C’è il caso del bambino aggredito in un parco per aver risposto a una provocazione, c’è quello del ragazzino “fragile” sottoposto ad angherie e pesanti scherzi fisici oppure terrorizzato perché minacciato di essere picchiato fuori scuola. Il bullismo è una tipologia di sopruso che si consuma nel gruppo dei pari e di cui sentiamo sempre più spesso parlare, in questi anni.
I copioni sono diversi, ma le caratteristiche di questo odioso fenomeno sono sempre le stesse, secondo gli psicologi: è intenzionale (il bullo agisce con la precisa intenzione di far del male alla vittima), i comportamenti aggressivi sono persistenti nel tempo, ad esempio a scuola quando durano per tutti gli anni del percorso di studi, e infine prevede un’asimmetria nelle relazioni.
La vittima, cioè, subisce sempre in quanto incapace di difendersi.
Il bullismo è una piaga della nostra società in cui aggressori e vittime hanno profili ricorrenti. I bulli sono spesso adolescenti con problemi di autostima provenienti da famiglie difficili.
I bullizzati sono soggetti vulnerabili sul piano fisico, psicologico o dell’orientamento sessuale.
1. Perché si comportano così e le caratteristiche psicologiche
La scuola è il luogo in cui si riscontrano maggiormente questi fenomeni, che però possono avvenire ovunque.
Peraltro il bullismo può essere fisico, ma anche “solo” psicologico, a sfondo razziale o omofobico.
Senza dimenticare il cyberbullismo, oggi sempre più diffuso in un contesto sociale in cui la comunicazione digitale è diventata centrale nella vita dei ragazzi.
Studiosi hanno provato a costruire un identikit del bullo nel tentativo di risalire alle ragioni che lo spingono a comportarsi così: una ricerca italiana condotta nel 1999 su ragazzi di 14 e 15 anni aveva rilevato che i bulli mostrano livelli di autostima più alti della media, spesso insieme a tratti di narcisismo e manie di grandezza.
Dietro l’apparente elevata autostima si nasconde però un forte disagio: secondo un’ulteriore ricerca, l’autostima dei bulli è elevata nelle relazioni interpersonali e nella percezione di attrazione fisica, mentre è molto bassa in ambito scolastico e familiare.
La violenza verso i deboli servirebbe per darsi conferma di avere un potere che sentono di non avere in tutti gli ambiti della loro vita.
Dotati di scarso autocontrollo, i bulli usano la prevaricazione per gestire la rabbia o la paura derivanti dalla percezione altalenante che hanno di se stessi.
Il bullo provoca un danno alla vittima per acquisire una posizione dominante nel gruppo. Perciò ha bisogno di un pubblico di sostenitori o di testimoni delle sue azioni.
Non a caso i bulli sono bambini e ragazzi popolari e apprezzati nel gruppo dei pari. Il bullo ha una buona capacità di comprendere lo stato emotivo delle sue vittime, ma ha scarsi livelli di empatia.
Pertanto la sofferenza che induce su di loro non lo coinvolge a livello emotivo. È inoltre impulsivo ed irritabile, e ciò peggiora il quadro.
2. Il contesto familiare e l'esistenza anche delle “bulle”
Certo ogni situazione fa al caso suo: accanto al bullo prevaricatore c’è infatti anche quello passivo.
A parlarne è Erica Valsecchi in Emergenza bullismo. Manuale di sopravvivenza per i genitori e gli educatori: si tratta di un soggetto più fragile, sottomesso al bullo dominante, che commette atti di violenza per tentare di porsi al suo stesso livello.
Anche il contesto familiare può avere un certo peso: «I bulli possono avere alle spalle una famiglia autoritaria, che abusa di punizioni fisiche, oppure permissiva».
Non c’è necessariamente un evento traumatico nella storia familiare dei bulli e non possiamo individuare la causa del loro comportamento nel rapporto con la madre, il padre o fratelli: «Tuttavia, la mancanza di calore e di coinvolgimento emotivo da parte dei genitori è certamente un fattore di rischio».
In Bullismo. Aspetti giuridici, teorie psicologiche e tecniche di intervento, curato da Riccardo Lancellotti, psicologo giuridico all’Università La Sapienza di Roma, assieme ad Angela Guarino, viene inoltre evidenziato come la presenza in famiglia di persone che fanno uso di sostanze stupefacenti sia un ulteriore fattore di rischio.
Statisticamente sono i maschi a mettere in atto più frequentemente comportamenti aggressivi, tuttavia si assiste oggi a un aumento di “bulle”, pur con qualche differenza.
Esiste infatti un bullismo diretto basato sull’aggressione fisica, su insulti e offese, e uno indiretto, che invece fa uso della diffamazione e dell’esclusione dal gruppo: «Nelle “bulle” femmine prevale questo secondo», prosegue Lancellotti.
Così ad esempio una ragazza benestante con vestiti firmati potrebbe bullizzare una che viene da una famiglia modesta diffamandola nel gruppo amicale per il suo abbigliamento semplice.
«Negli ultimi anni, però, si sono diffusi atti di bullismo perpetrati da femmine con le modalità violente tipiche del bullismo maschile», aggiunge lo psicologo. «Questo dipende anche dal nuovo ruolo assunto dalle donne nella società».
3. Le vittime prescelte e il ruolo dei genitori e insegnanti
Anche per le vittime si può tracciare un identikit. In linea generale si tratta di bambini e ragazzi con bassa autostima: «Possono avere alle spalle famiglie iperprotettive che non li hanno resi capaci di gestire i conflitti», prosegue lo psicologo.
