A tutti è capitato di essere indecisi, sia nelle occasioni più importanti della vita, quando le scelte da compiere possono cambiare il futuro (Sposarsi? Avere dei figli? Che professione intraprendere? Vivere lontano da casa o dal proprio Paese?), sia nelle piccole cose (Che cosa prendo di dolce: meglio il gelato o la torta al cioccolato?).
In effetti, tutti noi prendiamo decisioni ogni giorno: la gran parte sono istintive e riguardano le azioni quotidiane (cammino a destra o a sinistra della strada?), ma di molte altre ci accorgiamo consapevolmente.
Ed è di queste ultime che stiamo parlando. Dunque, che cosa accadrebbe se fossimo davvero incapaci di fare qualsiasi scelta?
Se fossimo sempre indecisi… non esisterebbe la civiltà perché saper scegliere ci ha permesso di costruire società complesse e organizzate.
1. L’ISTINTO DI TEMPOREGGIARE
Probabilmente succederebbe, ma su scala molto più grande, ciò che ciascuno di noi fa normalmente quando non è sicuro della direzione da prendere: lasciarsi trascinare dagli eventi, oppure temporeggiare mentre raccoglie altre informazioni che possano aiutarlo a vagliare ogni alternativa.
Anche se quest'ultima, sostengono gli studiosi, non è mai la strategia migliore: in mancanza di elementi utili a decidere bisogna comunque procedere con le informazioni che ci sono.
In un celebre esperimento, alcuni studenti universitari erano stati invitati a decidere fra tre alternative: prenotare e pagare una vacanza, non prenotare e non pagare (quindi non andare in vacanza) o rimandare la decisione sapendo però che, in questo caso, la vacanza (se scelta) sarebbe costata un po' di più.
Ad alcuni fu detto di immaginare di aver appena passato un esame difficile, ad altri di non averlo superato, ad altri ancora di averlo svolto ma di non sapere ancora il risultato.
Solo nei primi due gruppi la gran parte degli studenti decise di andare in vacanza (per premiarsi o per consolarsi) ma nel terzo gruppo la gran parte scelse di rimandare, benché la soluzione migliore fosse in ogni caso quella di decidere di partire.
L’incertezza, infatti, ci “paralizza". Non a caso nel cervello esistono veri e propri meccanismi "di sblocco” per consentirci di agire. Naturalmente, si sprofonda nel dubbio soprattutto in caso di decisioni difficili.
Ma che cosa rende ardua una scelta? Ruth Chang, docente di filosofia all'università di Oxford (Uk), inquadra così il problema:
«Si tratta di quelle situazioni in cui una delle alternative è migliore sotto punti di vista importanti, ma allo stesso tempo anche l’altra alternativa è migliore per altri aspetti rilevanti. Insomma, le due o più possibilità che si trova di fronte chi deve scegliere sono “alla pari”.
E questo resta vero anche per scelte tra grandezze tra loro incommensurabili del tipo: è meglio la sicurezza economica data da fare l’avvocato o la soddisfazione spirituale di fare il fotografo naturalista in giro per il mondo? Difficile dirlo».
Le scelte che ci lasciano incerti, quindi, di solito sono quelle tra alternative alla pari, anche se qualitativamente molto diverse (di sicuro sposare Maria è ben differente da sposare Anna, tanto per fare un esempio).
Naturalmente questo non vale in tutti i casi: alcune decisioni sono difficili perché non ci sono sufficienti informazioni per scegliere, altre perché è psicologicamente arduo fare la scelta giusta (pensiamo a un caso estremo: essere costretti ad amputarsi un arto per salvarsi la vita).
2. DUE SISTEMI
Ma come fa il cervello a scegliere? In realtà la nostra mente funziona mediante due sistemi principali, che sono stati chiamati dai neuroscienziati “sistema 1” e “sistema 2”.
«Il primo è il più immediato ed è quello che mettiamo in campo per risolvere velocemente i problemi e che usiamo nelle scelte semplici (vuoi un caffè?), il sistema 2 invece lo attiviamo in caso di dilemmi più complessi, ma anche per correggere le inevitabili scelte sbagliate del sistema 1, che spesso prende cantonate proprio perché interviene nel giro di pochi millisecondi (magari ci ricordiamo che quella mattina abbiamo già preso 3 caffè e correggiamo la nostra risposta: “scusa meglio di no, oggi ne ho già presi troppi”). Oltre a modificare le risposte, il sistema 2 può intervenire per giustificare razionalmente le scelte in realtà già compiute in modo istintivo», fa notare Rino Rumiati, autore del saggio Saper decidere.
