La scienza è l’arte del dubbio. Ma uno dei temi su cui tutto il mondo scientifico ha poche incertezze è quello della crisi climatica.
Articoli scientifici, modelli, ricostruzioni e osservazioni sul campo sono arrivati alla conclusione che le attività umane hanno modificato l’atmosfera.
Tanto che l’ultimo rapporto dell’Ipcc (l’Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo dell’Onu che esamina e valuta le ricerche scientifiche al riguardo), la cui prima parte è uscita da poche settimane e che di solito è molto cauto, afferma che l’impronta umana è “inequivocabile”.
È quindi possibile dipingere un quadro preciso della situazione.
Abbiamo diviso i temi in 7 schede: le prove che la nostra specie ha modificato il Pianeta, e le loro conseguenze. Ecco i fatti che lo dimostrano.
1. AUMENTO DELL'ANIDRITE CARBONICA IN ATMOSFERA
Un punto chiarito da molti decenni è che l'anidrite carbonica ha un effetto “riscaldante” sul Pianeta.
Trattiene nell’atmosfera i raggi infrarossi (calorifici) che la Terra riemette quando è colpita dalla radiazione solare.
«Una delle prime a studiare questo effetto fu Eunice Foote, una scienziata statunitense, nel 1856», spiega Antonello Provenzale, direttore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Cnr e autore del recente Coccodrilli al Polo Nord e ghiacci all’Equatore (Rizzoli), un libro sulla storia del clima terrestre.
«L’andamento della concentrazione della CO2 in atmosfera, inoltre, corrisponde quasi esattamente alle attività industriali umane», continua Provenzale.
Anche se varia di anno in anno, il totale delle emissioni è in media di circa 40 gigatonnellate l’anno. Le fonti della CO2 sono proprio le attività antropiche, come la produzione di energia elettrica o di cemento, i trasporti e l’agricoltura.
Il risultato è che da una media per tutto il Pianeta di circa 280 ppm (parti per milione) di questo gas nell’età preindustriale si è arrivati, a luglio 2021, a 417 ppm.
Oltre all’anidride carbonica, altri gas contribuiscono a modificare l’atmosfera, come metano e ossido nitroso (N2O): anch’essi sono in gran parte emessi dalla nostra specie.
La concentrazione di metano nell’atmosfera è più che raddoppiata dai tempi preindustriali, raggiungendo negli ultimi anni oltre 1.800 ppb (parti per miliardo).
L’aumento è dovuto principalmente all’agricoltura e ai combustibili fossili, anche se esistono ambienti naturali, come paludi, vulcani e sedimenti oceanici, che contribuiscono per circa il 40%.
Così come all’agricoltura si deve l’aumento dell’ossido nitroso. Tutti questi gas hanno aumentato la temperatura media del Pianeta di circa 1,1 °C, rispetto alla media del periodo 1850-1900.
2. ACIDIFICAZIONE DEGLI OCEANI
La CO2 in atmosfera modifica anche la chimica degli oceani.
Sciogliendosi nelle acque, infatti, l’anidride carbonica tende ad abbassare il pH dal valore storico di circa 8,3 verso il 7, il punto di neutralità (da 7 in su il livello è basico, da 7 in giù acido).
Oggi il pH degli oceani è di circa 8,2: il 30% in meno rispetto al precedente (la scala del pH è logaritmica; a una piccola diminuzione numerica corrisponde una notevole variazione percentuale).
L’ultima volta che il pH degli oceani è stato così basso fu durante il Miocene medio, 14-17 milioni di anni fa. La Terra, allora, era più calda di diversi gradi rispetto a oggi e si verificò un grande evento di estinzione.
E oggi? Le specie animali e vegetali, abituate a un ambiente diverso, possono subire importanti modifiche nel loro metabolismo.
Alcuni animali, come molluschi o unicellulari planctonici, hanno difficoltà a costruire il loro guscio protettivo, che diventa più sottile e fragile. Tra le specie più importanti colpite da questo fenomeno ci sono i coralli.
