La cattiveria che è in noi

“Mi piace prendere di mira i più deboli”, “Ferire le persone è eccitante”, “Ho umiliato gli altri per tenerli in riga”.

Può apparire incredibile, ma c’è qualcuno che ammette di identificarsi con affermazioni come queste, che gli psicologi usano per misurare il grado di malvagità di una persona. Eppure perfidi non si nasce.

Il sadismo è un tratto psicologico a sé, tipico della vera crudeltà. Ma anche narcisisti, machiavellici e “psicopatici” (molto più diffusi) possono fare parecchi danni agli altri.

1. LATI OSCURI

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Oltre che dai geni, il comportamento è fortemente condizionato dalla storia personale, da fattori sociali e culturali.

In più, la malvagità ha più facce e non risponde al principio del “tutto o niente”: la scienza ha tracciato diversi identikit di “cattivi”, i cui tratti possono essere più o meno netti in chi ci circonda.

Del resto, offrire l'opportunità di triturare insetti innocui in un macinacaffè oppure di straziare le orecchie di un innocente con un rumore assordante sono alcune delle prove a cui Delroy Paulhus, psicologo all’università della British Columbia (Canada), sottopone i soggetti dei suoi esperimenti per studiare le “personalità oscure".

Inizialmente, il suo interesse si è orientato ai narcisisti: egoisti, competitivi, dominanti, bisognosi di ammirazione, hanno un senso grandioso di sé e attaccano chi li ostacola (sentono di avere più diritti degli altri) o rappresenta un pericolo per la loro (in realtà, fragile) autostima.

Poi, assieme al collega Kevin Williams, ha esteso i suoi studi al machiavellismo e alla psicopatia (altri due tratti della personalità), individuando quella che è stata chiamata la “triade oscura”: ovvero le tre facce della malvagità.

Il machiavellico è cinico e amorale, pianifica bieche strategie per ottenere ciò che vuole, costruisce alleanze e, intanto, cerca di preservare una reputazione positiva.

Lo psicopatico (ovvero la persona con tratti definiti tali) è impulsivo, irritabile, bisognoso di continui stimoli, manipolatore senza scrupoli, insensibile ai sentimenti altrui al punto da non provare rimorso.

Insieme al narcisista sono un trio davvero poco rassicurante: si tratta di personalità indipendenti ma correlate che a volte convivono in vari “dosaggi” nello stesso individuo, anche se non sempre è così.

«A vari livelli, tutte e tre comportano un carattere socialmente malevolo con tendenze all’autopromozione, freddezza emotiva, doppiezza e aggressività», scrivono Paulhus e Williams.

Nella foto sotto, Hitler e Charles Manson avevano sicuramente in comune tratti della personalità come il narcisismo e la psicopatia, che li rendevano indifferenti agli altri.

2. PURO PIACERE

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In assoluto, il peggio dell’umanità. Ma la ricerca di Paulhus si è spinta oltre, concentrandosi su persone che ammettono di infliggere dolore agli altri senza motivo se non il proprio piacere.

Identificando così una quarta dimensione della malvagità: il “sadismo quotidiano”. Unita alle altre compone quella che ha chiamato “tetrade oscura”.

Per studiare i sadici, assieme a colleghi della British Columbia e dell’università del Texas, ha usato una macchina “tritura-insetti”: un macinino da caffè modificato per lasciare indenni gli animali (a insaputa dei partecipanti) ma da cui usciva uno “scricchiolio” raccapricciante per evocare il passaggio dei loro corpi tra le lame.

In più, gli insetti avevano nomi graziosi (riportati sulle tazze che li contenevano) per umanizzarli e rendere il compito ancora più spietato. Come previsto, chi otteneva alti punteggi a un test sul sadismo era più propenso a scegliere questa attività tra altre proposte.

«Dopo l’esperimento, i sadici riportavano una sensazione di piacere maggiore degli altri», scrivono gli autori. Ma non basta: i veri sadici sono disposti a faticare per arrivare a provocare dolore gratuito.

In un’altra ricerca, i partecipanti credevano di aver gareggiato con una persona a un gioco al pc (in realtà, non c’era nessuno sfidante) e potevano inviare un rumore insopportabile nelle sue cuffie.

Per guadagnarsi questo “spasso” alcuni dovevano svolgere un noiosissimo compito (contare quante volte una specifica lettera compariva in un testo). Va detto che l’avversario era inoffensivo e che non c’era alcun vantaggio se non il piacere di fare del male.

«Quando l’aggressione era facile, veniva scelta anche dagli individui con alti punteggi nella triade oscura, ma non nel sadismo. Tuttavia, solo i sadici erano disposti a lavorare per avere l’opportunità di ferire un innocente», spiegano gli sperimentatori.