La gran parte delle decisioni del resto si prendono in automatico, senza pensarci su. Ovvero senza esercitare il cosiddetto pensiero critico.
E questo non vale solo per le scelte di pochissimo conto (quale detersivo acquistare a) supermercato, che sugo mettere sulla pasta...), ma spesso è vero anche per decisioni importanti: può succedere a un chirurgo durante un intervento o a un comandante dei vigili che deve intervenire al più presto in un incendio. Devono agire e basta. E per farlo, si basano sulla loro esperienza, su automatismi acquisiti durante la loro professione.
In effetti, quando si deve fare una scelta l’ideale sarebbe poter stilare una lista di pro e contro, magari dando un valore a ciascuna delle caratteristiche positive e negative delle varie opzioni e poi facendo una somma per trovare quali "pesano” di più. Ma raramente si ha il tempo di fare qualcosa di simile e in molti casi la scelta da compiere non si adatterebbe a questo metodo.
Per questo motivo, tutti noi per scegliere usiamo scorciatoie. Una delle più utilizzate è la “regola congiuntiva" ovvero si sceglie una opzione se contiene due o tre caratteristiche che la persona desidera (in caso di una vacanza, per esempio, l’albergo deve trovarsi in un certo luogo, magari in centro, e il volo deve costare meno di tot ecc.).
Un’altra scorciatoia è nota come “eliminazione per aspetti”: consiste ne) cancellare le opzioni che non possiedono una caratteristica ritenuta importante: se per esempio si deve scegliere un corso pomeridiano si può decidere per quelli che terminano “entro le 18:30" in modo da restringere il campo.
E se restano ancora troppe alternative si sceglie un’altra caratteristica ritenuta importante, magari il costo del corso, e così via procedendo per esclusione. Questo metodo è soddisfacente ma non perfetto: può succedere di escludere opzioni che per pochissimo non rientrano in un criterio ma magari sarebbero le migliori per tutti gli altri aspetti.
C’è poi una procedura che molti di noi mettono in atto quando hanno cominciato a individuare come migliore una alternativa tra le altre. Si chiama “procedura di focalizzazione”: equivale cioè a chiedersi “faccio questa cosa oppure no?” e quindi vengono esaminate le caratteristiche di quella specifica scelta, senza più metterla a confronto con altre.
3. MENO È MEGLIO
Naturalmente non ce un metodo migliore in assoluto. Il nostro cervello sceglie (ancora una volta!) quale strategia mettere in campo tra tutte quelle, innate ma anche apprese, a disposizione.
Dipende dalla situazione: negli ambienti ad alta incertezza (in Borsa per esempio) fare scelte è difficilissimo, e in molti pensano che per arrivare a una decisione sarebbe necessario raccogliere più informazioni possibile.
Non è così: una ricerca condotta da Gerd Gigerenzer, del Max Planck Institut di Berlino, ha dimostrato che un portafoglio formato solo da prodotti finanziari scelti da persone che non si intendono di economia, alla lunga guadagna di più di quelli composti da azioni selezionate da persone esperte, perché gli "ignoranti" scelgono titoli di cui hanno già sentito parlare, anche se non sanno nemmeno di che si tratti. E questo funziona.
Secondo lo scienziato tedesco, infatti, a volte le risposte sono più precise e accurate quando si hanno poche informazioni a disposizione, rispetto a quando se ne hanno molte: in un esperimento ideato da Gigerenzer, gli studenti dell’Università di Salisburgo dovevano riconoscere le città più popolose in un elenco ed erano stati più bravi con le città degli Stati Uniti rispetto alle città della Germania, delle quali sapevano molte più cose.
Semplicemente avevano pensato "se la conosco, sarà grande" senza lasciarsi deviare da altre considerazioni. Per molte scelte, infatti, utilizziamo la cosiddetta "euristica del riconoscimento”: diamo più importanza a ciò che riconosciamo.
Così, per scegliere un nuovo televisore molti restringono il campo alla marca che conoscono meglio, o per averla già provata, o per averne sentito parlare. I pubblicitari hanno ben presente questo meccanismo del giudizio umano e lo usano di conseguenza per diffondere il più possibile un marchio e quindi aumentare le vendite.
4. QUASI COME BAMBINI
Ma allora, come sarebbe un mondo senza scelte? «Semplicemente inimmaginabile, dato che gran parte delle decisioni sono inconsapevoli, e ciò fa parte del modo di funzionare del cervello», risponde Rumiati.
«Nessuna comunità può vivere senza decidere. Ma se anche volessimo restringere il campo alle decisioni che chiamiamo consapevoli, quelle che prendiamo pensandoci su a lungo, immaginare di essere incapaci di prenderle non sarebbe così facile. Perché tutte le decisioni, anche quelle che noi pensiamo di aver preso “a freddo” sono in realtà influenzate dalle emozioni, e quindi ancora una volta da qualcosa che non è sotto il nostro controllo».
