Dei cinque sensi, l’olfatto è forse il più sottovalutato da noi umani.
Di certo lo consideriamo ben meno importante della vista e dell’udito, a cui ci affidiamo per interpretare la realtà.
Né vorremmo mai fare a meno delle sensazioni del gusto o del tatto.
Eppure l’olfatto è uno degli strumenti più potenti del mondo animale, senza il quale moltissimi esseri viventi non avrebbero speranza di sopravvivere ai predatori, di scovare il cibo e nemmeno di trovare un partner.
Per capire come mai questo senso sia così importante per gli animali, bisogna prima spiegare come funziona un odore. Un odore è la combinazione di diverse molecole volatili: per fare un esempio, quello del caffè deriva dalla somma di oltre 200 sostanze chimiche diverse.
Questi composti entrano dal naso e giungono nella retrostante cavità nasale. È qui che si trova un tessuto specializzato, l’epitelio olfattivo, coperto da muco che cattura e ingloba le molecole odorose.
Ed è su di esso che sono distribuiti i “sensori” per gli odori: i recettori olfattivi, ovvero proteine posizionate sulla superficie dei neuroni olfattivi, che vanno dalla cavità nasale al sistema nervoso centrale.
Ci sono molti tipi di recettori diversi, che si legano a una serie di molecole differenti. Dai recettori, colpiti dalle molecole, partono così segnali diretti al cervello: sarà quest’ultimo a elaborare la marea di dati e a decodificare l’odore.
Gli animali annusano il mondo molto meglio di noi. Ecco i campioni dell’olfatto, dagli elefanti ai roditori. Con abilità sorprendenti!
1. BATTUTI DA UN BASSOTTO
Questo sistema è molto sviluppato nei campioni d’olfatto del mondo animale: il numero e la varietà dei recettori fanno un buon annusatore.
Se il “naso” di noi umani è un discreto strumento, rispetto ad altri mammiferi facciamo la figura dei dilettanti.
In un essere umano, l’epitelio olfattivo copre una superficie di meno di 10 cm2, mentre nei cani e nei lupi, che fanno dell’olfatto uno dei loro strumenti più potenti, arriva a 150 cm2.
Non solo: la concentrazione di recettori nel naso di questi animali è molto maggiore. I numeri ci dicono quanto i cani ci battono, in termini olfattivi: un essere umano parte da 5 milioni di recettori, mentre un bassotto tedesco ne ha 125 milioni, un beagle 225 e un cane di Sant’Uberto arriva a 300.
Altri grossi mammiferi fanno anche meglio di così. Gli orsi, innanzitutto, di qualsiasi specie: bruni, neri, polari, hanno tutti un olfatto potentissimo, e un epitelio olfattivo 100 volte più esteso del nostro.
Ci sono innumerevoli testimonianze di orsi che percepiscono una traccia odorosa (per esempio una carcassa) anche a 10 o 20 km di distanza.
Una ricerca di Andrew Derocher, biologo dell’Università dell’Alberta (Canada) specializzato in orsi, ha per esempio visto che gli orsi polari si muovono in direzione perpendicolare a quella da cui proviene il vento per attraversare e captare la “scia” odorosa proveniente da una preda (per esempio una foca).
Ma per i plantigradi l’olfatto non è solo questione di cibo: serve soprattutto per percepire la presenza di altri esemplari, il loro sesso, il loro status, il loro stato di salute.
Insomma, grazie al suo naso, un orso, come dice Derocher, «non è mai da solo», perché sa dove si trovano gli altri orsi nell’arco di chilometri.
2. LA TALPA CHE SENTE IN STEREO
Avere un olfatto potente è comodo anche per i mammiferi di piccole dimensioni, per individuare fonti di cibo o predatori. I
l ratto gigante africano (non un vero ratto, ma un roditore lungo fino a mezzo metro, coda esclusa), per esempio, ha un olfatto talmente sviluppato che anche noi umani abbiamo imparato a sfruttarlo.
In vari Paesi dell’Africa e in Cambogia, la Ong belga Apopo li sta addirittura usando per individuare le mine antiuomo, rilevando l’odore dell’esplosivo.
Non solo: in Africa, la Ong ha provato anche a usare questi roditori per riconoscere la presenza della tubercolosi (identificando le molecole volatili prodotte dal batterio che causa la malattia), facendo loro annusare un campione di espettorato dei malati.
Altri piccoli mammiferi, le talpe, che vivono sottoterra e sono quindi praticamente cieche, addirittura annusano “in stereo”: la narice destra e quella sinistra processano indipendentemente gli odori, e aiutano l’animale a costruire un’immagine dell’ambiente basata solo sul suo olfatto.
Lo ha visto Kenneth Catania, della Vanderbilt University (Usa), in uno studio sulla talpa americana Scalopus aquaticus (foto sotto).
