Alzi la mano chi non cede al desiderio di accarezzare il cane ogni volta che ne ha l’occasione: davvero difficile resistere, non è vero?
Ed è un bene, perché le carezze sono importanti, molto più di quanto si immagini!
Cosa c’è di più bello che accarezzare il nostro cane e osservare quanto anche lui sia felice di questo contatto fisico che coinvolge profondamente l’animo di entrambi?
Mentre le nostre mani scorrono lungo la sua pelliccia, sulla schiena, sul ventre, sui fianchi, sul muso, l’espressione del cane ci conferma che apprezza tantissimo queste nostre attenzioni e ricambia trasmettendoci il suo affetto come può, con baci e sguardi che ci scaldano il cuore come poche altre cose.
Dunque le carezze, il contatto, in qualche modo, sono magici: scopriamo perché e come usarle al meglio per comunicare con il nostro amico e stringere ancora di più il legame con lui.
1. Il bisogno di contatto. Un elemento della cooperazione
Quando iniziamo ad accarezzare il nostro cane, poi facciamo fatica a smettere.
Dal canto suo, il cane manifesta evidente assenso, facendoci comprendere che questo bisogno, il bisogno del gel contatto, lo coinvolge nello stesso modo. Non a caso, spesso è lui a ricordarci di provvedere, sfiorandoci dolcemente in attesa di un riscontro.
Si tratta di una comunicazione silenziosa, più forte e veritiera delle parole, diretta e inequivocabile; come tale, fornisce informazioni che la voce e la gestualità non riescono a raggiungere, entrando in un profondo che sa di emozioni segrete.
E la conseguenza, per noi e per lui, è una sensazione di benessere a lungo termine. È sempre stato così, fin dalla notte dei tempi, fin dall’inizio, quando il cane iniziò a divenire “compagno di lavoro”, agli albori della sua trasformazione dal lupo al nostro partner più importante.
Testimonianze archeologiche sempre più frequenti emergono dal passato a ricordarci come il rapporto tra noi e il cane non fosse solamente utilitaristico. Cera qualcosa in più, una sorta di legame “simbiotico”, un’alleanza fatta anche di momenti di condivisione di spazi, tanto in vita quanto in morte.
Ma qual è la ragione di un tale bisogno reciproco di contatto fisico? Entrambi mammiferi ed entrambi predatori, noi e i cani, siamo ugualmente “sociali”, portatori di genomi volti alla cooperazione, alla condivisione e alla costruzione di veri e propri gruppi famigliari.
Originati, rispettivamente, dai Primati e dal lupo, uomo e cane convergono verso una coevoluzione diretta alla condivisione di una quotidianità a stretto contatto. E nelle specie sociali come quella umana e canina, il linguaggio fisico diviene il presupposto di quella che alcuni studiosi chiamano “alleanza indotta”.
Toccandosi si mantiene in vigore la collaborazione volontaria, dicendo senza parlare che l’uno potrà sempre contare sull’altro. Inoltre, le tante ricerche scientifiche rivolte alle specie preposte alla vita di branco confermano quanto l’interazione fisica risulti fondamentale nel combattere le “battaglie” verso il mondo esterno; un modo di farsi forza reciprocamente, entrambi consci che la sopravvivenza dell’uno è un vantaggio anche per l’altro, e viceversa.
I biologi evolutivi sono andati oltre, parlando di “altruismo egoistico”, cioè provare gratificazione fornendo benessere a chi ci è vicino (è la radice dell’amore, a ben guardare).
In quest’ottica, il contatto fisico tra noi e il cane diviene, per entrambi, un’urgenza inderogabile, quasi equiparabile al mangiare e al bere, allo stare bene e a migliorare la qualità della vita. Non soddisfare una tale urgenza diventa privazione di un elemento fondamentale per una vita soddisfacente.
2. Predisposizione naturale. Il tatto è il primo senso attivo
La propensione del cane al contatto fisico è presente fin dalla nascita, quando il cucciolo, ancora cieco, sordo e quasi privo di olfatto, dà inizio alla conoscenza del mondo attraverso il tatto.
Lo fa principalmente mediante l’impiego del muso, perché la bocca è l’unica parte già sensibile. Con il passare dei giorni, il cosiddetto “tattismo positivo” si estende alle altre zone del corpo e, dalla terza settimana, lo sviluppo totale dei sensi attiva i contatti volontari con mamma e fratelli.
I momenti di riposo dei cuccioli sono vissuti l’uno accanto all’altro, regolando così temperatura e respirazione; nella veglia, invece, l’interazione comprende lo strofinarsi, il toccarsi e il mettersi alla prova.
I comportamenti “epimeletici” (cioè quelli rivolti alla cura) della madre si manifestano proprio con il contatto fisico e anche le richieste di attenzione da parte del cucciolo vanno in quella direzione. Poi, attorno ai due mesi di vita, arriviamo noi: sostituti della figura materna e preposti a proseguire con l’interazione tattile.
