Discendenti da vichinghi svedesi, russi e ucraini sono stati spesso nemici nei secoli.
Separati da eventi storici, hanno avuto evoluzioni politiche e culturali differenti.
Resta il fatto che fin dai tempi dell’URSS i russi hanno sempre tentato di sfruttare le loro risorse e che solo una percentuale modesta di ucraini è disposta ad abbandonare il sogno di entrare in Europa.
1. Tre popoli distinti
Nella regione tra Mar Nero e Mar Baltico e che comprende oltre all’attuale Ucraina anche la Bielorussia, parte della Polonia e delle attuali repubbliche baltiche, dal IX secolo circa fiorì la civiltà dei Rus’, parola vichinga che significa “gli uomini che remano”.
I Rus’ erano variaghi, ossia vichinghi svedesi che, approdati sulle coste polacche o lituane, risalirono i fiumi fino alla zona attorno all’attuale Kiev. Secondo la Cronaca degli anni passati (XII secolo), sarebbero stati i popoli slavi a chiedere loro di governarli.
Durante questo periodo i Rus’ costituirono un solido regno con capitale Kiev, che nel periodo della sua massima espansione spaziava dal mar Nero fino al golfo di Arkhangelsk.
Da questa esperienza avrebbero tratto le loro radici tre popoli distinti: i grandi russi, ossia gli abitanti dell’attuale Russia, i bielorussi e gli ucraini, nessuno dei quali può, a rigore, proclamarsi l’unico erede dei Rus’ di Kiev.
Il processo di diversificazione avvenne in due momenti. Il primo fu l’invasione mongola, quando il nipote di Gengis Khan, Batu, occupò l’Ucraina tra il 1236 e il 1238, distruggendo Kiev nel 1240.
L’anno successivo, però, il Gran Khan Ogodei, successore di Gengis Khan, morì, costringendo tutte le tribù mongole a tornare in Asia per la kuriltai (il concilio) che doveva scegliere il successore.
L’orda al comando di Batu si fermò sul Volga, scegliendo come capitale Saraj (l’attuale Volgograd). Con gli anni si creò qui un khanato (territorio governato da un khan) chiamato l’Orda d’Oro forse perché la tenda del Khan era coperta di sottili lamine d’oro.
Per secoli avrebbe controllato le popolazioni orientali della ex Rus’ di Kiev, che si sarebbero perciò differenziate sempre più dai Rus’ rimasti fuori dall’area di influenza dei mongoli, ossia gli ucraini e i bielorussi, indicati collettivamente come Ruteni.
Il secondo momento di passaggio fu l’Unione di Lublino (1569), un trattato tra Polonia e Lituania, i due stati più importanti di allora nell’Europa dell’est, in base al quale l’Ucraina passava sotto la Polonia e la Bielorussia restava sotto la Lituania. Da qui si può parlare di un popolo ucraino, separato da russi e bielorussi.
2. Un destino diviso e la prima Guerra mondiale
L’assenza di barriere geografiche naturali ha reso facile per gli eserciti stranieri scorrazzare all’interno dell’Ucraina (U Krajna significa “sul confine”).
Per qualche secolo fu la Polonia a dominare la regione, spingendosi fino a Kiev e oltre. Quando dal Seicento i signori della Moscovia (i futuri zar) si rafforzarono, ottennero il controllo dell’Ucraina orientale senza mai possederla tutta.
Un passaggio chiave della espansione russa qui fu il trattato di Perejaslav (1564) che prevedeva libertà in cambio della protezione della Russia contro i polacchi. Di fatto le clausole a favore degli ucraini non divennero mai operative: secondo i nazionalisti ucraini, fu l’inizio della dominazione russa sul Paese.
Durante le spartizioni della Polonia della fine del Settecento tutta la parte orientale con capitale Kiev finì stabilmente sotto l’asfissiante dominio zarista, mentre la parte occidentale (la Galizia con capitale Leopoli) rimase sotto il controllo austriaco.
In tutta la regione crebbero importanti comunità ebraiche che vennero colpite da violenti pogrom. L’Ucraina sviluppò la coltivazione del grano, di cui divenne un importante esportatore nel XIX secolo.
Fu nel corso dell’Ottocento che si formò il sentimento nazionalista ucraino, che però poté trovare espressione solo dopo la sconfitta russa nella Prima Guerra mondiale.
