E’ stato il più grande uragano atlantico della storia: i suoi venti di tempesta si estendevano in un raggio di 1.800 km, come dalla Danimarca alla Calabria.
Nell’autunno del 2012 l’uragano Sandy si è spostato dai Caraibi alla costa orientale degli Usa, colpendo 7 Paesi in 12 giorni. Solo negli Usa, Sandy ha causato danni per 62,7 miliardi di dollari.
Ora si è scoperto che una parte di questi danni, 8,1 miliardi (il 13%) poteva essere evitata.
Perché è stata colpa dell’uomo: «Il riscaldamento climatico causato dall’uomo ha innalzato il livello del mare di 10 cm nell’area di New York, New Jersey e Connecticut, permettendo alla tempesta di penetrare molto di più nell’entroterra, rendendo più profonde le acque alluvionali, aumentando i danni alle strutture e raggiungendo così 71mila persone in più».
Non lo dice un sito complottista, ma una ricerca dello Stevens Institute of Technology pubblicata su Nature communications: gli scienziati l’hanno accertato dopo aver simulato al computer l’effetto di vari livelli del mare sulle inondazioni causate da Sandy.
È il primo studio che quantifica i danni economici dovuti agli effetti umani su una tempesta. «Se calcolassimo i costi del cambiamento climatico vedremmo con più chiarezza i gravi danni che stiamo infliggendo al Pianeta», dice l’autore dello studio, Philip Orton.
La soluzione è chiara: per frenare il cambiamento climatico occorre ridurre l’effetto serra causato dalle emissioni di CO2 legate alla combustione di fonti fossili.
Nel 2015, 195 nazioni si sono impegnate, con l’accordo di Parigi, a contenere il riscaldamento del Pianeta entro 2 °C, meglio ancora 1,5 °C: ce la faremo? La frenata economica causata dalla pandemia ha prodotto il più grande calo di emissioni di CO2 della storia: fra il 4 e il 7%.
Ma è durato poco: già a fine 2020 erano tornate ai livelli pre Covid. E la pandemia rischia di oscurare la lotta al cambio climatico. Sarebbe un grave errore: secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, l’obiettivo degli 1,5 °C è raggiungibile solo se l’uso di fonti rinnovabili supererà quello del carbone entro il 2026, e quello di gas e petrolio entro il 2030.
«Se non interveniamo subito i bambini di oggi potrebbero trovarsi a vivere in un mondo più caldo di 4 °C alla fine del secolo. Nessuno può dire come potrebbero modificarsi le società in un mondo del genere», avverte Antonello Provenzale, direttore dell’Istituto di geoscienze del Cnr di Pisa e autore di Coccodrilli al Polo Nord e ghiacci all’Equatore (Rizzoli).
Perciò occorre tener desta l’attenzione, ricordando i 10 sintomi del cambiamento climatico: sono legati l’uno all’altro e si amplificano a vicenda, in un effetto domino. Riducendo le emissioni di CO2, infatti, si limiterebbero gli altri 9 sintomi.
1. DI QUANTO È AUMENTATA LA CO2 E DI QUANTO È CALATO IL MANTO NEVOSO?
- DI QUANTO È AUMENTATA LA CO2?
Dallo scorso aprile, l’atmosfera terrestre ha una quantità di anidride carbonica (CO2) di 420 parti per milione (0,00042%).
È il valore più alto mai registrato negli ultimi 800mila anni. Lo sappiamo grazie allo studio delle carote di ghiaccio prelevate in Antartide, dove è rimasta intrappolata l’aria fossile della preistoria.
Tutta questa CO2 ha effetti rilevanti sul clima: la Terra non riesce ad assorbirla e così resta in atmosfera per decenni, assorbendo e riemettendo circa il 70% del calore solare irradiato dal Pianeta, innescando la salita delle temperature. E un’atmosfera più calda contiene più vapore acqueo che amplifica l’effetto serra.
«La CO2 ha un ruolo centrale nel riscaldamento globale. Tant’è vero che le simulazioni al computer non riescono a riprodurre il cambio climatico se non si inserisce nei parametri l’aumento di CO2, che dal 1700 è cresciuta di quasi il 50%. L’ultima volta che la quantità di CO2 atmosferica è stata così alta è stata 4 milioni di anni fa, quando la temperatura era di 3 o 4 °C più alta che nel ’700, il Polo Nord aveva molto meno ghiaccio e il livello del mare era 15-25 metri più alto di oggi», dice Provenzale.
Ma come facciamo a sapere che tutta questa CO2 è stata prodotta dall’uomo e non da fenomeni naturali come le eruzioni vulcaniche? Perché il carbonio di questa CO2 ha una firma isotopica (cioè una struttura chimica) particolare, tipica di quando si bruciano combustibili fossili, ovvero carbone, petrolio, gas naturale.
Oggi il 45% della CO2 è dovuto alla produzione di energia elettrica. Per questo è importante la transizione verso le fonti rinnovabili come il solare e l’eolico.