Anche senza essere sollecitato da noi, qualsiasi cucciolo, purché minimamente socializzato verso la nostra specie, manifesta un evidente desiderio di “sentirci”, accucciandosi ai nostri piedi, saltandoci addosso a ogni movimento e addormentandosi d’incanto appoggiato alle nostre gambe.
Nei momenti di passaggio al sonno, soprattutto nei primi giorni dall’arrivo in casa, una nostra mano poggiata sul dorso del piccolo lo rassicura profondamente, favorendo rilassamento e comfort.
E persino nella fase pubertaria, periodo considerato per antonomasia di distacco e di “ribellione”, il cane mantiene un sufficiente legame di contatto con noi: magari di minore durata e di ridotta intensità, ma sempre presente.
Giunto alla maturità sociale, quando genetica e ambiente trovano il giusto equilibrio nel cane, la comunicazione tattile trova una definitiva stabilizzazione: non c’è giorno in cui le nostre mani non lo accarezzino e in cui il cane non le cerchi.
Tornando all’infanzia del cane, anche l’interazione con i suoi simili prevede il contatto ripetuto. Nei giochi di lotta e in quelli di inseguimento, tra i più amati dai cani e non solo da piccoli, il senso del tatto ha molta importanza.
E quando il nostro amico cresce e le distanze sociali assumono maggiore rilevanza, l’esigenza di conoscersi e comunicare anche a livello tattile rimane elevata e in alcuni soggetti e tipologie anche più che in altre.
Ma non dovremmo stupirci: tra i membri di un branco di lupi, infatti, i contatti fisici durante le pause tra le attività primarie per la sopravvivenza avvengono in media ogni sette minuti!
3. Zone rosse e bianche. Le diverse sensibilità del corpo e come accarezzarlo
Grazie alle mani, siamo in grado di dispensare carezze, cosa solo apparentemente ovvia perché, a pensarci bene, solo noi abbiamo questo “strumento” tanto comodo per entrare in contatto con le diverse aree del corpo del cane.
Proprio per questo, è bene sapere che esiste una “mappa” delle regioni somatiche che è utile conoscere.
In generale, il corpo del cane può suddividersi in tre grandi zone, con spazi considerati “rossi”, cioè più sensibili, e altri “bianchi, meno sensibili, oltre ad un colore intermedio per ciò che non è completamente rosso né bianco. Eccole:
- Le zone “ROSSE” includono il muso, il cranio, il profilo superiore del collo, le estremità degli arti, il ventre e la coda.
- Le zone “BIANCHE” si trovano al margine inferiore del collo, attacco della spalla e della coscia, il dorso e la radice della coda stessa.
- Le zone “INTERMEDIE” comprendono il petto e le facce laterali del tronco.
Vista la presenza di diverse sensibilità in base alla regione corporea, l’ideale è alternare le carezze passando da una regione somatica “calda” a una “fredda” e viceversa.
Inoltre, per i primi approcci con cani un po’ “chiusi”, il dorso della mano è meno invasivo del palmo e può essere accettato meglio, mentre le altre tipologie di carezze prevedono un contatto fisico fatto di maggiore pressione tattile.
Interessante sapere che le carezze possono esprimere diversi significati, diventando una forma di comunicazione tattile tra noi e il cane. Vediamo qualche esempio.
- Se l’intenzione è di rassicurare il nostro amico, passiamo il palmo della mano aperta lungo il costato, partendo dalla zona della spalla e arrivando fino alla coscia; normalmente si effettuano due o tre ripetizioni per poi accertarsi dello stato emozionale del nostro cane.
- Se invece lo scopo è aumentare la reattività, alcuni colpetti sul petto, a mano aperta e stando di lato o dietro rispetto al cane, sono spesso efficaci.
- Una minore sollecitazione si ottiene accarezzando contemporaneamente le due facce del muso, mentre passare la mano sulla parte cranio/profilo superiore del collo è una sorta di conferma del comportamento eseguito dal cane.
- Se invece intendiamo innalzare l’eccitazione, grattare la groppa verso la base della coda con la punta delle dita permette di raggiungere l’obiettivo.
Infine, il contatto fisico può assumere anche una valenza di “rinforzo”, prima di dare un gustoso premio in cibo. Si parla, in gergo tecnico, di “rafforzatore sociale”, ammettendo anche l’ipotesi di utilizzare solo questo, nei casi in cui non sia possibile fare di più, per esempio durante una gara di qualche attività sportiva.
4. La “distanza intima”. Violarla può creare problemi
Accarezzare il cane sembra una cosa ovvia ma ciò che stiamo facendo, in realtà, è entrare nella sua “distanza intima”, quello spazio che non prevede distanziamento tra i corpi.
Inevitabilmente, la vulnerabilità del cane aumenta. Inoltre, vi è molta differenza tra chi propone l’interazione tattile e chi la “subisce”: il primo è agente consapevole, il secondo assume il ruolo di destinatario “reagente”.
Questa è una delle ragioni che spiega le problematiche della “irritabilità da violazione delle distanze”, in alcuni casi nei confronti del proprietario e molto più spesso nell’interazione con estranei.
