All’origine erano i barbari delle steppe euroasiatiche a decorare il loro corpo con figure di animali e simboli religiosi.
Poi i tatuaggi sono stati appannaggio di schiavi, prostitute, prigionieri. Nell’Ottocento si arrivò addirittura a considerarli un indizio di inclinazione alla criminalità.
Oggi sono di gran moda e tutti (o quasi) ne vanno pazzi!
Sette milioni: tanti sono gli italiani che hanno almeno un tatuaggio sul corpo, pari, secondo ISS (Istituto superiore di sanità) al 12,8 per cento della popolazione, più donne che uomini.
1. Il primo “italiano” tatuato
Il primo approccio con il mondo “dell’arte su pelle” avviene generalmente a 25 anni, per il 76,1 per cento in un centro specializzato, mentre il 9,1 per cento opta per un centro estetico e il 13,4 altrove presso operatori non certificati.
Purtroppo solo il 58,2 per cento del totale è informato sui rischi e solo il 41,7 sulle controindicazioni.
Proprio per questo, il 4 gennaio scorso è entrato in vigore un nuovo regolamento europeo che regola il colorato mondo dei tatuaggi.
Secondo le nuove disposizioni, non potranno più essere utilizzati quei pigmenti che contengono, oltre una determinata soglia, sostanze potenzialmente pericolose per la salute umana: ad esempio, nichel, mercurio, cromo e isopropanolo, un ingrediente che si aggiunge alla maggior parte dei colori per sterilizzarli.
Le nuove regole non sanciscono certo la fine dei tatuaggi colorati, ma li rendono semplicemente più sicuri.
Sicuramente non doveva rispettare alcuna regola il primo uomo tatuato della Storia, come scrive Fabio Brivio nel suo Cuori trafitti, Madonne e sirene. Significati e tradizione del tatuaggio in Italia (Gribaudo) che lo definisce “in assoluto il primo essere umano tatuato di cui si ha certezza”.
Si tratta di Ötzi, noto anche come la mummia di Similaun, dal nome della montagna dove è stata rivenuta il 19 settembre 1991 sulle Alpi Venoste, in Alto Adige.
Ötzi, che visse nell’Età del Rame (tra il 3.300 e il 3.100 a.C.), aveva infatti sul suo corpo un gran numero di tatuaggi (foto sotto) che, secondo gli archeologi, avevano una funzione precisa.
Nei secoli successivi altre persone avrebbero contribuito a estendere la moda dei tatuaggi in Europa, Italia compresa: erano le popolazioni nomadi e in particolare i popoli provenienti dalla steppa euroasiatica – i Samida nord; gli Sciti, i Traci e i Celti da sud.
I disegni sui loro corpi erano perlopiù ritratti di animali veri (renne, tigri, cervi, serpenti, capre di montagna, pecore e pesci) o fantastici (draghi) e avevano molto probabilmente un significato religioso.
2. Tra barbari e cristiani. Diventa sacro a Loreto
Con l’espansione del potere di Roma, la cultura del tatuaggio andò incontro a un periodo difficile.
Se per le popolazioni nomadi i disegni sulla pelle erano una pratica abituale e soprattutto legata al rango sociale (“più si saliva di rango, più i tatuaggi aumentavano sul corpo e soltanto i poveri e gli schiavi avevano la pelle immacolata”, scrive sempre Brivio), per i Romani erano un orrore, un segno che deturpava il simbolo stesso della bellezza pura, cioè un corpo nudo, pulito e perfetto.
I Romani, quindi, conoscevano i tatuaggi, ma in genere non li apprezzavano e li consideravano usanze da barbari e schiavi, o tipici di categorie sociali non degne di rispetto come “le donne adultere, gli schiavi, i prigionieri di guerra, i disertori, i ladri” che così venivano marchiati per essere facilmente identificati.
Ma con l’arrivo del Cristianesimo, proclamato religione ufficiale dell’Impero nel 325 d.C., si diffuse tra i primi fedeli l’abitudine di tatuarsi una piccola croce su mani, piedi o viso, mentre era osteggiata l’adozione di simboli pagani.