3. CONTRO LA NOIA

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Ma perché i sadici si comportano così? Un’ipotesi è che provino emozioni positive attenuate: i loro atti di crudeltà potrebbero essere un tentativo di scuotere tale intorpidimento emotivo, di cercare eccitazione compensando la carenza di sensazioni piacevoli nella loro vita.

Tant’è che, secondo altri studi, una propensione cronica alla noia nella quotidianità favorisce pensieri e comportamenti sadici, come il trolling online: «I trolls sembrano essere la versione internet dei sadici perché passano il tempo a cercare persone da ferire», ha confermato Paulhus.

All’Università di Aarhus (Danimarca), tra l’altro, si è osservato che dopo un barboso video di 20 minuti si è più propensi alla crudeltà (triturare vermi, in questo caso): «Quando non ci sono alternative, la noia aumenta il comportamento sadico anche tra chi ha bassi livelli di sadismo», concludono gli autori della ricerca.

Certo, questo passaggio all’azione non è frequente: «Un comportamento sadico è improbabile senza altri deficit di personalità (ad es., inclinazione alla rabbia, impulsività) ma istinti sadici (senza insensibilità) sono possibili anche in persone non disturbate», scrive Paulhus.

Inoltre, tratti di narcisismo e psicopatia possono essere presenti senza raggiungere i livelli di veri e propri disturbi: «Versioni più miti di tratti oscuri non sono rare ma le persone veramente malevole e pericolose sono una piccola minoranza della popolazione, quella con versioni più marcate di questi tratti», afferma Ralph Lewis, psichiatra dell’università di Toronto.

4. MALVIVENTI O DIRIGENTI

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Ma qual è il profilo di personalità più malevolo? «La psicopatia è il più pericoloso dei disturbi della personalità», sostiene lo psicologo Paul Babiak, assieme a suoi colleghi, sul bollettino dell’Fbi.

Perché porta a vedere il prossimo come un oggetto, un puro strumento di cui servirsi per i propri bisogni senza interesse per ciò che prova.

Come spiega Babiak: «L’egocentrismo e il bisogno di potere e controllo dello psicopatico sono ingredienti perfetti per una vita di attività antisociali e criminali».

Truffe, aggressioni, violenze sessuali, assassinii, omicidi seriali sono spesso associati a questo profilo di personalità. «Se gli psicopatici commettono un omicidio sarà probabilmente pianificato e la motivazione spesso coinvolge la gratificazione sadica», aggiunge Babiak.

In genere, questi individui sono disinvolti e affascinanti: mettono la maschera giusta per guadagnarsi la fiducia della vittima di turno (ad esempio, per raggirare pensionati da derubare). Ma non tutti gli psicopatici sono criminali (così come è vero il contrario).

In teoria, ciascuno potrebbe averli come colleghi di lavoro, parenti o vicini di casa. Pur non provando empatia sanno “leggere” le emozioni altrui e sono bravi nel simularle.

«Per via della loro abilità interpersonale, la maggior parte può dare una buona impressione e molti non hanno difficoltà a entrare nei ranghi degli affari, della politica, delle forze dell’ordine, del governo e del mondo accademico. Esistono in tutti i settori di lavoro», sottolinea Babiak che, assieme al collega Robert Hare, ha chiamato “snakes in suits” (serpenti in giacca e cravatta) gli psicopatici che con le loro manipolazioni arrivano a ricoprire posizioni di rilievo.

 

MA SIAMO BUONI O CATTIVI?
Per il primatologo Richard Wrangham noi umani siamo il “paradosso della bontà”: rispetto ad altri primati mostriamo livelli inferiori di violenza reattiva (impulsiva, come quella che scatta in risposta a un’offesa) perché abbiamo affinato quella proattiva (fredda, pianificata).
Insomma, siamo più buoni perché siamo più cattivi. Tutto è cambiato quando i nostri antenati anziché subire l’intimidazione dei membri più violenti decisero di unirsi tra loro per ucciderli.
Insomma, siamo diventati strategici e calcolatori. Intanto, ci siamo “auto-addomesticati”, frenando l’aggressività impulsiva per salvarci la pelle (il gruppo non perdona’).
Siamo diventati più docili (ma doppiogiochisti) nel nostro gruppo, ma altrettanto non vale per la violenza verso altri gruppi, piuttosto elevata negli umani. Per andare oltre forse occorrerebbe un nuovo scatto dell’evoluzione umana.





5. COMPLOTTISTI E FEDE NEL MALE

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Pur capendo la differenza tra “bene” e “male”, spesso chi compie azioni crudeli le minimizza o razionalizza i fatti vestendoli con l’idea di essere stato provocato, di aver subito di peggio o che la vittima lo meritasse.

