Le intolleranze alimentari, nel senso ‘laico’ e ampio del termine, sono un insieme eterogeneo di malattie indotte dall’ingestione di alimenti.
Possono coinvolgere diversi meccanismi patologici come la mancanza di enzimi per metabolizzare un alimento, nel caso del deficit di lattasi che serve per digerire il lattosio, oppure coinvolgere il sistema immunitario provocando una reazione anomala a un componente dei cibi, come la risposta scatenata dal glutine alla base della celiachia.
Altre intolleranze si manifestano in chi è sensibile e reattivo a molecole o additivi nei cibi, come l’istamina in alcuni pesci, la tiramina dei formaggi stagionati, il glutammato dei dadi da brodo o i solfiti del vino.
A differenza delle allergie, le intolleranze possono essere associate alla quantità di alimento ingerita, per cui è generalmente possibile identificare una dose-soglia che non induce sintomi; questi coinvolgono per lo più il tratto gastrointestinale con dolore, nausea, gonfiore e diarrea.
Assumendo piccole quantità del cibo coinvolto è possibile non avere fastidi e in alcuni casi pian piano ‘riabituarsi’ a tollerarlo.
Una delle più comuni è l’intolleranza al lattosio, più frequente nel bacino del Mediterraneo rispetto al Nord Europa: da noi si stima un deficit di lattasi più o meno accentuato in circa il 50 per cento della popolazione, in Scandinavia nel 2 per cento mentre in estremo Oriente il 90-98 per cento delle persone non tollera il lattosio.
La distribuzione ricalca le abitudini alimentari della popolazione di riferimento: dove il consumo di latticini è minore è più frequente l’intolleranza.
1. Da che cosa dipende l’intolleranza al lattosio e che differenza c’è con l’allergia al latte?
- Da che cosa dipende l’intolleranza al lattosio?
È dovuta a un deficit parziale o totale dell’enzima lattasi, che è prodotto nell’intestino tenue e scinde il lattosio in due monosaccaridi, galattosio e glucosio, così da renderne possibile l’assorbimento; se l’enzima è carente o mancante il lattosio si accumula nell’intestino dove richiama acqua e diventa ‘cibo’ per batteri che lo fermentano producendo gas.
L’intolleranza può essere primaria, se la lattasi è carente perché pian piano l’espressione del gene di questo enzima diminuisce o scompare nel corso della vita, o secondaria, se compare a seguito di malattie acute o croniche che danneggiano la mucosa del piccolo intestino, come la celiachia.
L’intolleranza congenita, con l’assenza completa di lattasi, è invece una rara condizione che rende intolleranti fin dalla nascita. La lattasi è un enzima ‘inducibile’, ovvero l’organismo la produce anche in base al consumo dell’alimento per il quale serve: se smettiamo del tutto di mangiare latticini pian piano la quantità di lattasi si riduce; poi, se si reintroducono all’improvviso, possono comparire i sintomi dell’intolleranza perché la quantità di enzima non è sufficiente a digerirli.
Come accennato, qualsiasi patologia che comporti un’infiammazione dei tessuti o un deficit della funzionalità dell’intestino può indurre una carenza di lattasi: ecco perché in caso di diagnosi di intolleranza al lattosio può essere opportuno indagare le condizioni dell’intestino ed escludere l’eventuale presenza di altre patologie con altri test fra cui per esempio la calprotectina fecale (un marcatore generico di infiammazione intestinale), il dosaggio di auto-anticorpi nel sangue (come gli anti-transglutaminasi per la celiachia) oppure, laddove indicato, esami endoscopici più invasivi come la gastroscopia, la colonscopia o la videocapsula endoscopica, esame di recente introduzione che consente di visualizzare tutto il tratto gastrointestinale. Se la carenza di lattasi dipende da un problema infiammatorio, risolverlo può eliminare anche i sintomi dell’intolleranza.
- Che differenza c’è con l’allergia al latte?
L’allergia ha un meccanismo immunologico specifico: l’organismo reagisce a proteine del latte vaccino come caseine e lattoalbumine, indipendentemente dalla presenza di lattasi.
L’allergia al latte riguarda il 2-7 per cento dei bimbi ma in genere scompare nei primi tre anni di vita e la metà dei piccoli allergici può comunque tollerare alimenti che contengono proteine del latte ma sono stati cotti ad alte temperature (almeno 150°C) e a lungo (almeno 30 minuti).