Nei secoli successivi le notizie si fanno piuttosto scarse, ma è probabile che la situazione resti sostanzialmente invariata. Come precisa Brivio, “non c’era nessun problema a portare un tatuaggio agli inizi del Medioevo, purché il simbolo fosse cristiano”.
Alcune fonti riportano la presenza di tatuaggi a croce sul corpo dei crociati o dei pellegrini diretti in Terra Santa, oppure, a partire dal XII secolo, quella del simbolo del proprio lavoro per i membri delle “corporazioni delle arti e dei mestieri” nell’Italia dei Comuni.
Sembra però che sia rimasta intatta la valenza negativa dei tatuaggi come “marchi d’infamia” di prostitute, ladri, mendicanti, schiavi, disertori.
Le cose cambiarono nel XIII secolo quando, secondo la tradizione cattolica, la Santa Casa di Nazaret, dove Maria ricevette l’Annunciazione della sua futura maternità, sarebbe misteriosamente arrivata a Loreto (Ancona). In questo luogo è ben documentata un’antica tradizione di tatuaggi sacri che utilizzavano cliché di legno come stampi.
Come precisa il nostro storico nel suo libro, “la pratica del tatuaggio sarebbe stata iterata attraverso quella del pellegrinaggio presso il santuario come attestazione di fede, e il pellegrinaggio non avrebbe coinvolto solo le genti picene. In settembre, in occasione della festa della Natività della Madonna, a Loreto giungevano pellegrini da varie zone d’Italia”.
I pittori tra la fine del Medioevo e il Rinascimento testimoniarono come il tatuaggio non fosse del tutto dimenticato in quel periodo, benché godesse di una fama “maledetta”.
Nel Giardino delle delizie del 1503, Hieronymus Bosch raffigurò invece nell’inferno una donna adultera con una rana tatuata sul petto, simbolo di lussuria e del demonio. E un uomo schiacciato da un liuto appariva con una partitura musicale tatuata sul deretano (sotto).
3. Si diffonde in tutta Italia
Così, a partire dal Centro Italia, la pratica del tatuaggio sacro si diffuse su tutto il territorio italiano e, nel corso degli anni, si trasformò.
Non furono solo i simboli religiosi a essere adottati: il giornalista e scrittore Paolo Valera (1850-1926) nel suo libro Milano sconosciuta (1879) racconta per esempio di alcuni frequentatori di una locanda malfamata meneghina con le braccia costellate di tatuaggi.
La testimonianza, pressoché unica nel suo genere, è interessante perché ci informa dell’uso del tatuaggio a Milano nella seconda metà del XIX secolo tra le classi sociali più povere.
Un legame, quello tra ceto sociale e tatuaggio, che ritroviamo anche nel trattato L’uomo delinquente di Cesare Lombroso (1835-1909), medico, antropologo e criminologo, secondo il quale il tatuaggio era indizio di attitudine criminale: riferendosi a tale pratica, infatti, l’antropologo scrisse che “in Italia si trova diffusa ma nelle infime classi sociali, nei contadini, marinai, operai, pastori, soldati, e più ancora fra i delinquenti” che si tatuavano per ragioni diverse.
Un’affermazione che appare oggi priva di senso: molto probabilmente, ieri come oggi, chi sceglieva di decorare il proprio corpo con un tatuaggio lo faceva più che altro per comunicare l’appartenenza a un gruppo: religioso, politico, professionale, di origine, persino sportivo.
Un classico ovviamente erano i tatuaggi legati all’amore, ancora oggi molto in voga (anche adesso va di moda tatuare i nomi dei propri figli sulla pelle) o che ricordano date particolarmente importanti (quella di nascita e persino di morte di persone amate).