«In gran parte, gli individui che agiscono in modo malvagio si considerano brave persone che combattono le forze del male», scrive lo psicologo Roy Baumeister, autore di testi sulla malvagità, oggi all’università del Queensland (Australia).

Persino Hitler si reputava, assieme al popolo tedesco, una vittima: incolpò gli ebrei della sconfitta della Germania e delle misere condizioni economiche in cui era piombata, li descrisse come una razza avida, amorale e parassita, pericolosa per il Paese e i valori della società. Sui suoi disturbi mentali si sono avanzate varie ipotesi, tra cui psicopatia, narcisismo, sadismo e paranoia (convinzioni deliranti di essere minacciati o perseguitati).

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Ma molti suoi seguaci fecero proprie queste folli teorie. Per quanto, come dice Lewis: «Altri ritennero comodo avere un capro espiatorio. C’erano molti psicopatici, delinquenti e opportunisti che saltavano sul carro per interesse personale».

Lo sterminio nazista è anche un esempio di come la malvagità possa manifestarsi in sordina e subire un’escalation. Infatti, secondo molti storici, il genocidio non era l’obiettivo iniziale.

Come spiega Peter Heyes, docente di storia alla Northwestern University (Usa): «Gli sforzi sempre più duri per “rimuovere” gli ebrei dal territorio tedesco si sono rivelati insufficienti o impraticabili e hanno lasciato il posto a metodi sempre più estremi di “eliminazione”. Forse nessun evento della storia conferma meglio il proverbio tedesco: “Attenzione agli inizi”».

Attenzione anche a credere nel “male puro”, cioè nella totale malvagità senza sfumature e possibilità di riscatto: chi lo fa, tende in realtà a essere più ostile e aggressivo, come emerge da uno studio delle Università della Pennsylvania e del Kansas.

In genere, chi crede al male assoluto è più pessimista, diffidente, meno egualitario, giustifica la violenza preventiva ed è più spesso favorevole alla pena di morte e all’aggressione militare. Un atteggiamento rischioso: quando entrambe le parti di un conflitto vedono l’altra come “malvagia” è facile si inneschi una spirale di violenza.

Esiste però anche chi ha fede nel “bene puro”: è convinto che alcuni, per quanto pochi, siano incorruttibili e mossi da vero altruismo, crede nella riabilitazione, riflette sulle cause delle azioni altrui, preferisce la diplomazia alla violenza (pur essendo favorevole ad azioni militari in difesa del proprio Paese o di altre nazioni pacifiche).

Due sguardi sul mondo in cui “angeli” e “demoni” non coesistono: chi ha fede nel “bene puro” non ce l’ha nel “male puro” (e viceversa), forse perché pensa che il bene trionfi sul male.

Resta il fatto che se si crede all’incarnazione del male, senza mezzi termini, si vuole un mondo “ripulito” dalla sua presenza. Insomma, a pensar male si fa del male.








Note

CRUDELTÀ INNOCENTE? I MOVENTI DELLA MALVAGITÀ

Le ricerche hanno identificato le “attenuanti” della crudeltà (“Ho solo eseguito degli ordini”).

Il classico esperimento degli anni ’60 di Stanley Milgram, psicologo statunitense, ha stabilito che chiunque può somministrare intense scosse elettriche a un’altra persona per la pressione psicologica di un’autorità che lo incoraggia.

Ma altri studiosi sono arrivati a conclusioni diverse: non si è inclini a fare del male sotto il peso di una richiesta senza che ci siano anche alcuni fattori (ad es. la propensione alle gerarchie e ai regimi autoritari) e una forte identificazione con l’autorità che si asseconda.

Lo stesso vale per un’altra giustificazione: conformarsi a un gruppo (“Lo fanno gli altri”). È vero che in gruppo si possono assumere posizioni più estreme ma, come sostengono alcuni studi, per seguirne la violenza occorre condividerne i valori. Quindi, la responsabilità personale esiste sempre.

Tra I fattori che inducono alla crudeltà, lo psicologo Roy Baumeister elenca il desiderio di guadagno materiale, l’“egotismo minacciato" (viene minata un’autostima instabile e “gonfiata”), il sadismo e anche l’idealismo (far del male per fini “nobili”).

«Molti conflitti violenti sono guidati da ideologie irrazionali, religiose e laiche. Quelle utopistiche sono tra le peggiori perché qualsiasi mezzo, pur deplorevole, può diventare “razionalmente” giustificabile per un fine utopistico, specie se accompagnato dalla disumanizzazione di un gruppo ritenuto ostacolo al raggiungimento della società perfetta», spiega Lewis.

È ciò che avvenne con l'Olocausto. E sostenere la brutalità per questioni ideologiche è quanto mai attuale: lo scorso marzo il patriarca russo Kirill ha dichiarato di appoggiare la violenza in Ucraina in quanto guerra contro i valori occidentali.

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