«Ma occorre prestare attenzione anche ad altri fattori che aumentano il livello di CO2, come la deforestazione, l’agricoltura, gli allevamenti intensivi o la produzione di cemento», avverte Provenzale.
- DI QUANTO È CALATO IL MANTO NEVOSO?
Il manto nevoso è molto sensibile all’aumento della temperatura.
I dati satellitari mostrano che con l’aumento delle temperature globali, l’estensione della neve è diminuita a un tasso di 550 mila km2 ogni decennio: un’area poco più grande della Spagna.
Sulla base delle tendenze attuali, i modelli climatici hanno previsto che la massa nevosa diminuirà fino al 40% nell’America Settentrionale Centrale, nell’Europa Occidentale e nella Russia Nord-occidentale, rispetto al periodo 1986-2005.
2. DI QUANTO SONO SALITE LE TEMPERATURE E DI QUANTO SI SONO RIDOTTI I GHIACCIAI TERRESTRI?
- DI QUANTO SONO SALITE LE TEMPERATURE?
Dal 1880 le temperature medie globali sono aumentate di 1,2 °C.
La maggior parte del riscaldamento si è verificata negli ultimi 40 anni, i più caldi degli ultimi 8 secoli a causa dell’aumento di produzione d’energia a scopi industriali: 19 dei 20 anni più caldi si sono verificati dal 2001; il 2016 e il 2020 sono gli anni più caldi mai registrati.
Le aree terrestri si sono scaldate il doppio rispetto alla superficie del mare.
Il Circolo polare artico e la Siberia hanno registrato i più alti picchi di riscaldamento, +6 °C, contribuendo a innescare forti incendi che hanno a loro volta aumentato la quantità di CO2 in atmosfera.
E il rapido riscaldamento dell’Artico ha modificato la circolazione atmosferica, aumentando l’evaporazione dell’acqua: l’umidità viene trasportata verso sud dalle fredde correnti settentrionali, scatenando nevicate e ondate di freddo fuori stagione, come abbiamo visto in aprile e maggio.
Il riscaldamento produce ingenti danni economici: secondo Moody’s Analytics un aumento di 2 °C costerebbe una cifra equivalente al 79% di tutta l’economia mondiale ovvero 69 trilioni di dollari entro il 2100. Mantenere il riscaldamento entro 1,5 °C costerebbe “solo” 30 trilioni.
- DI QUANTO SI SONO RIDOTTI I GHIACCIAI TERRESTRI?
I ghiacciai del mondo hanno perso 9.625 gigatonnellate di ghiaccio dal 1961.
Con due conseguenze: la loro acqua di disgelo ha contribuito all’innalzamento del livello del mare (per circa 1⁄4 del totale), e ha ridotto la quantità d’acqua dolce disponibile sulla terraferma per irrigare i campi.
I ghiacciai che si sono ridotti di più sono quelli dell’Alaska (-3.019 Gt), Groenlandia (-1.237 Gt), Ande del Sud (-1.208 Gt), Canada artico (-1.069 Gt) e Artico russo (-1.044 Gt).
3. QUANTO SI SONO FUSE LE CALOTTE DI GHIACCIO E DI QUANTO SI È FUSO IL GHIACCIO MARINO (POLO NORD)?
- QUANTO SI SONO FUSE LE CALOTTE DI GHIACCIO?
Il ghiaccio che ricopre la Groenlandia e l’Antartide immagazzina oltre il 99% del ghiaccio d’acqua dolce terrestre sulla Terra.
Ma dagli anni ’90 a oggi si sono perdute 6,4 trilioni di tonnellate di quel ghiaccio, con due conseguenze: il livello del mare è salito (1⁄3 dell’innalzamento complessivo è dovuto alla fusione di questi ghiacci) e la superficie bianca di queste aree, che prima rifletteva il calore del Sole, è diminuita, contribuendo così a innalzare la temperatura planetaria.
La fusione delle calotte di ghiaccio ha rilevanti effetti sul clima: i venti, invece di soffiare dall’Antartide al mare, tendono a invertire direzione, portando più piogge sull’Antartide e aumentando la velocità di fusione dei ghiacci.
- DI QUANTO SI È FUSO IL GHIACCIO MARINO (POLO NORD)?
L’area del ghiaccio marino è scesa da 8 milioni di km2 nel mese di settembre alla fine degli anni ’70 a 4 milioni di km2, la sua estensione più bassa, nel 2012.
L’Artico si scongela più in fretta dell’Antartide perché è un mare chiuso, circondato da masse continentali montuose: dall’inizio delle registrazioni satellitari il ghiaccio artico è diminuito di circa il 40%; questo declino potrebbe essere senza precedenti negli ultimi 1.450 anni.
Uno studio recente stima che 3 m2 di ghiaccio marino artico vengono persi per ogni tonnellata di emissioni di anidride carbonica; un’auto di media cilindrata emette 4,6 tonnellate/anno, pari a circa 14 m2 di ghiaccio.
Gli ultimi modelli climatici prevedono che l’oceano Artico potrebbe essere privo di ghiaccio durante i mesi estivi già nel 2050.
