Raramente pensiamo a quanto importante sia il nome del cane ai fini di una convivenza serena, di una valida educazione, della sicurezza del nostro amico e anche di un rapporto basato sulla comprensione reciproca, e invece..
Scopriamo insieme tutte le cose da sapere.
1. Breve analisi etologica. Un suono “condizionato”
Ci sono nomi da sempre gettonati, come il classico “Rex” per i maschi o “Maya” per le femmine, ma anche altri tipicamente umani, soprattutto ultimamente, per cui al parco capita di sentir chiamare “Mario!” e di veder apparire un simpatico quattrozampe invece di un bipede con postura eretta.
Ma al di là di queste annotazioni di costume, l’importanza del nome che scegliamo per il nostro cane è molto più grande di quanto in genere si crede, tanto per noi quanto per colui che diverrà destinatario di questo particolare “codice vocale”.
Per noi perché quel nome sarà sinonimo di amicizia, emozioni e affetto; per il cane perché dovrà capire che quel suono lo identifica e in esso deve identificarsi, pensando “quello sono io”: il che è tutt’altro che scontato e men che meno semplice, se non agiamo correttamente.
Che significato assume il nome del cane nell’ambito della nostra comunicazione quotidiana? Si tratta, a ben vedere, di uno “strumento” diretto a ottenere l’attenzione del nostro amico, essenziale per interagire con lui.
In termini tecnici, il nome passa da una condizione di “neutralità” a uno stato di “certezza”, cioè quando il cane ha chiaro in mente che, udito quel “codice”, qualcosa che lo riguarda sta per succedere.
È importante precisare che, probabilmente, il nostro amico nulla sa dell’identità nominativa, ossia di quel bisogno tipicamente umano di attribuire a ognuno un nome proprio di “persona”.
Per lui, quindi, il suono di cui diviene destinatario non è altro che uno stimolo uditivo ripetuto svariate volte fin dalla tenera età, uno stimolo da considerarsi “condizionato”, ossia divenuto significativo per effetto delle conseguenze che ne sono derivate.
Ed è uno stimolo anche “discriminativo”, diretto a ottenere una reazione univoca e volontaria nei confronti di colui che ha pronunciato il nome.
2. Mai senza ragione. Problemi di “ricezione”? Introduciamo un supporto
La parte più interessante della faccenda riguarda la “costruzione” del nome.
Seguendo le regole dei processi associativi di cui il cane è, per natura, un autentico maestro, il primo passo per insegnargli il suo nome consiste nel collegare tale suono a qualcosa di piacevole: quando pronunciamo il nome del cane, associamolo alla comparsa di un gustoso boccone, a una carezza o all’avvio di un gioco.
In breve tempo, il nome diventerà preludio di gratificazione, inducendo il cane a rivolgersi con aspettative positive verso chi lo abbia pronunciato.
Ed ecco spiegato anche perché non è mai una buona idea chiamare il nostro cane ripetutamente e senza che al richiamo faccia seguito qualcosa: molti lo fanno, purtroppo, con il risultato che quel suono, per il cane, diviene solo un rumore di fondo, perciò inascoltato.
Usando il nome correttamente, invece, il nostro amico impara in fretta a distinguerlo dalle altre parole del “vocabolario” che costruirà nel tempo, e quel suono diventerà la parte invariabile che annuncia tutte le possibili varianti della nostra interazione con lui.
Quando pronunciamo il nome del nostro cane è perché vogliamo avere la sua attenzione, quindi vogliamo interrompere il suo comportamento in quel momento preciso, che stia annusando in giro, correndo o anche dormendo.
Perché la cosa funzioni, però, l’utilizzo del nome deve seguire alcune regole. La prima dice che non dobbiamo ripetere il nome del cane, se in quella determinata occasione non ci ascolta. Dobbiamo invece introdurre un “supporto”, non uditivo bensì visivo.
Per esempio, se siamo al guinzaglio e chiamiamo il cane ma lui ci ignora, proviamo a spostarci all’indietro e all’esterno, oppure posizioniamoci davanti a lui, quasi a contatto, sempre senza parlare.
In questo modo otterremo l’attenzione del cane senza utilizzare nuovamente il suo nome, il che eviterà possibili conseguenze negative: oltre a divenire “sordo” a quel suono perché ripetuto spesso inutilmente, infatti, è facile che il nostro amico impari a prestarci attenzione solo dopo un certo numero di ripetizioni del nome.
3. Un ponte comunicativo. Ripetizione uguale estinzione
Ottenere l’attenzione del nostro cane non è la sola ragione per cui pronunciamo il suo nome.
Di solito, infatti, vogliamo anche proporgli un diverso comportamento.
Il nome diventa quindi una sorta di “segnale ponte”, un suono che preannuncia una richiesta successiva. E senza questo ponte comunicativo le cose possono farsi difficili.
Proviamo a pensare al nostro amico che corre, oppure che sta annusando con attenzione qualcosa: chiedergli di fermarsi o di sedersi senza prima pronunciare il suo nome difficilmente avrà esito positivo; al contrario, se prima otteniamo la sua attenzione le nostre probabilità di successo aumentano parecchio!
