I nomi dei cani a volte fanno riferimento a un attore famoso, a un cantante, a uno sportivo, oppure a una star televisiva a quattro zampe (quanti Rex tra i Pastori Tedeschi di qualche anno fa…).
In altri casi, la preferenza verte sui classici nomi da “cane” oppure riprende il ricordo chi c’è stato e non è più con noi.
Una tendenza recente privilegia poi i nomi di persona e non è raro imbattersi in qualcuno che richiama a sé il fedele amico con un nome tipicamente umano, tanto da stupirci nel vedere comparire, invece di un “Mario” o una “Lisa” con postura eretta, una creatura a quattro zampe con la coda al vento!
In sostanza, una volta scelto il cane, la prima cosa che facciamo è chiederci: “Come lo chiamerò?”.
Non si tratta di una scelta di poco conto, in realtà, perché il nome diventerà alquanto importante, tanto per i futuri proprietari quanto per colui che, per il tempo a venire, diverrà destinatario di questo particolare “codice vocale”.
Nel primo caso vi è una sorta di “personalizzazione” del cane mentre quest’ultimo ha il compito di capire che quel suono lo identifica e in esso deve identificarsi, pensando “quello sono io”: tutt’altro che scontato e tutt’altro che semplice.
Il nome del cane è importante ai fini di una convivenza serena, della stessa sicurezza del nostro amico e anche di un rapporto basato sulla comprensione reciproca: ecco perché e come insegnarlo
1. Strumento di attenzione che va costruito. Non usiamolo inutilmente altrimenti...
Stiamo parlando di un suono che diviene stimolo condizionato e anche discriminativo!
Ma che significato assume il nome del cane nella nostra comunicazione quotidiana?
Si tratta, a ben vedere, di un "mezzo" vocale diretto a ottenere l'attenzione del nostro amico, senza la quale non potremmo interagire con lui.
In termini tecnici, il nome passa da una condizione di "neutralità" a uno stato di "certezza", cioè quando il cane ha chiaro in mente che, udito quel "codice", qualcosa che lo riguarda sta per succedere.
È importante precisare che, probabilmente, il nostro amico nulla sa dell'identità nominativa, ossia di quel bisogno tipicamente umano di attribuire a ognuno un nome proprio di "persona".
Per lui, quindi, il suono di cui diviene destinatario non è altro che uno stimolo uditivo ripetuto svariate volte fin dalla tenera età, uno stimolo da considerarsi "condizionato", ossia divenuto significativo per effetto delle conseguenze che ne sono derivate.
Ed è uno stimolo anche "discriminativo", diretto a ottenere una reazione univoca e volontaria nei confronti di colui che ha pronunciato il nome.
La parte più interessante della faccenda riguarda, quindi, la "costruzione" del nome. Seguendo le regole dei processi associativi di cui il cane è, per natura, un autentico esperto, il primo passo per insegnare il nome consisterà nel collegare tale suono a qualcosa di piacevole: quando pronunciamo il nome del cane possiamo associarlo alla comparsa di un gustoso boccone, a una carezza o all'avvio di un gioco.
In breve tempo, il nome diventerà preludio di gratificazione, in ducendo il cane a rivolgersi con aspettative positive verso chi lo abbia pronunciato.
Ed ecco spiegato anche perché non è mai una buona idea chiamare il nostro cane senza ragione, cioè senza dare seguito a una comunicazione fatta di azione e reazione: molti lo fanno, purtroppo, con il risultato che per il cane il suo nome diviene solo un rumore di fondo, perciò inascoltato.
Usando il nome correttamente, invece, il nostro amico impara in fretta a distinguerlo dalle altre parole del "vocabolario" che costruirà nel tempo, e quel suono diventerà la parte invariabile che annuncia tutte le possibili varianti della nostra interazione con lui.
2. Se non ascolta... Interveniamo ma senza parlare
La principale ragione per cui pronunciamo il nome del cane consiste nel modificare il comportamento che il nostro amico sta attuando in un dato momento.
Lo scopo è che il cane, intento a osservare qualcosa, ad annusare il terreno, ad ascoltare altri suoni e così via, smetta e dedichi la sua attenzione a noi.
Perché la cosa funzioni, però, l'utilizzo del nome deve seguire alcune regole.
La prima dice che non dobbiamo ripetere il nome del cane, se in quella determinata occasione non ci ascolta.
L'assenza della reazione desiderata richiederà un supporto finalizzato ad ottenere comunque riscontro; tale supporto, però, non dovrà essere uditivo ma visivo e tattile. Immaginiamoci al guinzaglio, nel corso dell'usuale passeggiata; chiamiamo il cane ma lui ci ignora: potremo intervenire tempestivamente spostandoci all'indietro e all'esterno, oppure posizionandoci davanti a lui, a distanza brevissima.