4. QUANTO SI È SCALDATO L’OCEANO E DI QUANTO SI È ALZATO IL MARE?
- QUANTO SI È SCALDATO L’OCEANO?
L’oceano ha assorbito il 90% del calore intrappolato dai gas serra. Fra il 1997 e il 2015 ha inglobato tanto calore quanto nei 130 anni precedenti.
Sono soprattutto i primi 100 m di profondità degli oceani a risentirne: dal 1969 si sono scaldati di 0,33 °C.
Può sembrare poco, ma bisogna ricordare che gli oceani occupano il 71% della superficie terrestre, quindi hanno accumulato un’energia ingente.
Secondo una ricerca su Advances in Atmospheric Sciences, solo l’anno scorso i primi 2.000 metri degli oceani del mondo hanno assorbito 20 zettajoule in più di calore rispetto al 2019.
Uno zettajoule è pari al consumo di energia in tutto il mondo per 2 anni: con 20 zettajoule si potrebbero far bollire 1,3 miliardi di bollitori da 1,5 litri di acqua ciascuno.
L’oceano tuttavia è troppo vasto per bollire: «Così rilascerà in atmosfera questo surplus di calore in modo lento, causando piogge più intense, uragani più potenti e incendi», dicono i ricercatori.
Non solo. Scaldandosi, gli oceani aumentano di volume contribuendo a innalzare il livello del mare. E causano lo sbiancamento dei coralli, un fenomeno distruttivo che può condurre alla morte delle microalghe che forniscono nutrimento ai polipi del corallo e, di conseguenza, all’intero habitat dove vivono 9 milioni di specie marine diverse.
- DI QUANTO SI È ALZATO IL MARE?
A livello globale il mare è aumentato di circa 21 cm rispetto al 1880. Dal 2006 il tasso di crescita è raddoppiato, arrivando a 3,6 mm all’anno.
Il 30% circa dipende da espansione termica, il resto dalla fusione dei ghiacciai di montagna e dalle perdite dalle calotte glaciali. Se le emissioni di CO2 dovessero seguire i ritmi attuali, entro il 2100 i mari si potrebbero alzare di 60-120 cm.
Nelle città costiere questo fenomeno è peggiorato dall’intervento dell’uomo: il terreno si abbassa nelle città che sorgono sul delta dei fiumi dove vengono estratte acque sotterranee, petrolio, gas e sabbia.
Spesso in queste zone ci sono dighe a monte: bloccano l’arrivo di nuovi sedimenti che compenserebbero l’erosione delle coste. Il fenomeno è preoccupante soprattutto in Asia, dove sorgono molte megalopoli costiere.
Tanto che la capitale dell’Indonesia, oggi a Giacarta sulle coste dell’isola di Giava, sarà trasferita nel Borneo: la città sta affondando di 25 cm l’anno per l’estrazione di acque sotterranee.
5. GLI EVENTI METEO ESTREMI SONO CAUSATI DALL’UOMO? E DI QUANTO SI È ACIDIFICATO IL MARE?
- GLI EVENTI METEO ESTREMI SONO CAUSATI DALL’UOMO?
Gli scienziati hanno studiato 405 eventi meteo estremi negli ultimi 20 anni, dalle ondate di caldo in Svezia alle inondazioni in Bangladesh.
Il sito scientifico Carbon Brief ha concluso che il 70% degli eventi esaminati è risultato più probabile o più grave a causa dei cambiamenti climatici causati dall’uomo; il 9% degli eventi o delle tendenze è stato reso meno probabile o meno grave dai cambiamenti climatici: dunque, conclude l’analisi, «il 79% di tutti gli eventi ha subìto un impatto umano».
Gli eventi climatici resi più gravi dall’influsso umano sono soprattutto il caldo estremo (nel 92% dei casi), seguito da inondazioni (la quantità di pioggia durante i temporali estivi aumenta del 14% per ogni grado di temperatura in più), siccità, uragani, mareggiate e incendi.
Gli eventi meteo estremi sono preoccupanti perché minacciano la nostra sopravvivenza. Si stima infatti che 506 delle 735 vittime a Parigi durante l’ondata di caldo europea del 2003 fossero dovute al fatto che il cambiamento climatico aveva reso il caldo più intenso.
E i cambiamenti nelle precipitazioni e nell’aridità minacciano la coltura di alimenti nell’Asia Meridionale e Sud-orientale, e nella regione del Sahel in Africa.
- DI QUANTO SI È ACIDIFICATO IL MARE?
Dal 1750, il pH (cioè il livello di acidità) della superficie dell’oceano è diminuito di 0,1 punti, passando da 8,2 a meno di 8,1: questo calo corrisponde a un aumento dell’acidità oceanica di circa il 30%.
La colpa, ancora una volta, è delle elevate emissioni di CO2: si è disciolta negli oceani attraverso uno scambio chimico diretto, modificandone l’acidità.
Gli oceani più acidi rendono più fragili i gusci calcarei delle conchiglie, dei granchi e dei coralli.