Anch’essi utilizzano una forma di carbonato di calcio per costruire barriere lunghe anche decine di chilometri, che ospitano una biodiversità altissima.
Se la barriera corallina si indebolisse, ne risentirebbero le comunità che vivono dei proventi e delle risorse ricavate da essa, dai pescatori agli operatori turistici.
Una barriera debole, inoltre, non protegge le coste dagli uragani.
3. SPOSTAMENTO DI ECOSISTEMI E INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEI MARI
- SPOSTAMENTO DI ECOSISTEMI
La temperatura, e di conseguenza l’umidità, il regime pluviometrico e altri parametri ambientali, sono variabili che letteralmente “costruiscono” gli ecosistemi.
Se i loro valori si modificano, come sta accadendo in questi decenni, cambiano anche le condizioni degli ecosistemi stessi: ambienti umidi diventano più aridi, e quindi non possono sostenere la stessa complessità e biodiversità.
Le modifiche possono essere globali: «L’aumento di temperatura porta anche a uno spostamento del cosiddetto vortice circumpolare», dice Provenzale, cioè una regione di aria fredda che circola sopra i Poli del Pianeta.
Questo causa anche modifiche nei fenomeni meteorologici e negli ambienti: «Negli ultimi 40 anni, l’aumento di precipitazioni in Nord Europa e la diminuzione nel Sud hanno portato a cambiamenti importanti in regioni come l’Italia Centrale e Meridionale», conclude Provenzale.
L’impoverimento degli ambienti potrebbe avere conseguenze devastanti per la loro stabilità e la possibilità per l’uomo di sfruttarli (sostenibilmente). Un esempio vicino a casa nostra è lo spostamento degli ecosistemi montani verso quote più alte.
Che cosa vuol dire per il Pianeta un ecosistema che sparisce o si sposta? Localmente alcune specie animali e vegetali sparirebbero, contribuendo alla crisi della biodiversità.
Se sono ecosistemi a livello continentale però (foreste tropicali o barriere coralline), le conseguenze potrebbero essere rilevanti a livello planetario, perché cambia anche il regime delle piogge (per la foresta) o i popolamenti di specie (per le barriere).
- INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEI MARI
Uno degli effetti più noti dei cambiamenti climatici è l’innalzamento del livello dei mari. Il fenomeno ha due cause: la temperatura maggiore provoca un aumento di volume dell’acqua e fonde ghiacciai e calotte polari.
Il livello medio dei mari, a partire dal 1880, è così salito di circa 20 centimetri. Sembrano pochi, ma hanno effetti importanti: i terreni costieri sono invasi dal mare, e ne subiscono le conseguenze le centinaia di milioni di persone che vivono al limite tra oceani e terraferma.
«Anche pochi centimetri fanno la differenza quando ci sono fenomeni come le maree oppure tempeste, uragani o tifoni», afferma Elisa Palazzi, docente di Fisica del clima all’Università di Torino.
Ma questi fenomeni potrebbero portare a sconvolgimenti ancora più grandi. Come una modifica profonda delle correnti globali che trasportano acqua calda e fredda da un oceano all’altro.
L’Amoc (Atlantic Meridional Overturning Circulation), per esempio, ha un ruolo cruciale nella regolazione del clima dell’Atlantico, perché trasferisce calore verso nord, mantenendo l’Europa più calda.
Se rallentasse o si fermasse, potrebbero esserci stravolgimenti del clima, per esempio un notevole raffreddamento del Nord Atlantico.
4. FUSIONE DEI GHIACCIAI E INTENSIFICAZIONE DEI FENOMENI ESTREMI
- FUSIONE DEI GHIACCIAI
«Che l’aumento di temperatura porti alla fusione dei ghiacci è un dato certo, perché lo stiamo osservando da molti anni, grazie soprattutto ai bilanci di massa dei ghiacciai anno dopo anno», spiega Elisa Palazzi.