Non sempre è così, per cui l’eventuale consumo va introdotto con cautela e dall’allergologo. Chi è allergico al latte vaccino non tollera neanche quello di capra o di pecora, ma solo quelli di asina e cammella, a causa delle differenze strutturali fra lattoalbumine e caseine delle varie specie.
2. Quali sono i sintomi dell’intolleranza al lattosio, come si fa la diagnosi e si può guarire da tale intolleranza?
- Quali sono i sintomi dell’intolleranza al lattosio?
Gonfiore, dolore, meteorismo, stitichezza o diarrea di intensità variabile anche a seconda del deficit più o meno importante di lattasi.
Si manifestano da trenta minuti a due ore dopo il consumo, anche a seconda del cibo con cui si consuma lattosio: se per esempio si introduce assieme ai carboidrati, soprattutto semplici, lo svuotamento gastrico è rapido e così l’insorgenza dei disturbi.
Si possono avere inoltre mal di testa, nausea, stanchezza, eruzioni cutanee, in rari casi perdita di peso e malassorbimento. Si stima tuttavia che solo il 30-50 per cento delle persone intolleranti abbia sintomi.
- Come si fa la diagnosi?
Con il breath test, l’unico esame per una corretta diagnosi. È molto semplice, basta espirare in un palloncino dopo aver consumato lattosio: si registra così nel respiro la presenza di gas indicativi dell’incapacità di digerire questo zucchero.
Esiste anche un test per l’analisi del gene della lattasi, che valuta se si abbiano entrambe le copie del gene mutate e quindi vi sia una probabilità elevata di andare incontro all’intolleranza perché la sua espressione calerà nel tempo; non è alternativo ma complementare e può servire nei bambini, se non riescono a eseguire bene il breath test, o negli adulti con breath test positivo per aiutare a distinguere fra forma primaria e secondaria dell’intolleranza.
- Si può guarire dall’intolleranza al lattosio?
In caso di intolleranza secondaria a un’altra patologia è possibile riabituarsi al lattosio, per esempio dopo aver risolto un’infiammazione intestinale, reintroducendolo nella dieta e consentendo così il ripristino della produzione di lattasi.
È possibile farlo anche in caso di intolleranza primaria ma non è mai un processo immediato, serve aumentare progressivamente la dose per indurre la sintesi dell’enzima partendo da minime quantità di latte ai pasti, due o tre volte al giorno.
3. Tracce minime di lattosio fanno stare male? Esistono formaggi consentiti agli intolleranti e si può bere latte diverso da quello di mucca?
- Anche tracce minime di lattosio fanno stare sempre male?
In molti pazienti la carenza di lattasi è parziale, ma in altri è completa: in questi casi anche una dose minima di lattosio potrebbe scatenare i sintomi.
Per chi ha un deficit parziale, invece, è possibile individuare una quantità di latte o formaggi tollerabile senza fastidi: l’ideale sarebbe poter eseguire una ‘curva del lattosio’ al momento della diagnosi, somministrando in maniera controllata varie quantità di latte e osservando le reazioni, ma chiunque può individuare da solo la propria soglia critica da non oltrepassare o i cibi che non creano problemi.
In molti casi poi i sintomi compaiono se si beve una tazza di latte tutta insieme mentre non succede niente se in un giorno la stessa quantità viene introdotta in due o più volte.
- Esistono formaggi consentiti agli intolleranti?
Sì, quelli molto stagionati come il grana e il parmigiano di molti mesi non danno fastidi perché sono naturalmente privi di lattosio grazie al processo di stagionatura, per il gorgonzola vale lo stesso grazie alla fermentazione.
Sono formaggi a ridotto contenuto di lattosio, tollerati in modiche quantità da valutare caso per caso, edamer, emmentaler, asiago, fontina, gruviera, pecorino stagionato, provola affumicata e dolce; formaggi freschi ricchi invece di lattosio sono mozzarella, fiocchi di latte, ricotta, formaggi spalmabili.
- Si può bere latte diverso da quello di mucca?
In tutti i latti di mammiferi c’è il lattosio, senza differenze sostanziali; anche il latte crudo non è più sicuro o digeribile per gli intolleranti, anzi pone rischi per via della possibile carica batterica elevata.
I latti vegetali invece non hanno lattosio, ma sono molto diversi per contenuti nutrizionali ed è meglio scegliere quelli con aggiunta di calcio, vitamina D e vitamina B12.
4. In quali altri cibi può nascondersi il lattosio? Che differenza c’è fra “privo di latte e derivati” e “privo di lattosio”? Gli integratori di lattasi funzionano?