L'intervento separato della vista consentirà un immediato ripristino del contatto, evitandoci di riproporre lo stesso suono; infatti, se ciò accadesse, si avrebbero di verse conseguenze: oltre a divenire "sordo" al suo stesso nome perché più volte pronunciato, è facile che il cane impari a prestare attenzione al proprietario solo dopo un certo numero di ripetizioni del nome. Ci sono ragioni etologiche per questo.
Nel primo caso, quando il cane finisce con l'ignorare il suo nome per via delle nostre ripetizioni inutili, parliamo di "irrilevanza appresa", un processo cognitivo che, dinanzi allo stesso stimolo ripetuto senza conseguenze, comporta l'estinzione della risposta allo stimolo medesimo.
Nella seconda condizione, invece, avremo involontariamente insegnato al cane a reagire al suo nome solo dopo un certo numero di tentativi: forte di un'intelligenza "logico matematica", il cane riesce a "contare" la ripetitività delle note, allertandosi solamente in prossimità della conclusione della sequenza.
Altra cosa estremamente importante: quando il cane risponde al suo nome, immediatamente o con l'aiuto descritto, dovrà essere lodato e premiato.
Grazie alle leggi dell'apprendimento, è molto probabile che alla successiva richiesta di attenzione attraverso l'uso del nome otterremo una risposta di maggiore intensità e immediatezza.
3. Un “segnale ponte" e la voce neutra
La scelta di pronunciare il nome del nostro cane non è diretta solo a ottenere la sua attenzione ma anche e soprattutto a proporre nuovi comportamenti funzionali al contesto.
In questo modo, il nome diventa una sorta di "segnale ponte", uno stimolo vocale premo nitore di una richiesta successiva.
L'obiettivo è quello di "spezzare" i due possibili comportamenti: il ridirigersi verso di noi e il fare ciò che viene proposto.
Questa seconda azione sarà certamente più efficace se attivata a seguito di un riscontro ricevuto, mentre potrà risultare controversa qualora fosse introdotta dal nulla.
Per esempio, richiedere al nostro amico di mettersi seduto, magari perché distratto da un altro cane nei pressi, può divenire complicato in caso di esecuzione diretta, senza prima richiamare la sua attenzione con il nome; al contrario, spostando la concentrazione nei nostri confronti, mettersi seduto gli sarà certamente più agevole.
Una tecnica che può migliorare ulteriormente il risultato consiste nel lodare la reazione al nome: il "bravo" ricevuto (se il cane conosce il termine, ovvia mente) motiva maggiormente all'ascolto di ciò che diremo subito dopo.
Questa modalità di interazione è applicabile anche a distanza, senza guinzaglio. Dinanzi a un possibile pericolo o per la semplice esigenza di porre fine al girovagare del nostro amico, il suono del nome attirerà la sua attenzione e quindi potrà ricevere la successiva richiesta, cioè di raggiungerci prima possibile.
Con quale tono conviene pronunciare il nome del nostro amico? Trattandosi di un'informazione diretta a ottenere la sua attenzione, l'ideale è una voce dal tono "neutro" o eventualmente allegro, ma senza eccedere.
Ogni espressione emozionale va a "degradare" l'efficacia della comunicazione, a maggior ragione se l'intento è di richiedere l'esecuzione di un'azione successiva alla pronuncia del nome.
Al contrario, tonalità acute o grevi suscitano una sorta di "punto di domanda", non permettendo al cane di coinvolgere la parte cognitiva del cervello.
Ecco perché eventuali "rimproveri" non dovranno mai essere correlati al nome del cane, per evitare che si verifichi una spiacevole associazione tra il nome stesso e il nostro disappunto. Molto meglio mantenere la neutralità della voce per ottenere la relativa attenzione del cane e poi proporre immediatamente dell'altro.
Se, invece, volessimo evidenziare al cane che il suo comportamento non ci piace, utilizziamo un suono di "non rinforzo", poche sillabe (per esempio "Ah-Ah!") che vorranno dire "non va bene", ma ricordiamoci sempre di proporre un comportamento alternativo al cane, altrimenti il senso del nostro segnale non potrà essere colto.
4. Urlare è un errore. Insegnare il nome gradualmente e senza eccedere
Uno degli errori più frequenti è urlare il nome del cane quando a distanza quando ci ignora.
