò: «Sono contenta che siamo stati bombardati: mi dà la forza per guardare in faccia gli abitanti dell’East End», riferendosi alla zona di Londra che in quei giorni veniva bombardata più pesantemente.
Dal punto di vista politico, il momento più importante della vita di Giorgio VI furono i giorni della battaglia di Dunkerque, a cavallo tra il maggio e il giugno 1940. Tutto sembrava perduto e nel governo si parlava apertamente di resa.
Il debole e malato Chamberlain (aveva un tumore del colon-retto) si dimise nel momento peggiore della crisi, il 10 maggio, dopo che il partito laburista, all’opposizione, si era dichiarato disponibile a un governo di unità nazionale a patto che Chamberlain si fosse dimesso.
In ogni caso Giorgio VI doveva nominare il successore: se avesse scelto Lord Halifax, il ministro degli esteri sospettato di nutrire simpatie per i nazisti, molto probabilmente l’Inghilterra avrebbe chiesto la resa.
5. Il no di Winston Churchill, la malattia e la morte
Re Giorgio VI, invece, scelse Winston Churchill, un anziano ed esperto politico che si impegnò immediatamente con grande determinazione a bloccare ogni possibile cedimento ai nazisti, rendendo subito chiaro che l’Inghilterra avrebbe combattuto con ogni mezzo possibile senza arrendersi.
Una volta presa questa decisione, la coppia dei sovrani scelse di condividere il più possibile le sofferenze dei sudditi.
Re Giorgio visitò spesso le zone colpite dalle bombe e i rifugi antiaerei, senza trascurare le fabbriche e i reparti militari. Inoltre si recò in zone ancora più esposte (per esempio in Normandia nel 1944 dopo lo sbarco).
Mantenne relazioni strettissime con Churchill, con cui pranzò ogni giorno durante il conflitto, condividendone le confidenze e i pensieri. Il popolo britannico restituì con entusiasmo la dedizione del sovrano, acclamandolo con sincero affetto, assieme al resto della famiglia reale, il giorno della vittoria, nel maggio del 1945.
La Gran Bretagna, che aveva vinto la guerra, doveva tuttavia perdere la pace. L’Impero, che aveva già cominciato a dare segni di cedimento negli anni Trenta, si dissolse dopo il conflitto senza che Giorgio potesse fare niente per impedirlo.
Il colpo più duro fu la perdita della “perla dell’Impero”, ossia dell’India, che nel 1947 conquistò la sua indipendenza, subendo però a sua volta la perdita del Pakistan musulmano, che si dichiarò indipendente. Giorgio VI d’Inghilterra fu quindi l’ultimo sovrano europeo a potersi fregiare del titolo di imperatore.
I forti stress subiti nel conflitto e negli anni immediatamente successivi contribuirono non poco a peggiorare le condizioni di salute del sovrano. Nel 1951 gli venne diagnosticato un tumore al polmone, dovuto anche all’abuso del fumo.
Il tumore venne asportato il 23 settembre di quell’anno, ma l’intervento non poté nulla contro le altre malattie da cui era affetto, tra cui una forma di arteriosclerosi. Giorgio VI riuscì ancora a incidere su disco il discorso di Natale alla nazione, ma le sue condizioni peggiorarono ulteriormente.
Andando contro i consigli di quanti gli erano vicini, volle accompagnare la figlia Elisabetta e Filippo, suo marito, alla partenza di un viaggio in Australia: fu la sua ultima apparizione in pubblico, perché il 6 febbraio 1952, all’alba, fu trovato morto nel suo letto, stroncato da una trombosi delle coronarie. Aveva 56 anni.