- In quali altri cibi può nascondersi il lattosio?
Oltre che nei latticini, il lattosio si trova come eccipiente in alcuni farmaci e può essere aggiunto alla preparazione industriale di molti alimenti, come tale o come additivo alimentare: lo si può trovare per esempio in salumi, salse, budini, prodotti da pasticceria, cioccolato, caramelle, pane.
Chi ha un’intolleranza severa deve perciò leggere con attenzione le etichette; molti intolleranti tuttavia non hanno sintomi con il consumo di lattosio in tracce minime.
- Che differenza c’è fra “privo di latte e derivati” e “privo di lattosio”?
Nel primo caso non ci sono latticini di alcun genere nella composizione dell’alimento, nel secondo ci possono essere ma privati del lattosio; un prodotto senza lattosio o delattosato ne contiene meno dello 0,01%, ovvero meno di 10 milligrammi su 100 grammi; uno a basso/ridotto contenuto di lattosio ne contiene meno dello 0,1%, ovvero meno di 0,1 grammi su 100 grammi.
I prodotti delattosati possono risultare di gusto più dolce perché il lattosio è già scisso in glucosio e galattosio, che hanno un maggior potere dolcificante.
- Gli integratori di lattasi funzionano?
Si trovano sotto forma di pillole che possono essere prese fra cinque e trenta minuti prima del pasto in cui potremmo incontrare i latticini: consentono di tollerarli abbastanza bene nella maggior parte dei pazienti.
Non c’è bisogno di prescrizione medica e l’effetto dipende da vari fattori, fra cui il dosaggio dell’integratore e quello del lattosio nel pasto, la combinazione degli alimenti, l’acidità dello stomaco, la motilità dell’intestino e così via: non c’è quindi la certezza assoluta che non si avrà il minimo disturbo, specialmente se si è molto intolleranti, ma una riduzione dei disagi è possibile.
Non servono per consentire sgarri ripetuti, ma per affrontare situazioni particolari in cui non si può evitare l’ingestione di lattosio e soprattutto non servono in caso di allergie.
5. Si può diventare intolleranti al lattosio da adulti? Si corrono rischi eliminando i latticini e yogurt e fermenti lattici sono sicuri?
- Si può diventare intolleranti al lattosio da adulti?
Si può diventare intolleranti in ogni momento della vita, se per qualsiasi motivo la produzione di lattasi diventa insufficiente o cessa del tutto.
La quantità di lattasi tende poi a diminuire con gli anni, ecco perché l’esordio tipico dell’intolleranza al lattosio è nella prima età adulta e la prevalenza tende a crescere con l’età.
- Si corrono rischi eliminando i latticini?
Se si è intolleranti ma si usano prodotti senza lattosio, uguali in tutto e per tutto agli altri fatta eccezione per la presenza di questo zucchero, non si corrono rischi né si va incontro a carenze nutrizionali.
Il pericolo è togliere dall’alimentazione tutta la categoria dei latticini indiscriminatamente, a maggior ragione se senza motivo: è stato calcolato che ogni quindici persone che eliminano dalla loro dieta latte e simili perché si autodiagnosticano un’intolleranza al lattosio che non c’è, si registrano un iperteso e un diabetico in più perché i nutrienti presenti in questi alimenti proteggono dalla pressione alta e dalla resistenza all’insulina.
Chi riesce a bere il latte senza fastidi può farlo senza paura perché non fa male come molti temono, ritenendo ‘innaturale’ che l’uomo lo consumi dopo i primi anni di vita: il latte non è ‘acidificante’ né ruba calcio alle ossa, anzi favorisce il raggiungimento del picco di massa ossea grazie al contenuto di calcio e vitamina D, inoltre è una buona fonte di vitamine e aminoacidi. Se lo si tollera senza problemi non c’è motivo per evitarlo e anzi è bene introdurlo, proprio per non rischiare di ridurre la produzione di lattasi e diventare intolleranti.
- Yogurt e fermenti lattici sono sicuri?
Lo yogurt spesso non crea fastidi perché è naturalmente più povero di lattosio grazie alla presenza dei fermenti lattici, batteri che si nutrono del lattosio trasformandolo in acido lattico; lo stesso accade con il kefir e con formaggi che contengono fermenti lattici come brie, caprino, camembert, taleggio, toma, tollerabili in modiche quantità da valutare caso per caso.
Anche i fermenti lattici come tali sono sicuri e anzi possono contribuire a digerire meglio il lattosio.