Le regioni che preoccupano di più sono la Groenlandia, l’Antartide e i ghiacciai asiatici.
Nei primi due casi perché raccolgono oltre il 99% del ghiaccio d’acqua dolce del Pianeta, in quello dell’Asia perché i suoi ghiacciai forniscono acqua ai grandi fiumi.
Anche le modifiche alle precipitazioni, cioè se piove anziché nevicare, contribuiscono alla diminuzione della massa dei ghiacci.
«Il risultato è che solo in Groenlandia, tra il 2002 e il 2020, abbiamo perso 279 miliardi di tonnellate di ghiaccio l’anno».
I ghiacciai continentali, poi, come quelli sull’Himalaya, sulle Ande o sulle Alpi, sono fondamentali per la sopravvivenza dei fiumi che questi ghiacciai nutrono e delle popolazioni a valle.
Grandi corsi d’acqua, come Gange e Brahmaputra, vedono modificata la loro portata: «Per ora la fusione ha portato paradossalmente a una maggiore disponibilità d’acqua, ma a un certo punto le cose si invertiranno», conclude Palazzi.
- INTENSIFICAZIONE DEI FENOMENI ESTREMI
Anche se alluvioni, tifoni e uragani sono sempre avvenuti nella storia dell’umanità, l’innalzamento della temperatura dell’atmosfera, il cambiamento del regime delle piogge e della temperatura superficiale hanno conseguenze notevoli per la meteorologia.
«Per esempio, a partire dal 1980 alcuni eventi meteorologici, come le tempeste, sono raddoppiati di frequenza», spiega Serena Giacomin, climatologa e presidente dell’Italian Climate Network, il movimento italiano per il clima.
Globalmente, secondo i nuovi dati, il numero di inondazioni e altri eventi idrologici è quadruplicato dal 1980 e raddoppiato dal 2004.
Tra i fenomeni più studiati ci sono gli uragani atlantici, che colpiscono l’America Centrale e Settentrionale: «Quando l’uragano si scatena, le sue caratteristiche, come appunto l’intensità, sono accentuate rispetto a qualche decennio fa», sottolinea Giacomin.
5. AUMENTO DI ONDATE DI CALORE/FREDDO
La temperatura globale del Pianeta è aumentata di circa 1,1 °C dagli inizi del secolo scorso; ma ciò non significa che non ci possano essere aumenti più consistenti, o addirittura diminuzioni, a livello locale.
Per esempio, ondate di caldo in zone non consuete, come il Canada Settentrionale e la Siberia.
Tanto che negli ultimi mesi si sono registrati diversi record di calore, come i 47,9 °C di Vancouver, in Canada, o i 48,8 °C in Sicilia.
Le conseguenze di queste temperature elevate sono gravi: per esempio, in Europa Settentrionale e in Canada negli ultimi 30-40 anni la quota alla quale si verificano gli incendi si è innalzata.
Gli incendi stessi sono più estesi e più violenti, perché le foreste sono più secche e meno resistenti al fuoco.
Secondo il rapporto 2021 dell’Ipcc, inoltre, è praticamente certo che i picchi di calore diventeranno più frequenti, ed è estremamente probabile che quelli di freddo saranno più rari.
Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, negli ultimi 50 anni ci sono stati più di 11.000 disastri attribuiti a questi rischi a livello globale, con poco più di 2 milioni di morti e 3,64 trilioni di dollari di perdite.
Nella sola area economica europea, tra il 1980 e il 2019, gli eventi meteorologici e climatici estremi e le ondate di calore hanno rappresentato circa l’81% delle perdite economiche totali causate dai rischi naturali, pari a 446 miliardi di euro.
Dal punto di vista economico, converrebbe quindi combattere la crisi climatica, anche se ciò costasse cifre che possano sembrare esagerate.