«Sono ragazzi che in classe, durante la ricreazione, tendono a parlare con l’insegnante invece che giocare con i compagni. Non sono integrati nel gruppo e i compagni non li coinvolgono nelle attività di squadra e nei giochi di gruppo».
Finiscono quindi con l’isolarsi restando senza amici. Diversi studi hanno dimostrato che avere una buona rete amicale di supporto consente di prevenire questi fenomeni.
Peraltro le vittime hanno spesso caratteristiche fisiche che le fanno percepire dai bulli come “deboli”: ad esempio una forma, anche lieve, di disabilità, la pelle di un altro colore o, se maschio, qualche tratto di effeminatezza.
I genitori e gli insegnanti dovrebbero però notare alcuni campanelli d’allarme: maggiore stress o ansia, difficoltà a dormire, disattenzione o scatti d’ira. «Anche un cambiamento nel profitto scolastico può essere indice di qualcosa che non va», aggiunge Lancellotti.
È possibile inoltre che un bambino manifesti il proprio disagio somatizzandolo con sintomi come mal di testa, vomito e mal di pancia, senza un reale riscontro medico.
Nel tempo i bambini vittime di bullismo possono sviluppare disturbi anche gravi e corrono un reale rischio di depressione: «Tendono a colpevolizzarsi, convincendosi che se gli altri se la prendono con loro devono avere qualcosa che non va», dice lo psicologo: «è un fenomeno per certi versi analogo a quello delle donne vittime di violenza da parte dei loro partner maltrattanti».
4. Occorre prevenzione
In soccorso delle vittime occorre un intervento professionale. Può consistere anche in una vera e propria psicoterapia che alleni bambini e ragazzi a sviluppare capacità di interazione con gli altri e a ritrovare autostima e fiducia in sé e l’accettazione delle proprie fragilità.
«Un intervento efficace», prosegue Lancellotti, «dovrebbe coinvolgere tutto il gruppo dei pari per aiutare la vittima a inserirsi pienamente così da sentirsi accettata».
Prevenire questi atti significa però partire da ben prima che il bambino inizi a essere bullizzato: gli studi sottolineano l’importanza di progetti di prevenzione a supporto dei piccoli a maggior rischio di isolamento e vittimizzazione.
«Valorizzare i loro talenti e le loro abilità scolastiche, sportive o artistiche e affidare loro ruoli di leader nelle attività di gruppo favorisce la piena inclusione». Questo li aiuta a inserirsi in una rete di amicizie e a imparare a gestire i conflitti.
Il bullismo colpisce anche la sfera sessuale! Il bullismo a sfondo omofobico va a colpire quanto di più personale abbiamo: la sfera intima e sessuale.
«È basato sull’idea che l’omosessualità sia una caratteristica indesiderabile e negativa», spiega Maria Adelaide Gallina, sociologa all’Università di Torino: «Colpisce tutte quelle persone che sono percepite come non conformi ai ruoli tradizionali di genere, ad esempio ragazzi femminili e ragazze mascoline, anche se non si identificano come gay o lesbiche».
Nel 2015 12 organismi dalle Nazioni Unite avevano pubblicato un documento per chiedere agli Stati aderenti di intervenire per fermare le discriminazioni contro le persone LGBT.
Da allora ben poco sembra essere cambiato. «È importante considerare la mancanza di una rete di supporto e di sostegno per le ragazze e i ragazzi vittime di queste dinamiche di discriminazione».
5. Cyberbullismo: quando la vittima è perseguitata in rete
- Le parole per capire gli aspetti del cyberbullismo
Il cyberbullismo è un fenomeno in crescita e si manifesta in varie forme.
Flaming: insulti rabbiosi nei commenti sui social.
Harassment: invio ripetuto di messaggi offensivi.
Outing and trickery: rivelare informazioni personali della vittima senza il suo consenso tramite social.
Exclusion: esclusione della vittima da gruppi online.
Impersonation: condivisione di informazioni negative sulla vittima appropriandosi della sua identità digitale.
Cyber-stalking: perseguitare la vittima attraverso l’invio ripetuto di minacce.
Sexting: condividere immagini di nudo della vittima senza il suo consenso.
- I cyberbullizzati si sentono con le spalle al muro
Il cyberbullismo ha effetti gravissimi sulle vittime pur non manifestandosi con violenza fisica.
A volte però le due cose possono coesistere, come quando una vittima viene filmata mentre viene picchiata e poi il video è pubblicato sui social.
Nel cyberbullismo la vittima viene raggiunta dai suoi persecutori in qualsiasi momento del giorno e della notte e dovunque si trovi.
L’angoscia che deriva dal sentire di non potersi sottrarre alle vessazioni, neanche cambiando scuola o città, la fa percepire con le spalle al muro.
- Il cyberspazio azzera l’empatia
In generale il bullo manca di empatia nei confronti della vittima e non percepisce la sua sofferenza: ciò è ancora più vero in rete.
Alcuni studi neuroscientifici ipotizzano un rapporto tra il fenomeno e l’alterazione del sistema neuroni specchio.
L’ipotesi è che gli adolescenti, trascorrendo molto tempo nel cyberspazio, possano perdere la capacità di allenare questi gruppi di neuroni che ci permettono di percepire le emozioni altrui.
Con la diminuzione dei contatti reali sembra che i giovani manifestino maggiori difficoltà nel provare empatia.