Poiché spesso il cane continua a ignorarci, si rischia di cadere nel circolo della ripetitività a oltranza, aumentando, per ogni defezione del cane, il tono stesso.
E più si urla e più il destinatario eviterà di considerarci: a chi piacerebbe tornare da qualcuno che gli sta urlando contro palesemente alterato?
Se poi, al sopraggiungere del cane, lo sgrideremo, come molti fanno, otterremo che, la volta successiva, udito il suo nome, farà finta di non sentirlo ancora più a lungo e tornerà ancora più tardi, perché preoccupato dalle conseguenze del suo riavvicinarsi a noi.
Un altro suggerimento nella pronuncia del nome, da vicino o a distanza, riguarda la "separazione dei sensi". Come tutti gli esseri viventi, anche il cane richiede una comunicazione per settori, per consentire a ciascun organo sensoriale di esprimersi al meglio.
Così, se al nome assoceremo contemporaneamente un qualsiasi gesto, la comunicazione vocale perderà di valore a vantaggio del segnale visivo, di gran lunga più efficace. Con il passare del tempo, la reazione al nome rischierà di emergere solamente con l'ausilio del supporto visivo.
All'arrivo di un nuovo cane nella nostra vita, cucciolo o adulto, sarà necessario introdurre la risposta al nome in modo graduale.
Inizieremo in ambienti confortevoli e conosciuti, come la stessa abitazione, il giardino, o dove si svolge l'usuale passeggiata. Importante evitare la presenza di "stimoli distraenti", quali altri famigliari intenti a svolgere una qualche mansione, bimbi coinvolti in giochi dinamici o altri eventuali animali, per non ridurre la concentrazione del nostro amico.
Il passaggio successivo potrà comprendere la risposta al nome sempre nei medesimi ambienti ma con l'introduzione di piccole distrazioni: qualche gioco posizionato a terra, un famigliare in ripetuto passaggio e così via, riducendo il livello di intensità in caso di difficoltà di risposta, per poi ritornare alla medesima situazione con maggiore possibilità di successo.
Gli esercizi legati al nome non devono essere svolti troppo frequentemente per evitare monotonia e rischio di rigetto: poche ripetizioni al giorno saranno sufficienti.
5. Breve è meglio! E se abbiamo più cani? Differenziamo i nomi!
Ottenuta una buona frequenza di risposta al nome, è il momento di calarci nel mondo "reale".
Posti nuovi e presenza di estranei diventeranno banco di prova e sarà affascinante osservare come, con il passare dei mesi, il nostro amico ci considererà con elevata frequenza rispetto al resto.
Questa scelta volontaria dovrà essere premiata con costanza, osservando, almeno all'inizio, il rapporto di un boccone per ogni risposta ottenuta.
Per i più refrattari, un ottimo sistema riguarderà l'utilizzo di premi altamente appetibili, in modo da divenire noi stessi, per associazione, di interesse superiore rispetto agli stimoli esterni.
Solo con il tempo, consolidato il comportamento di riscontro, potremo iniziare a ridurre i rinforzi, limitandoci nella maggior parte dei casi a una semplice lode. E se qualcosa andasse storto, dovremo ritornare velocemente ai passaggi precedenti: fare un passo indietro sarà il miglior modo per... procedere in avanti.
Numerosi studi hanno evidenziato come la capacità di apprendimento dei segnali vocali da parte del cane raggiunga il massimo dell'efficacia nelle prima lettere, quasi le successive perdessero di importanza.
Sembra quindi che il nostro amico, udita la prima parte della parola insegnata, escluda quelle ulteriori, non ritenendole di sufficiente interesse. Tutto ciò suggerisce la scelta di nomi di poche sillabe, meglio se con vocali e consonanti alternate, così da evitare la memorizzazione di termini troppo "astrusi".
Se si decidesse invece per parole a lunga catena, diventerà inevitabile l'impiego di un'abbreviazione. Nel caso di più cani in famiglia, poi, è fondamentale scegliere nomi alquanto differenti: i cani sono assai abili a cogliere tanto le differenze quanto le similitudini.
L'utilizzo del nome è utile anche nei “cambi di contesto”, cioè passando da una situazione a un’altra. Per esempio, se siamo fermi per strada con il cane accanto, la decisione di riprendere il cammino va preceduta dal nome, così da avvisare il nostro amico che stiamo per muoverci.
In fase di apprendimento, poi, usare il nome prima di chiedere un’azione fornisce al cane maggiore sicurezza operativa. Proviamo a immaginarci durante una condotta al guinzaglio: per anticipare una nuova direzione, un incremento o un decremento dell’andatura, precedere il comando con il nome aiuta.