Dovremmo quindi supporre che il cervello funzioni in modo diverso, o che abbia qualche deficit. In un mondo di indecisi il nostro comportamento somiglierebbe forse a quello delle persone in preda all'ansia: ogni decisione verrebbe affrontata come se fosse nuova, senza riuscire a basarsi sulle esperienze precedenti (non a caso restare paralizzati davanti alle decisioni è uno dei segni tipici dell’ansia).
Una società così sarebbe di fatto ingovernabile e forse esisterebbe un potere assoluto (magari esercitato da una macchina) in grado di decidere per tutti, un po’ come un genitore fa con un bambino. Saremmo più felici e spensierati, come i bambini appunto? Probabilmente no, perché ci mancherebbe la sensazione di “avere in mano” la nostra vita.
Il decisore esperto, infatti, non necessariamente è rapido nelle scelte (non è un decisionista), però è una persona in grado di rimanere lucida anche quando le cose stanno andando male e soprattutto si assume pienamente la responsabilità della sua scelta. Volete mettere la soddisfazione?
Come fare una scelta difficile? La studiosa inglese Ruth Chang, docente di filosofia a Oxford, contesta la teoria classica su come comportarsi di fronte alle scelte, quella che decreta che in caso di decisioni difficili bisognerebbe procedere esaminando i pro e i contro.
Ovvero: va scelta l'alternativa che ha più pro e se i pro di entrambe le possibilità sono ugualmente forti non resta che tirare a sorte, mentre se i pro delle due scelte sono incomparabili tra loro allora bisognerebbe scegliere in modo irrazionale, ovvero "di pancia" (non sono confrontabili, per esempio, alternative come unirsi a un gruppo militare per salvare la propria patria da un invasore o restare accanto a un parente malato).
Ma, secondo la studiosa, c’è qualcosa di diverso che possiamo fare: creare noi stessi nuove ragioni per preferire una scelta all'altra. Come?
Mettendo impegno e volontà nella decisione: il fatto che voglio sposare proprio quella ragazza perché "sono pronto” a impegnarmi per questo matrimonio; oppure che preferisco dipingere o calcare il palcoscenico invece di scegliere una professione ben pagata perché so che il mio impegno in questo lavoro mi darà soddisfazione.
Gli impegni sono fonti di ragioni, sostiene Chang. Non ci vincolano nelle decisioni e non rendono le scelte definitive (dopo aver deciso di sposare proprio quella persona si può ancora avere un ripensamento, ovviamente), però ci rendono possibile scegliere.
5. INGANNI DECISIVI
Come ben sanno gli scienziati cognitivi, le scelte sono influenzate da come i dilemmi vengono presentati: se per esempio si fa assaggiare a un gruppo di persone una bistecca dicendo che ha il 75% di carne magra o invece si dice che il 25% è formato da carne grassa, il giudizio degli assaggiatori cambia: nel primo caso viene ritenuta più gustosa.
È il classico caso del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Ma come mai è così facile farsi ingannare? La risposta è sempre quella: il cervello cerca scorciatoie.
Un esperimento condotto alcuni anni fa con la risonanza magnetica su persone che dovevano scegliere tra due alternative identiche, che però venivano presentate in modo diverso, ha provato che chi riconosce questo “inganno" ha una forte attività nella corteccia frontale (la sede del ragionamento) che si sovrappone all’attività dell’amigdala (vedi riquadro nell'ultima pagina del servizio), il centro che governa le emozioni e che risponde velocemente di fronte alle scelte.
Insomma, per non lasciarsi ingannare dal modo in cui vengono presentate le cose, il cervello deve fare uno sforzo che consuma energia.
Ricerche condotte con la risonanza magnetica hanno mostrato che nei momenti di incertezza si attivano soprattutto l’amigdala, l'insula e la corteccia prefrontale: i primi due sono centri cerebrali che hanno a che fare con il timore e spingono a non agire, il terzo modula il funzionamento delle altre due zone e quindi impedisce alla paura di paralizzarci.
In particolare, la corteccia prefrontale ventromediale è cruciale per le decisioni, un danno in questa zona implica non essere in grado di decidere tra varie opzioni.
Oltre che connessa con il sistema limbico, dove si generano le emozioni, questa zona è collegata alle regioni frontali dove ha sede il ragionamento.
Secondo il neuroscienziato Antonio Damasio è in quest’area che rimane una sorta di memoria delle emozioni, ed è quest'ultima che ci aiuta nelle decisioni.