Bere una tisana o del latte con un cucchiaino di miele calma la tosse e lenisce il mal di gola e nello stesso tempo ci delizia per gli aromi che si sprigionano dalla tazza.
Il miele è buono e ci fa bene purché stiamo attenti alla sua qualità – quello italiano è tra i migliori al mondo – e alle quantità.
E’ infatti composto quasi interamente da zuccheri di cui la maggior parte sono fruttosio e glucosio, due zuccheri semplici.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non dovremmo consumare più di 50 grammi di zucchero al giorno (più o meno una lattina di bibita); anzi, il consiglio è di non superare i 25 grammi quotidiani, contando anche lo zucchero contenuto negli alimenti, non solo quello da tavola aggiunto per dolcificare.
Questa “rinuncia” è infatti utile a prevenire la carie e l’insorgenza del diabete di tipo 2, a evitare il sovrappeso, anticamera dell’obesità, e le malattie correlate (cardiovascolari, neurodegenerative, alcuni tumori).
Rispetto allo zucchero, il miele ha dei vantaggi: conta un po’ meno calorie (320 kcal in 100 grammi contro le 390 dello zucchero) perché un quinto del suo contenuto è acqua e ha più potere dolcificante (100 grammi di miele dolcificano come 150 grammi di zucchero).
Inoltre contiene piccole quantità di altre sostanze, derivanti sia dai fiori sia dalle api, che lo rendono un alimento più complesso dal punto di vista nutrizionale e più interessante da quello gastronomico.
Il miele – soprattutto quello italiano – è un “tesoro” perché è gradevole, aromatico ed energetico e ha anche proprietà lenitive e antibatteriche.
Va preferito allo zucchero per dolcificare, ma senza esagerare perché fa alzare la glicemia predisponendo al sovrappeso e al diabete!
1. Animale o vegetale?
I Romani usavano il miele come dolcificante, conservante e per produrre idromele, una bevanda fermentata simile alla birra.
Gli Egizi lo adoperavano anche contro i disturbi digestivi e per curare piaghe e ferite.
La natura del miele è duplice. La materia prima di partenza è il nettare dei fiori, che le api raccolgono in goccioline con un lavoro chiamato di spigolatura. In questa fase il miele è dunque vegetale.
Ma poi le api lo trasformano nell’alveare grazie all’azione di particolari enzimi e dunque in questa fase il prodotto potrebbe definirsi animale.
Tuttavia gli esperti fanno notare che il miele finito deve le proprie caratteristiche soprattutto alla provenienza del nettare: la medesima ape portata, per esempio, in cinque zone diverse produce cinque mieli differenti, ma cinque specie diverse di api portate nella medesima zona producono miele con le medesime caratteristiche.
Il miele è per le api quello che la confettura e la marmellata sono per noi. Il nettare, un composto di zuccheri molto ricco d’acqua, non si conserverebbe, così come avviene con la frutta.
Le api lo processano aggiungendo enzimi ed eliminando umidità fino a quando non raggiunge la condizione ideale per la conservazione: ricco di zuccheri e povero d’acqua. In questo modo le api si procurano la loro scorta di cibo, che serve nei periodi in cui il nettare è meno disponibile.
Il miele è una soluzione zuccherina molto densa e viscosa. Oltre agli zuccheri, che rappresentano più dell’80 per cento della sua composizione, sono presenti altre sostanze in quantità molto piccole, ma sufficienti a caratterizzarlo dal punto di vista organolettico.
È ben lontano dall’essere un prodotto standardizzato e uno dei suoi maggiori pregi risiede proprio nella varietà di sapori e aromi che è capace di sprigionare, in equilibrio con l’ecosistema da cui proviene.
Le api producono anche la melata, meno zuccherina del miele, lavorando i residui (in realtà escrementi!) che gli afidi lasciano su foglie e tronchi delle piante. Il procedimento è lo stesso del miele.
2. Cura o “coccola”?
Ma il miele cura o “coccola”? Di sicuro la seconda.
Il miele non è un medicamento, ma un piacere per il palato, oltre che un alimento particolarmente energetico che ci può aiutare durante l’attività sportiva oppure se siamo indeboliti o convalescenti o semplicemente stanchi.
Resta il fatto che numerose ricerche hanno dimostrato le sue proprietà antibatteriche.
Per esempio, uno studio sulle proprietà dei mieli italiani condotto da Roberto Lavecchia, Antonio Zuorro e Marco Fidaleo dell’Università La Sapienza di Roma, presso il dipartimento di ingegneria chimica, materiali e ambiente, ha evidenziato che alcuni mieli sono in grado di contrastare efficacemente l’azione di batteri resistenti agli antibiotici.
Rispetto allo zucchero da tavola, il miele è ricco di minerali e di enzimi anche ad attività antibatterica. Ma non può certo sostituirsi a un antibiotico quando ve ne sia la necessità.
All’interno di una dieta equilibrata, dovendo scegliere tra un cucchiaino di zucchero e uno di miele, meglio privilegiare quest’ultimo. Attenti però a non scioglierlo in una bevanda bollente perché il calore eccessivo ne altera le caratteristiche e le virtù. Meglio attendere che il liquido sia diventato tiepido o a temperatura ambiente.
Se nel miele cristallizzato riscontriamo la presenza di bollicine o se in quello liquido si forma una schiumetta in superficie, vuol dire che il prodotto è fermentato e non va consumato.
Dal punto di vista fisico, il miele è una soluzione soprassatura: cioè contiene più zucchero di quanto l’acqua ne riesca a sciogliere. Infatti, quando le api producono miele, partono da una soluzione diluita (il nettare) e la concentrano per favorirne la conservabilità.
