Franz Jägerstätter: il contadino che disertò l’esercito di Hitler

Franz Jägerstätter era un umile montanaro austriaco che in gioventù non fu certo uno stinco di santo.

Ma trovò la fede e in nome di Dio disse no al nazismo: rifiutò di indossare l’uniforme militare, pagando con la vita la sua decisione.

Nel 2007 la Chiesa l’ha proclamato beato.

Ecco chi era veramente Franz Jägerstätter: il contadino che disertò l’esercito di Hitler!

 

 

1. Adolescente ribelle

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C’è chi disse no. No alla guerra, alla propaganda, al nazismo. E pagò il suo rifiuto con la vita.

Furono eccezioni, rare come mosche bianche, ma proprio per la loro unicità queste figure spiccano negli anni dell’orrore calato su quasi tutta l’Europa per il coraggio, la coerenza intellettuale e le loro motivazioni, semplici e incrollabili.

Franz Jägerstätter è una delle pochissime di cui si ha notizia perché la loro ribellione, passiva e non violenta, era talmente stridente con gli ideali professati nel Mein Kampf da costituire un grave pericolo per il regime.

Guai se avessero mostrato che esisteva un’alternativa alla morte e alla sopraffazione, guai se altri avessero preso l’esempio. Pertanto, queste figure andavano eliminate e i loro ideali cancellati perfino negli archivi ufficiali.

Pericoli e ragioni di Stato troppo grandi per uno come Franz, un umile contadino austriaco la cui unica preoccupazione, nella vita, era mantenere la sua famiglia fra le montagne dov’era nato: un ambiente povero ma incontaminato, che pareva non avere nulla a che fare col resto del mondo.

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Franz Jägerstätter nacque in un paesino nell’Alta Austria, Sankt Radegund, a pochi chilometri di distanza dal confine con la Baviera. Il suo vero cognome era Huber. I suoi genitori erano troppo poveri per potersi sposare e così, per salvare l’onore familiare, Franz fu cresciuto dalla nonna.

Poi la madre, nel 1917, sposò un altro contadino che non aveva problemi economici e adottò Franz, dandogli il proprio cognome.

Franz aveva dieci anni e per lui sembrò aprirsi la prospettiva di una vita serena e felice, anche se fatta di poche cose: il duro lavoro nei campi, la messa in chiesa ogni domenica, una propria famiglia da formare e crescere.

Erano i capisaldi immutabili della vita di tutti i contadini della sua epoca. Tuttavia, Franz mostrò fin da ragazzo segni della sua indole, che non accettava a priori le regole imposte e una vita già scritta.

Qua sotto, la casa di Franz a Sankt Radegund. Oggi è monumento nazionale. Vi visse con la moglie Franziska e le loro tre figlie.

 

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2. La svolta a 19 anni

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Si ha notizia di suoi atteggiamenti giovanili improntati alla ribellione, alla violenza e a colpi di testa. Mise incinta una ragazza, che partorì una bambina.

Sembrava non perdersi una rissa con i ragazzi dei paesi vicini. Si comprò una moto, la prima mai vista a Sankt Radegund.

Comportamenti che stridevano con l’educazione cattolica e che Franz perseguì arrivando sull’orlo di perdere la fede. Poi, in un altro dei suoi gesti impulsivi, disse di voler entrare in convento, ma il parroco lo dissuase.

In seguito sfogò la sua impulsività scrivendo poesie, altro fatto inconsueto per una persona di modeste condizioni e studi elementari.

«Ah», si legge in una di esse, scritta nel 1932, «quanto sono colmi di dolore spesso i nostri giorni / nella nostra breve vita, / sulla quale viaggiamo tutti in modo diverso, / finché un giorno il treno deraglierà».

A 19 anni, Franz si sposa con Franziska (non la donna dalla quale aveva avuto una figlia) e parte per il viaggio di nozze, arrivando fino a Roma. È cambiato, maturato e divenuto adulto, non solo all’anagrafe ma anche nei comportamenti, e lo dimostrerà come marito e come padre.