Dopo aspre lotte in cui si intrecciarono i motivi ideologici (il comunismo) e geopolitici (il controllo dei territori) l’Ucraina fu spartita tra quattro stati: la Polonia prese la parte occidentale con Leopoli (foto sotto), due piccole zone di confine andarono a Cecoslovacchia e Romania e il grosso del territorio confluì nella Repubblica Socialista Sovietica Ucraina che divenne una delle 15 repubbliche dell’URSS.
3. Lenin e Stalin, Holodomor e Seconda Guerra mondiale
Il tessuto sociale dell’Ucraina comprendeva una vasta classe di kulacki (contadini proprietari), grazie al fatto che non si era mai diffusa la pratica del possesso comune delle terre.
Finita la rivoluzione e iniziata la NEP (Nuova Politica Economica) voluta da Lenin, che consentiva qualche forma di economia di mercato, i kulacki raggiunsero uno status economico soddisfacente.
Ma nel 1928 Stalin, subentrato a Lenin, decise la radicale collettivizzazione delle terre, cui i kulacki si opposero. Stalin reagì con durezza, inviando milioni di contadini nei gulag: secondo lo storico Stephen Wheatcroft, solo tra il 1930 e il 31 ne morirono almeno 300mila.
Nel 1932 le autorità centrali a Mosca programmarono degli obiettivi del tutto irrealistici per la produzione dei cereali, di cui venne consegnato solo un terzo. Invece di riconoscere l’errore, i sovietici accusarono i kulacki ucraini e aumentarono le perquisizioni, i sequestri e gli arresti.
Il risultato fu una gravissima carestia, passata alla storia come Holodomor (dalle parole ucraine holod, fame, e moryty, uccidere). Le stime delle vittime variano tra 1,5 a 5 milioni (ma l’ONU del 2003 parlò di 10 milioni).
Resta aperta ancora oggi la discussione sulla natura della tragedia, che alcuni storici ritengono legata a cause naturali mentre per altri fu una precisa politica di Stalin per piegare l’Ucraina.
Nella foto sotto, contadini ucraini nella carestia del 1932-33 (Holodomor). Morirono milioni di persone.
Pochi anni dopo arrivò la Seconda Guerra mondiale. I tedeschi trovarono insperati appoggi in frange estremiste di destra, come l’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, guidati da Stephen Bandera, che il 30 giugno 1941, all’indomani dell’invasione nazista, proclamarono a Leopoli uno stato ucraino indipendente ma alleato del Reich.
I tedeschi, però, con incredibile miopia, arrestarono tutti i leader. Come ovunque, gli ebrei furono i più colpiti dai rastrellamenti e dai massacri di massa.
Terribili furono il massacro di Odessa (22-24 ottobre 1941), durante il quale vennero uccisi oltre 50mila ebrei, e quello di Babij Jar, un grande fossato a Kiev dove tra il 29 e il 30 settembre 1941 furono uccisi oltre 33mila ebrei.
Dopo il conflitto, l’Ucraina tornò a far parte dell’URSS e nel 1954 venne premiata dal segretario del partito comunista sovietico Krusciov con l’annessione della penisola della Crimea: una decisione foriera di tensioni imprevedibili all’epoca.
Nella foto sotto, Babij Jar dove i nazisti massacrano oltre 33mila ebrei nei pressi del grande fossato di Kiev il 29-30 settembre 1941.
4. Comunità di stati indipendenti
Quando nel 1991 l’Unione Sovietica collassò, l’Ucraina aderì alla CSI (Comunità di Stati indipendenti, l’organizzazione che riuniva i Paesi sorti dalle rovine dell’URSS).
Nel 1993 però il parlamento ucraino si rifiutò di ratificare il trattato, per protesta contro la scelta di indicare solo la Russia come Paese successore dell’Unione Sovietica all’ONU.
L’anno successivo, con il Memorandum di Budapest, l’Ucraina rinunciava al suo status di terza potenza nucleare, accettando di riconsegnare alla Russia le circa 1.900 testate nucleari presenti sul suo territorio, in cambio della garanzia di non essere mai attaccati o minacciati da Mosca.
In quegli anni convulsi il Paese attraversò una dura crisi economica (nel 1993 il reddito pro-capite si ridusse del 44 per cento e nel solo 1994 il PIL si contrasse del 22,5 per cento) da cui però si riprese grazie alle aperture del governo in senso liberista (riforma agraria che ha restituito la terra agli agricoltori e scioglimento dei kolchoz, le fattorie comuniste, assieme al sostegno dei settori strategici ad alta tecnologia).