I tatuaggi dei marinai (foto sotto) hanno un preciso significa: chi ha un un dragone per esempio vuol dire che è stato in Cina. Se fosse una tartaruga invece avrebbe varcato l'equatore. Anche Popeye, da buon marinaio ha il suo: un'ancora tatuata sull'avambraccio (come Churchill).
4. Sempre più in voga
Anche se molto diffuso, nel XIX secolo il tatuaggio non poteva però contare su specifici luoghi dove essere eseguito: spesso i tatuatori lavoravano in strada oppure presso la propria abitazione, usando tecniche rudimentali.
Come scrive Brivio nel suo libro “il tatuatore operava velocemente, ma avendo cura di ribattere più volte le linee fino a che il colore non appariva penetrato correttamente nella pelle e il tratto del disegno uniforme”.
Pochi tatuatori, solo quelli più bravi, disponevano di pennini e aghi in numero e dimensioni variabili per eseguire dettagli più precisi e finezze decorative. Negli anni, per fortuna, il progresso ha fornito un supporto decisivo nella tecnica, sempre più precisa e raffinata, e per la sicurezza e la salute della persona.
Nel corso del Novecento si è così assistito a una diffusione sempre maggiore del tatuaggio e all’affermazione di operatori del calibro di Mino Spadacini e Gian Maurizio Fercioni, che negli anni Settanta aprirono i primi negozi a Milano.
Oggi il tatuaggio viene adottato da persone di tutte le classi sociali, compreso e soprattutto i VIP, che non disdegnano di arricchire il proprio corpo con disegni o scritte. Qualche rischio di allergia c’è!
I tatuatori devono rispettare norme precise nell’esecuzione del loro lavoro. Devono adottare pigmenti autorizzati e materiali monouso (aghi, guanti in lattice eccetera), sterilizzare qualsiasi dispositivo e igienizzare lo studio in cui lavorano.
Anche nel più assoluto rispetto delle regole, però, il tatuaggio può produrre reazioni allergiche (eruzioni cutanee e prurito), irritazioni (se si ha una pelle sensibile è meglio avvertire il tatuatore) e infezioni (locali come gonfiore, rossore e dolore, oppure addirittura sistemiche come epatite B e C).
Che legame c’è tra Ötzi e Brad Pitt?
Sul corpo di Ötzi sono stati trovate ben 61 linee, organizzate in 19 gruppi.
Oltre a quelle su ginocchio destro e tallone sinistro che raffigurano piccole croci, vi sono altri 17 gruppi formati da 2-4 linee parallele su tutto il corpo: parte destra del torace, polso sinistro, lungo la colonna vertebrale inferiore, sulle gambe e sulla caviglia destra.
Queste linee si trovano in particolar modo sopra articolazioni usurate: perciò gli archeologi hanno ipotizzato che fossero dei disegni curativi per il trattamento del dolore. Che cosa c’entra Brad Pitt? L’attore USA si è fatto tatuare sull’avambraccio proprio la silhouette dell’uomo dei ghiacci.
5. I tattoo più diffusi? I sacri e religiosi
Quali sono i disegni e i significati più presenti nel corso della storia sulla pelle delle persone tatuate? Eccoli:
• mistici e scaramantici (un classico è il cornetto);
• di amore ed eros (cuori, cuori trafitti, fiori, mani che si stringono e raffigurazioni di genitali maschili e femminili);
• di vendetta, disprezzo e odio (pugnali, giuramenti di vendetta, minacce);
• criminali (simboli di appartenenza alla criminalità o specifici di attività come furti eccetera);
• militari (soprattutto i simboli dei corpi militari di appartenenza);
• politici (inneggianti a ideologie);
• sacri e religiosi (ad esempio invocazioni, croci, simboli della Passione o stemmi di ordini religiosi);
• di mestiere (simboli legati ai lavori, come un’ancora per i marinai, testa di bue e coltelli per i macellai eccetera);
• di provenienza (stemmi della propria città o, a Siena, della propria contrada);
• commemorativi (date con un significato particolare, come una nascita, una morte, eccetera);
• puramente estetici.