Se il miele non fosse estratto dai favi, rimarrebbe liquido a disposizione delle api. La sua estrazione da parte dell’apicoltore, invece, ne accelera la cristallizzazione che lo trasforma in una massa finemente granulosa e più o meno compatta. Non significa affatto che sia andato a male, ma solo che si è evoluto nel tempo.
Alcuni mieli restano liquidi per molti mesi (acacia, castagno, millefiori), mentre altri cristallizzano in pochi giorni: il processo è accelerato dalle temperature fresche (12-16 °C), mentre è rallentato dal calore o dal freddo estremo (per esempio nel freezer) che riporta allo stato liquido i mieli cristallizzati.
Molti preferiscono il miele liquido e per questo l’industria alimentare ha messo a punto processi di riscaldamento e filtrazione che mantengono più a lungo il prodotto in questo stato.
Ma gli esperti ci avvertono: queste tecnologie tendono a distruggerne le componenti più nobili e peculiari ed è sempre meglio preferire il prodotto al naturale.
3. Attenti ai falsi
Negli ultimi 2-3 anni la richiesta di miele è aumentata in tutto il mondo, anche se nello stesso arco di tempo si è resa evidente una carenza generale del prodotto, dovuta soprattutto al fatto che le api subiscono le conseguenze dei cambiamenti climatici e delle variazioni degli equilibri degli ecosistemi.
La forte domanda e l’offerta insufficiente lasciano dunque spazio alle contraffazioni: dopo vino e olio, il miele è il terzo prodotto più contraffatto.
Un esempio di contraffazione deriva dall’aggiunta di sciroppi zuccherini, spesso non riconoscibili neppure dalle analisi di laboratorio. La Cina è il principale produttore di questo “non-miele”, che esporta in tutto il mondo.
L’unica difesa per il consumatore è evitare il prodotto cinese, acquistando quello italiano, perché noi abbiamo una normativa che obbliga a scrivere in etichetta il Paese di origine del miele. Gli altri Paesi scriveranno “non UE” e non sapremo mai di che cosa si tratti.
- MIELE VERO
· È fatto dalle api
· Profuma di miele
· Contiene residui (di polline, cera e propoli)
· Non ha zucchero aggiunto
· Cristallizza naturalmente
· È salutare
- MIELE FALSO
· È fatto industrialmente
· Non ha profumo né aroma
· Non contiene residui
· Contiene zucchero di canna o di barbabietola o sciroppo di mais
· Non cristallizza
· Non è salutare
4. Ci sono 16mila specie di api, ma solo una decina fa il miele
Delle oltre 16mila specie di api esistenti, non più di una decina, tra cui la più diffusa Apis mellifera, è in grado di produrre miele.
Una singola ape operaia può raccogliere, succhiandolo, al massimo 25 milligrammi di nettare, che immagazzina in un serbatoio alla fine dell’esofago.
È qui che agiscono degli enzimi capaci di trasformare il saccarosio (zucchero da tavola) presente nel nettare, e altri zuccheri complessi, negli zuccheri semplici glucosio e fruttosio.
Quando l’ape ritorna all’alveare, passa il nettare raccolto a un’altra ape operaia che più volte lo rigurgita e lo risucchia.
Alla fine la goccia viene depositata nella celletta dell’alveare, dove gli enzimi continuano a lavorare trasformando il saccarosio in glucosio e fruttosio e dove l’acqua seguita a evaporare grazie all’aria messa in circolo dalle api con il movimento delle ali.
Ci vogliono da uno a tre giorni prima che la goccia di nettare si trasformi in miele. Quando la celletta è piena, viene chiusa con della cera protettiva: la Apis scorta di cibo è pronta!
In Italia ci sono oltre 45mila apicoltori che detengono in totale quasi 1,2 milioni di alveari e oltre 200mila sciami. Si producono ogni anno circa 22mila tonnellate di miele. Dopo tre anni di grave calo della produzione, ora la situazione inizia a migliorare (fonte: Osservatorio Nazionale Miele).
Curiosità: da dove viene il profumo? Non è detto che il miele abbia lo stesso profumo della pianta da cui l’ape estrae il nettare perché a volte il profumo della pianta dipende dalle sue foglie e non dai fiori.
5. I 7 tipi di miele più diffusi in Italia
Ecco i 7 tipi di miele più diffusi in Italia:
- ACACIA
Molto chiaro e quasi sempre liquido. Si produce in tutta Italia nelle zone collinari.
- AGRUMI
Se liquido, è quasi trasparente; se cristallizzato, è bianco avorio. È prodotto prevalentemente al Centro-Sud e isole.
- MILLEFIORI
Non esiste un’unica categoria, ma tante quante sono le possibili combinazioni di piante.
- EUCALIPTO
Luminoso e ambrato. Si produce nel Centro-Sud dove gli eucalipti sono numerosi nelle siepi frangivento o per rimboschimento.
- GIRASOLE
Giallo e vivace, cristallizza in fretta. Si trova in tutta Italia anche se la produzione sta calando perché le nuove varietà di girasole sono caratterizzate da meno nettare.
- CASTAGNO
Da ambrato a marrone molto scuro, è quasi sempre liquido. Si produce in quota, tra 500 e 1.000 metri, dove fiorisce il castagno.
- TIGLIO
Di solito liquido e di colore chiaro, si produce soprattutto alle pendici delle Alpi dove ci sono i tigli selvatici oppure sulle alberature estese di viali e parchi.