Gradualmente emersero due anime, una più filorussa e diffusa nelle regioni orientali e meridionali, più ricche e industrializzate, e una più europeista nel centro e nell’ovest.
Il Paese è riuscito a superare la pesante crisi economica del 2008, ma la popolazione dal 1994 è nettamente diminuita, passando da 52 a 46 milioni circa, mentre il PIL procapite nominale non raggiungeva nel 2018 i 3mila dollari all’anno (un decimo di quello italiano).
Nella foto sotto, "MADREPATRIA". Così si chiama la monumentale statua di Kiev, posta sulla riva destra del fiume Dnieper. Progettata dallo scultore russo Evgenij Vucetic, è alta complessivamente 102 metri.
Fa parte del Museo della Grande Guerra patriottica, dedicato alla guerra dell’Unione Sovietica contro la Germania nazista durante il secondo conflitto mondiale.
5. 2014: europeisti e filo-russi, la crisi attuale e Zelenskyj
L’atteggiamento del presidente russo Putin nei confronti dell’Ucraina è drammaticamente cambiato nel 2014.
Quell’anno infatti imponenti manifestazioni di piazza a favore dell’Unione Europea, note come Euromaidan dal nome della piazza principale di Kiev (piazza Majdan), sfociate in sanguinosi scontri con le forze di polizia e i gruppi filo-russi, costrinsero alla fuga il presidente filorusso e antieuropeista Viktor Janukovyc.
La reazione russa non si fece attendere: il 6 marzo 2014 in Crimea venne proclamata l’indipendenza dall’Ucraina e il 16, con un referendum non accettato a livello internazionale, la penisola ha chiesto di essere riunita alla Russia.
La votazione fu condizionata dalla presenza di uomini armati senza distintivi (gli “omini verdi”) che lo stesso Putin ha più tardi ammesso essere soldati russi inviati per garantire ai russi le condizioni di sicurezza necessarie per esercitare il diritto di voto nel referendum.
Il 95 per cento dei votanti ha approvato l’annessione alla Russia. Secondo gli osservatori locali, ha votato non più del 30-40 percento della popolazione.
La tensione si è spostata nella regione del Donbass, al confine tra Ucraina e Russia, anch’essa con una forte maggioranza russa, che ha organizzato un referendum l’11 maggio 2014, non riconosciuto dall’Ucraina né da alcun altro stato occidentale, per proclamare l’indipendenza in vista di una riunificazione con la Russia.
Da quel momento nella regione si è combattuta una guerra strisciante tra i separatisti (appoggiati dai russi) e il governo di Kiev, fino al 21 febbraio 2022, quando il parlamento russo ha riconosciuto le due repubbliche separatiste di Doneck e di Lugansk e nella notte il presidente Putin ha dato inizio all’invasione dell’Ucraina.
Nella foto sotto, profughi ucraini sotto un ponte distrutto a Irpin, sabato 5 marzo 2022. Cercano di raggiungere i pullman per il trasferimento verso luoghi più sicuri.
Zelenskyj: da star della tv a presidente dell’Ucraina e simbolo della resistenza
Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskyj, diventato simbolo della resistenza contro l’invasione russa, è nato nel 1978 a Kryvyj Rih, un paese a 360 chilometri a sud est di Kiev, da genitori ebrei.
Laureato in giurisprudenza, da quando aveva 19 anni ha lavorato come attore comico e sceneggiatore allo studio Kvartal 95 Club. Qui, dal 2015, nella serie tv Sluha Narodu (Servitore del popolo) ha rivestito il ruolo del protagonista, un professore che finisce per diventare presidente dello stato.
Nel 2018 lo staff della casa cinematografica ha fondato il partito Sluha Narodu col quale Zelenskyj si è presentato per le elezioni presidenziali nel 2019. Al termine di una campagna elettorale fatta soprattutto sui social media e puntata alla lotta contro la corruzione, ha vinto.
Ha subito affrontato la grave crisi nel Donbass, per la quale ha ripetutamente chiesto l’ingresso dell’Ucraina nella NATO e nell’UE. Dopo l’invasione russa del febbraio 2022, Zelenskyj è diventato l’anima della resilienza del suo Paese, rifiutando di allontanarsi da Kiev e postando continui video messaggi per commentare gli eventi e incitare alla resistenza.
Nella foto sotto, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj assieme alla moglie Olena Zelenska.