In quest’ultima ipotesi, il nostro amico manifesta l’esigenza di non essere toccato da qualcuno che non conosce e, se le sue avvisaglie non vengono comprese o sono male interpretate, il cane ha disposizione alcune strategie: allontanarsi, immobilizzarsi, tentare di “negoziare” oppure passare all’azione di difesa diretta. Analizziamo le varie situazioni.
- Circostanze diverse. Meglio lasciar scegliere al cane
L’allontanamento è il primo strumento di sopravvivenza, perché permette di mettersi in salvo con un ridotto rischio di danno psicofisico.
Tuttavia, vi sono situazioni in cui al cane non viene consentita una tale scelta, per esempio quando è al guinzaglio.
In questi casi si può assistere a un’apparente accettazione del contatto, caratterizzata però da forte rigidità muscolare; in altre parole, il cane non si trova per nulla a proprio agio e l’unica sua speranza sta nel concludere prima possibile quell’esperienza.
Se invece notiamo che il cane ha la testa spostata lateralmente, lo sguardo rivolto al vuoto, ammiccamento delle palpebre, ripetuta fuoriuscita della lingua o se si mette improvvisamente ad annusare il terreno, ecco i segnali di un desiderio di “negoziazione” con l’interlocutore, una sorta di: “Finiamola qui che non mi va proprio”.
Infine, come estrema ratio, il cane può decidere di ricorrere agli “armamenti”; un ringhio avvisa di non andare oltre e, se ignorato, può portare al morso.
Nel rapporto con gli estranei, quindi, il contatto fisico dovrebbe sempre essere accettato dal nostro cane in modo inequivocabile. Come? Invertendo le parti: lasciare che il cane decida se andare dall’estraneo sollecitandone la conoscenza e l’eventuale contatto!
- Possibili equivoci. Azioni e significati
Toccare il nostro cane o farci toccare da lui significa innanzitutto comunicare.
La comunicazione implica una risposta da parte del destinatario di una certa informazione e l’informazione non è un altro che uno “stimolo” contente un “messaggio”.
Perché il processo comunicativo sia proficuo per chi trasmette e per chi riceve, però, è necessario che il significato del messaggio non dia adito a dubbi.
Per quanto simili e altamente “sociali”, noi e i cani possiamo utilizzare segnali di differente valore interpretativo; uno di essi si riferisce all'abbracciare qualcun altro.
Per la specie umana, infatti, l’abbraccio è sinonimo di gioiosa confidenza, spesso manifestato quando due individui sono rimasti separati per un certo tempo.
Al contrario, sentirsi stretti nella zona del collo assume per il cane un valore molto diverso: una stretta al collo, nel suo linguaggio, può essere un’aggressione! Se non è abituato o per qualsiasi altro motivo, il cane può reagire difendendosi.
È un esempio di “malinteso comunicativo”: il messaggio emesso dall’uno viene considerato dall’altro in modo differente dal contenuto espresso dal suo esecutore.
5. Malintesi comunicativi. Rispettiamo la personalità
I malintesi come quello appena descritto sono pericolosi per gli effetti a catena che possono produrre, giacché l’autore della prima informazione rischia di sentirsi “offeso” da una reazione tanto indesiderata da parte di chi ne è stato “vittima” e per questo reagire a sua volta.
Entrambe le parti subiscono, così, un disagio da azione e reazione, perdendo la fiducia reciproca. Se questi eventi si ripetono, ci si trova dinanzi a una sorta di “ambiguità relazionale”, perché il cane non riesce a sentirsi rilassato e sicuro con noi.
Posto in costante allerta, e teso ad interpretare ogni nostra mossa, il suo stato di reattività cresce, con il rischio di comportamenti improvvisi e sproporzionati rispetto alle situazioni vissute.
Numerosi studi hanno evidenziato come il rischio di un tale rapporto ambivalente riguardi soprattutto le interazioni del cane con i famigliari di giovane età, tra i sei e i dodici anni.
Come accade anche a noi, i cani possono gradire più o meno il contatto fisico. E il fatto di non essere particolarmente inclini a queste interazioni non ha nulla a che vedere con l’intensità della relazione che abbiamo creato con il nostro amico.
Si può essere “sociali” anche a distanza, soprattutto quando questo modo di esprimersi è dovuto alla selezione da parte nostra. Infatti, ci sono razze poco propense alle carezze ripetute e che non amano la richiesta di contatto.
I cani da pastore guardiani delle greggi, i ceppi di cani primitivi e alcuni Levrieri, per esempio, tendono a essere più riservati: pur rimanendo nei pressi del proprietario, evitando di perderlo di vista, stabiliscono una certa distanza personale quasi naturalmente. Se eccessivamente sollecitati al contatto dal nostro avvicinamento, si allontanano quel tanto che basta a ristabilire la distanza iniziale.
Poi, quando meno ce lo aspettiamo, ce li ritroviamo accanto per qualche attimo appoggiati a noi, a dirci che questo loro modo di sentirci significa indissolubile legame esattamente come per i cani più coccoloni.
Rispettiamo queste individualità nello stesso modo in cui vanno rispettate le riservatezze che molti tra noi esprimono in circostanze simili.