Il record per il miglior olfatto del mondo, per lo meno tra i mammiferi, sembra però andare a un animale decisamente più grosso: l’elefante africano, che ha il maggior numero di geni che “esprimono” recettori olfattivi, circa 2.000.
Gli elefanti sono in grado di annusare una fonte d’acqua a 20 km di distanza, un “superpotere” fondamentale considerando dove vivono.
Possono fare anche di meglio: Lucy Bates della University of St. Andrews (Uk), per esempio, ha visto che un gruppo di pachidermi aveva imparato a distinguere i membri di due differenti gruppi etnici kenyoti dall’odore: solo uno dei due caccia gli elefanti, mentre l’altro è stato identificato come innocuo (Bates ha visto che la reazione degli elefanti all’odore degli abiti dei due gruppi era diversa).
E Joshua Plotnik, della City University of New York, ha dimostrato che gli elefanti sono in grado di capire dall’odore quanto cibo c’è in un contenitore chiuso, e di scegliere quello più ricco solo annusandolo.
In Africa, è stata messa alla prova anche la capacità degli elefanti di identificare il tritolo (o Tnt, presente nelle mine antiuomo). Nei test, gli elefanti individuavano i campioni quasi sempre.
3. SULLA PUNTA DEL BECCO E SISTEMI DIVERSI
- SULLA PUNTA DEL BECCO
Tra i vertebrati, gli uccelli erano considerati di olfatto piuttosto debole o nullo.
Tuttavia, si è visto che per esempio molti avvoltoi hanno un olfatto efficacissimo che permette loro di individuare le carcasse di cui si nutrono.
Il migliore è l’avvoltoio collorosso (foto a sinistra), che è in grado di annusare un cadavere da più di un chilometro di distanza e mentre sta volando, intercettando le molecole odorose che salgono nella colonna d’aria.
Uno studio canadese ha dimostrato che il suo bulbo olfattivo – la struttura nel cervello dove gli odori cominciano a venire elaborati – è il più grande di tutti gli uccelli.
L’unico che può fargli concorrenza è il piccolo kiwi, le cui narici sono collocate sulla punta del becco: l’animale le usa mentre va in cerca di cibo di notte, nel terreno e tra le foglie, e non a caso il suo bulbo olfattivo è grande, in proporzione.
E nuove ricerche stanno portando gli scienziati a rivalutare sempre più l’olfatto aviario: in uno studio pubblicato a luglio, Martin Wikelski (Istituto Max Planck di comportamento animale, Germania) ha visto che le cicogne (foto sotto) annusano a distanza l’odore di un prato appena tagliato, dove avvistano meglio le prede.
- SISTEMI DIVERSI
Per chi sta “raso terra”, poi, analizzare le molecole odorose che stazionano sul terreno è un vantaggio. I serpenti però per farlo non si affidano tanto al loro naso quanto a un altro organo.
Fa parte del sistema olfattivo ausiliario: si chiama organo vomeronasale o di Jacobson, ed è situato sul palato superiore. Come funziona?
Quando vedete un serpente che fa saettare la lingua è perché sta raccogliendo particelle dall’ambiente, dall’aria o dal suolo. Poi le deposita in bocca, da cui arrivano all’organo di Jacobson per essere “processate”.
L’organo di Jacobson è presente, oltre che in rettili e anfibi, anche in alcuni mammiferi (pure noi umani ce l’abbiamo, ma “disattivato”), tra cui gli elefanti: è deputato principalmente a percepire feromoni, segnali chimici inviati da individui della stessa specie.
E nei mammiferi analizza le molecole non volatili nell’aria, per cui ci vuole un contatto diretto con la fonte dell’odore. La lingua dei serpenti (come questo Trimeresurus insularis sotto) raccoglie sostanze chimiche da due punti separati, essendo biforcuta.
E come annusa chi invece sta in acqua? In modo diverso, ma non troppo. Le sostanze chimiche viaggiano in acqua (e possono farlo per chilometri) invece che nell’aria, e arrivano alle narici dei pesci pronte a essere identificate.
I pesci sentono così il cibo e la presenza di predatori. Un mito sull’olfatto ittico, cioè che gli squali riescano a percepire una goccia di sangue da chilometri grazie a un olfatto eccezionale, è invece falso.
La distanza massima coperta dal loro naso è di circa 400 metri, e l’estensione del loro apparato olfattivo è paragonabile a quella degli altri pesci.
Il motivo per cui sono predatori così efficaci è che integrano le informazioni olfattive con altri stimoli sensoriali, per esempio la capacità di percepire il movimento in acqua.
Nella foto sotto, uno squalo tigre: gli squali usano l’olfatto per cercare prede.
4. HO RIZZATO LE ANTENNE E LA MADELEINE DI PROUST
Dovrebbe essere evidente ormai che l’olfatto è uno dei sensi più importanti del regno animale, e che siamo noi umani a sottovalutarlo.