In pochi anni da quel matrimonio nascono tre figlie, tutte femmine (foto sotto). Franz le cresce con affetto. Ogni giorno prega e legge brani della Bibbia e frequenta regolarmente la chiesa da credente convinto.

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Nel frattempo, a pochi chilometri di distanza, in Germania, Hitler è salito al potere e nel 1938 la sua parabola incrocia quella di Franz, come di ogni altro austriaco: con l’Anschluss, l’intero Paese si ritrova annesso alla Germania nazista.

«Io credo che non sia andata diversamente dal giovedì santo di oltre 1900 anni fa, quando il popolo ebraico ha potuto liberamente scegliere tra Cristo, il Salvatore senza colpa, e Barabba, il malfattore», scrive Franz Jägerstätter in una lettera: «anche allora i farisei avevano distribuito denaro tra il popolo per ingannare e intimidire coloro che stavano ancora con Cristo. Quali e quante nefandezze sono state raccontate e inventate anche da noi nel marzo 1938 contro un cancelliere dai sentimenti cristiani e contro la spiritualità dei credenti?».

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3. Uomo di chiesa in rotta di collisione col nazismo

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Il cancelliere citato nella lettera è von Schuschnigg, sostituito dall’oggi al domani dalle autorità tedesche.

Da quel momento, Franz entra in rotta di collisione con il nazionalsocialismo, arrivato a comandare in casa sua.

A Jägerstätter viene offerto l’incarico di sindaco del suo paese, ma lui rifiuta. E quando si vota sull’annessione alla Germania, è l’unico a opporsi.

Diventa così una sorta di straniero in patria: non condivide le posizioni dei suoi compaesani, che lo ricambiano con la loro disapprovazione. Con la guerra, tutto è destinato a precipitare. Niente e nessuno viene risparmiato dalla brama di potere del Führer.

Neppure Sankt Radegund, neppure Franz, che nell’estate del 1940 riceve la chiamata alle armi. Il sindaco lo esenta in virtù della sua situazione familiare: Franziska ha problemi di salute e Franz è l’unico sostegno della famiglia.

Pochi mesi dopo, un nuovo arruolamento e un ritorno a casa per le stesse ragioni. I pochi giorni trascorsi in caserma e le notizie sul programma di eutanasia intrapreso dal governo per i disabili lo convincono ancora di più a non avere niente a che fare con il nazismo.

Nella foto sotto, Franz Jagerstatter posa sulla sua moto. Da destra a sinistra: Franz Jagerstatter; il suo patrigno, Heinrich Jagerstatter; sua madre, Rosalia Jagerstatter; e Aloisia Sommerauer, cugina e sorella adottiva di Franz.

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Il suo rifugio è ancora una volta la fede: Franz diventa uomo di chiesa quanto lo può diventare un laico sposato, prima come sacrestano, poi come terziario francescano. Si distingue per non accettare offerte in denaro per i funerali, a cui preferisce opere spirituali e di misericordia.

Legge i documenti della Chiesa, prega e digiuna. Matura così la sua obiezione di coscienza nei confronti della guerra e dell’esercito, che sa che tornerà a bussare alla sua porta.

Accade nel 1943. La “guerra lampo” è finita da un pezzo e il Paese si trova invischiato in un conflitto che è già costato un’enormità di vittime e sofferenze, di cui non si vede la fine e che sta volgendo al peggio per il Reich che presumeva di essere millenario.

Franz non viene meno ai suoi princìpi e rifiuta ancora una volta non solo di combattere, ma anche di vestire l’uniforme della Wehrmacht. Dopo avergli parlato un’ultima volta, il parroco, Josef Karobath, scrive: «Mi ha lasciato ammutolito perché aveva le argomentazioni migliori. Lo volevamo far desistere, ma ci ha sempre sconfitti citando le Scritture».