Una tecnica che può migliorare ulteriormente il risultato consiste nel lodare la reazione al nome: il “bravo” ricevuto (se il cane conosce il termine, ovviamente) motiva maggiormente all’ascolto di ciò che diremo subito dopo.
Importante sapere che questo specifico tipo di interazione (vale a dire nome - attenzione/bravo - richiesta di nuovo comportamento) funzione anche a distanza, senza guinzaglio. Quindi potrà essere di grande importanza per impedire che il nostro amico si metta in pericolo!
Quando il cane finisce con l'ignorare il suo nome per via delle nostre ripetizioni inutili, in termini etologici parliamo di “irrilevanza appresa”: l’esposizione allo stesso stimolo ripetuto senza conseguenze comporta l’estinzione della risposta originaria allo stimolo medesimo.
Ripetendo il nome, poi, insegniamo al cane a reagire solo dopo un certo numero di tentativi: forte di un’intelligenza “logico matematica”, il cane riesce a contare la ripetitività delle note, allertandosi solamente in prossimità della conclusione della sequenza. Vale lo stesso per qualsiasi altro “comando”.
Altra cosa estremamente importante: quando il cane risponde al suo nome, immediatamente o con l’aiuto descritto, deve essere lodato e premiato: grazie alle leggi dell’apprendimento, è molto probabile che alla successiva richiesta di attenzione attraverso l’uso del nome otterremo una risposta di maggiore intensità e immediatezza.
4. La nostra voce. Attenzione ai rimproveri... Urlare non conviene. Niente gesti, solo la voce
Capita a tutti, prima o poi: chiamiamo il cane da lontano ma lui ci ignora quindi, spazientiti, ci mettiamo a urlare il suo nome... comprensibile, ma controproducente.
Poiché spesso il cane continua a ignorarci, infatti, si rischia di cadere nel circolo della ripetitività a oltranza, aumentando il volume della voce a ogni richiamo ignorato.
Solo che più si urla e più il destinatario eviterà di considerarci: a chi piacerebbe tornare da qualcuno che gli sta urlando contro palesemente alterato?
Se poi, al sopraggiungere del cane, lo sgrideremo, come molti fanno, allungheremo ancora i tempi di rientro la volta successiva, perché il nostro amico assocerà il ritorno alla sgridata. Utile anche tenere conto della “separazione dei sensi”.
Come tutti gli esseri viventi, anche il cane richiede una comunicazione per settori, per consentire a ciascun organo sensoriale di lavorare al meglio.
Così, se al nome assoceremo contemporaneamente un qualsiasi gesto, il suono perderà di valore a vantaggio del segnale visivo, di gran lunga più efficace. Con il passare del tempo, la reazione al nome rischierà di emergere solamente con l’ausilio del supporto visivo.
Con quale tono conviene pronunciare il nome del nostro amico? Trattandosi di un’informazione diretta a ottenere la sua attenzione, l’ideale è un tono “neutro” o allegro, ma senza eccedere.
Ogni espressione emozionale va a “degradare” l’efficacia della comunicazione, a maggior ragione se l’intento è di richiedere l’esecuzione di un’azione successiva. Al contrario, tonalità acute o grevi suscitano una sorta di “punto di domanda” nella mente del cane.
Eventuali “rimproveri” non dovranno mai essere correlati al nome del cane, per evitare che si verifichi una spiacevole associazione tra il nome stesso e il nostro disappunto.
Se vogliamo evidenziare al cane che il suo comportamento non ci piace, utilizziamo un suono di “non rinforzo”, poche sillabe (per esempio “Ah-Ah!”) che vorranno dire “non va bene”, ma ricordiamoci sempre di proporre un comportamento alternativo, altrimenti il senso del nostro segnale non potrà essere colto.
5. Quali nomi? Meglio brevi e chiari
Numerosi studi hanno evidenziato come la capacità di apprendimento dei segnali vocali da parte del cane raggiunge il massimo dell'efficacia nelle prime lettere.
Sembra quindi che il nostro amico, udita la prima parte della parola insegnata, escluda la parte successiva.
Tutto ciò suggerisce la scelta di nomi di poche sillabe, meglio se con suoni chiari. I nomi lunghi, se già impiegati, sarà meglio abbreviarli.
Nel caso di più cani in famiglia, poi, è fondamentale scegliere nomi nettamente differenti: i cani sono assai abili a cogliere tanto le differenze quanto le somiglianze! Sanno contare!
L’utilizzo del nome del cane è utile anche nei “cambi di contesto”, cioè passando da una situazione a un’altra.
Per esempio, se siamo fermi per strada con il cane accanto, la decisione di riprendere il cammino va preceduta dal nome, così da avvisare il nostro amico che stiamo per muoverci.
In fase di apprendimento, poi, usare il nome prima di chiedere un’azione fornisce al cane maggiore sicurezza operativa. Instaurare questa abitudine alla chiarezza conviene anche a chi pratica attività sportive.