Finora però abbiamo parlato solo di vertebrati e vogliamo chiudere con qualche parola sugli insetti, che hanno comunque un modo per “annusare” l’aria.
Invece del naso, gli insetti usano generalmente organi diversi per analizzare le molecole odorose in cui si imbattono: i palpi, piccole strutture che si trovano sulla mascella, e soprattutto le antenne.
In alcune specie, queste strutture sono particolarmente sensibili. La sfinge della vite, per esempio, è una grossa falena che si trova anche in Italia e che ha abitudini notturne, e non può quindi basarsi su stimoli visivi per individuare i fiori da cui ottiene il nettare: deve quindi affidarsi alle sue antenne per trovarli.
Tra i detentori dell’olfatto più potente tra gli insetti c’è anche un’altra falena, Bombyx mori (foto sotto), la cui larva è nota come baco da seta.
Le antenne di questo animale sono attrezzate per catturare le molecole odorose sospese in aria e circa il 70% dei recettori presenti sulle antenne dei maschi è dedicato a percepire l’odore delle femmine, ovvero i feromoni da esse prodotti.
Un maschio di Bombyx mori è quindi capace di annusare una potenziale partner a grande distanza. E queste falene hanno anche escogitato un metodo per amplificare il loro olfatto: quando percepiscono tracce di feromoni femminili sbattono le ali e creano una corrente che canalizza l’aria verso le antenne, per confermare o smentire la loro intuizione.
Arrivati a questo punto, è chiaro che annusare è un’operazione importante per gli animali. Noi compresi. E, come abbiamo visto nel pezzo precedente, anche se non siamo annusatori eccezionali come altri mammiferi, gli odori influenzano la nostra percezione del mondo in modi che spesso neanche notiamo.
Volete un ultimo esempio prima di chiudere? Al narratore di Alla ricerca del tempo perduto, di Marcel Proust, torna un ricordo d’infanzia mangiando la celebre “madeleine”. Ma se non l’avesse annusata mentre la mangiava, non gli sarebbero rimaste tutte le sfumature del gusto, né i ricordi di un profumo.
5. A OGNUNO IL SUO NASO, PIANTE CHE “SENTONO” E QUESTIONE DI GENI
- A OGNUNO IL SUO NASO
Il naso è una struttura protettiva che “ospita” le narici e aiuta nella percezione degli odori, ma ha anche il compito di facilitare la respirazione filtrando e riscaldando l’aria che entra nei polmoni.
Tutti i vertebrati sono dotati di naso, che però ha forme molto diverse a seconda dello stile di vita e delle necessità dell’animale: rettili e anfibi, per esempio, ce l’hanno quasi invisibile.
Addirittura quello dei pesci non ha nulla a che fare con la respirazione (che avviene attraverso le branchie), ma serve solo per annusare gli odori sott’acqua: le narici si aprono su due tasche foderate di epitelio olfattivo.
Negli uccelli, le narici sono invece sulla parte superiore del becco. Ma i nasi più prominenti li abbiamo noi mammiferi.
Il più vistoso è quello dell’elefante, che si è evoluto in una lunga proboscide, ma il più buffo è quello della piccola talpa dal muso stellato: è una “stella” di 1 cm di diametro con una corona di appendici dotate di senso del tatto.
Il naso di questa talpa le permette anche di annusare sott’acqua: produce bolle e le inala subito di nuovo, rilevando gli odori.
- PIANTE CHE “SENTONO”
Le piante sentono gli odori? Verrebbe da dire di no, visto che non hanno un naso.
Le molecole odorose si possono accumulare sulle foglie, però, quindi le piante potrebbero rilevarle. Kazushige Touhara dell’Università di Tokyo, dopo anni di ricerca, ha visto che in effetti i vegetali reagiscono ai composti organici volatili, anche se molto lentamente.
Le molecole devono infatti entrare nelle cellule della pianta e lì accumularsi, prima che ci sia una reazione: nel tabacco, Touhara (foto sotto) ha visto che modificano l’espressione di geni.
Un esempio di “olfatto verde” è la pianta parassita Cuscuta pentagona, che rileva i composti odorosi prodotti da altri vegetali: uno studio della Penn State University (Usa) ha dimostrato che cresce nella direzione del suo bersaglio seguendo le molecole volatili emesse dall’altra pianta.
- QUESTIONE DI GENI
Gli elefanti africani hanno quasi 2.000 geni per “produrre” i recettori olfattivi: oltre il doppio dei cani (811) e cinque volte gli umani (396).
Lo ha calcolato Yoshihito Nimura, Università di Tokyo. Il suo team ha analizzato 13 mammiferi, contando i geni legati ai recettori olfattivi.
Nella tabella sotto sono indicati i geni funzionali (che contengono le istruzioni per costruire le proteine), gli pseudogeni (sequenze non funzionali) e i geni “troncati” (sequenze incomplete).
Il numero di geni funzionali è sulla fascia verde, il numero totale è a destra delle fasce.