Per tentare di dissuaderlo, interviene il vescovo di Linz in persona, che gli ricorda i rischi cui va incontro e lo esorta a pensare al bene della sua famiglia. Ma è proprio la moglie a dire a Franz di restare fermo sulle sue posizioni, pur sapendo che cosa comporta. Lo sostiene anche un cugino, testimone di Geova e quindi contrario a ogni guerra.

Nella foto sotto, Franz, l'uomo amante delle moto (il terzo da sinistra), costretto a guidare contro la sua volontà. "Questa uniforme," disse, "mi costringe a partecipare a una menzogna".

 

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4. Arrestato per obiezione

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Come obiettore, Franz viene arrestato e rinchiuso in una prigione militare, a Linz.

Non è l’unico detenuto che rifiuta di prestare servizio militare per le sue idee.

Trasferito a Berlino, viene processato come sovversivo e condannato a morte dal Tribunale di Guerra.

Il Reich non riconosce princìpi morali o ragioni diverse da quelle del nazionalsocialismo e mette a tacere ogni voce discordante. Jägerstätter ha un’ultima occasione per rispettare il proprio credo e nel contempo evitare il patibolo. Gli viene offerto di svolgere servizi per la sanità, ma questo comporta comunque indossare la divisa, così rifiuta.

«Scrivo con le mani legate, ma preferisco questa condizione al sapere incatenata la mia volontà. Non sono il carcere, le catene e nemmeno una condanna a morte che possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli la fede e la sua libera volontà», si legge nel suo testamento, scritto a Berlino nel luglio del 1943.

Il 9 agosto 1943 la sentenza viene eseguita, con la ghigliottina, a Brandeburgo sulla Havel (qua sotto l'edificio dove fu eseguita l'esecuzione).

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Poche settimane prima, nell’ultimo colloquio in carcere con la moglie, Franz le ha ricordato che ciò che li attende è il Cielo.

Da 22mila a 35mila: tanti furono i disertori nella Seconda Guerra mondiale! Solo dopo mezzo secolo sono emersi i numeri dei tedeschi che si rifiutarono di prestare servizio nell’esercito del Terzo Reich. A muoverli fu in molti casi la fede.

Dei 7 cattolici che rifiutarono l’uniforme di soldato, 6 furono condannati a morte e giustiziati, l’ultimo dichiarato infermo di mente. Più numerosi furono i “semi-obbedienti”, ovvero coloro che non si opponevano agli ordini ma facevano di tutto per non eseguirli.

In Italia si ha notizia di militari tedeschi, anche delle SS, che in occasione delle stragi di civili cercarono di salvarne alcuni o si rifiutarono di ucciderli, e per questo furono messi a morte.

Su 12 milioni di soldati arruolati nella Seconda Guerra mondiale, si stima che i disertori furono tra 22.000 e 35.000; di questi, 15.000 furono condannati a morte dai tribunali militari, con sentenza eseguita.

Una targa nel campo di sterminio di Mauthausen ricorda gli obiettori di coscienza eliminati senza essere definiti come tali, per non dare risonanza al loro gesto, ritenuto destabilizzante per il regime.

Nella foto sotto, Frank con la moglie Franziska.

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5. Verso la beatificazione

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Dopo la morte di Jägerstätter è dovuto passare molto tempo prima che il suo rifiuto a servire l’esercito in tempo di guerra fosse valutato come una scelta lucida e irremovibile, fondata sul suo credo in Cristo e nel Vangelo.

Franziska ricevette la pensione di vedova di guerra solo dopo che la sua richiesta era stata respinta più volte: a rigore, Franz non era stato né un combattente né un membro della resistenza.

La sua fu una posizione assunta in coscienza, senza aderire ad alcun movimento di opposizione al nazismo. Neppure l’iscrizione del nome di Franz fra le vittime di guerra nel cimitero del suo paese fu scontata. Del resto, perfino la Chiesa cattolica non gli riservò da subito la giusta considerazione.

Il suo era un caso praticamente unico e dovettero pesare anche le critiche mosse alle alte gerarchie ecclesiastiche dopo l’Anschluss, come questa: «I nostri vescovi devono aver forse creduto che sarebbe durato poco e poi tutto si sarebbe frantumato e che con la loro accondiscendenza avrebbero potuto risparmiare ai fedeli martiri e pene. Ma è andata diversamente, sono passati molti anni e ora migliaia di uomini devono morire per questo errore».

Qua sotto la tomba di Franz Jägerstätter e della moglie Frasziska

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Nemmeno la Chiesa alzò la sua voce! La Chiesa cattolica e quella protestante accondiscesero in larga misura all’ascesa del nazismo, visto come unica difesa dalla minaccia bolscevica, salvo poi prendere le distanze da alcune sue politiche come l’eliminazione sistematica dei disabili psichici.

Alcuni storici sottolineano il sostegno esercitato dai protestanti tedeschi, più propensi a credere in un Dio potente e glorioso che in un Cristo dalla parte degli ultimi e pronto al sacrificio.

La Chiesa cattolica, d’altra parte, non si era posta in contrasto nemmeno con il fascismo dieci anni prima in Italia: all’indomani dei Patti Lateranensi (1929), il Duce era stato addirittura indicato da papa Pio XI come «l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare».

Simili posizioni ufficiali contrastavano con le coscienze di molti credenti, ma solo in pochi manifestarono il proprio dissenso. Fra questi, gli studenti cristiani del gruppo della Rosa Bianca e i dissidenti del circolo di ispirazione cristiana di Kreisau, entrambi liquidati dalla Gestapo.

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Fu un libro scritto nei primi anni Sessanta a dare il giusto risalto all’uomo che si era ribellato al volere di Hitler: In Solitary Witness di Gordon Zahn, fonte di ispirazione dei movimenti pacifisti e degli oppositori alla guerra in Vietnam. La vicenda di Franz Jägerstätter arrivò fino al Concilio Vaticano II.

«Nel pensiero e nel sentimento umano preferiremmo talvolta vendicarci un po’, ma la fede cristiana non ce lo permette, dobbiamo ripagare il male con il bene. E soltanto l’amore è in grado di restaurare ogni volta di nuovo la pace», aveva scritto Franz in una lettera al suocero.

Trascorrono altri trent’anni e la fattoria di Jägerstätter viene dichiarata monumento nazionale. Nel 1997, il Tribunale di Berlino annulla la sentenza di morte nei suoi confronti: un atto simbolico che coincide con l’avvio della causa di beatificazione.

Dieci anni dopo, papa Benedetto XVI riconosce il suo martirio, ultimo passo per procedere alla beatificazione, avvenuta nella cattedrale di Linz. Di Jägerstätter ci restano molti scritti: poesie, lettere, il diario.

Testimonianze della sua convinzione che ciascuno, per quanto umile e solo, deve agire con coerenza rispetto a ciò in cui crede. Fino in fondo.

 

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Note

Su di lui, due film e spettacoli teatrali

Il primo film su Franz Jägerstätter, una co-produzione austro-tedesca, risale al 1971, ma la sua figura ha ispirato alcuni spettacoli teatrali anche al di fuori del mondo tedesco.

Nel 2020 è uscito invece La vita nascosta (A Hidden Life), scritto e diretto da Terrence Malick.

Il film è stato l’ultimo interpretato prima della loro scomparsa dallo svizzero Bruno Ganz e dallo svedese Michael Nyqvist.

Nei panni del protagonista, l’attore tedesco August Diehl (foto sotto). Il film, presentato in concorso nel 2019 al Festival di Cannes, è stato girato fra l’altro a Bressanone, Brunico e Sappada.

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