Generazioni intere sono cresciute con le sue storie di pirati, ambientate in terre e mari lontani, descritti con dovizia di particolari come se li avesse visti con i suoi occhi.
Eppure, Emilio Salgari, nato a Verona, non è mai andato da nessuna parte. Si è limitato a lavorare di fantasia e a documentarsi in biblioteca.
Ha scritto oltre 80 romanzi e un centinaio di racconti, inventando 1.300 personaggi.
Lui, che non si spostò mai dall’Italia e l’unico vero viaggio che si concesse fu una navigazione di tre mesi lungo le coste adriatiche (da Venezia a Brindisi), seppe immaginare avventure in ogni angolo del pianeta.
Emilio Salgari, però, non fu soltanto uno scrittore di evasione. Visse, infatti, in un’epoca di transizione, fatta di colonialismi, di migrazioni interne ed esterne, di viaggi sempre più rapidi e comunicazioni sempre più veloci.
Pensiamo solo all’apertura nel 1869 del Canale di Suez in Egitto, che raddoppiò gli scambi commerciali tra Europa e Oriente.
Già a metà degli anni Ottanta, Salgari si rese conto che in Italia mancava un romanziere che ambientasse le sue storie sullo sfondo dei profondi mutamenti storici e sociali di quegli anni e si propose di colmare quel vuoto.
Aveva una fantasia sconfinata e uno stile di scrittura quasi cinematografico. Ha regalato sogni a occhi aperti a generazioni di lettori, che ancora oggi lo amano.
Quest’anno ricorrono i 160 anni dalla sua nascita.
1. Un giovane inquieto
Emilio Carlo Giuseppe Maria nacque a Verona, in una famiglia di piccoli commercianti, il 21 agosto 1862, cioè un anno dopo la sospirata Unità d’Italia.
Appassionato sin da piccolo dei romanzi dello scrittore francese Jules Verne, crebbe con il mito dei marinai, che considerava le persone più audaci e coraggiose del mondo, quelle che avevano sempre storie straordinarie da raccontare.
Una passione che riversava anche nei suoi bei disegni, che infatti raffiguravano navi, vele al vento e ancore, burrasche e naufragi, nonché migliaia di mappe e carte geografiche.
Era un inquieto: sentiva di non essere nato per condurre una vita tranquilla come suo padre.
Nel 1878 si iscrisse al Regio Istituto tecnico e nautico Paolo Sarpi di Venezia; tre anni dopo, ricevuta una pagella disastrosa, si ritirò dalla scuola e tornò a Verona, dove dichiarò di avere conseguito il patentino di Capitano di Gran Cabotaggio e millantò una carriera marinara mai esistita, raccontando di viaggi mirabolanti per tutti i mari.
Un titolo ovviamente mai conseguito, ma di cui amò fregiarsi più o meno per tutta la vita. A quel punto decise che sarebbe diventato giornalista. In quegli anni, grazie all’editore Sonzogno era esplosa la moda del romanzo d’appendice.
La sua prima opera pubblicata fu un racconto, I selvaggi della Papuasia, che uscì in quattro puntate sul settimanale milanese La Valigia. Nel 1883 venne presentato da un suo vecchio insegnante a Ruggero Giannelli, direttore del quotidiano veronese La Nuova Arena.
Salgari gli scrisse anche una lettera, in cui, dopo alcuni complimenti di rito, si presentò come «un giovanotto sconosciuto a Milano, ma di qualche nome a Verona, antico cadetto della Marina Mercantile che ha viaggiato il mondo, assai studiato e assai provato».
Gli inviò un suo scritto nella speranza che lo trovasse degno di essere pubblicato. Conquistò così il direttore del giornale e cambiò vita.
2. Nasce la Tigre della Malesia
Una mattina di ottobre del 1883 i veronesi trovarono la città tappezzata di manifesti raffiguranti una tigre, senza alcuna scritta.
Poco tempo dopo, gli stessi manifesti ricomparvero, accompagnati da un annuncio sul giornale La Nuova Arena – in cui Salgari ormai lavorava come redattore – in cui si leggeva che una terribile tigre della Malesia era fuggita da un serraglio in Piazza Castello a Milano ed era diretta a Verona.
Il giorno successivo lo stesso giornale annunciò che la tigre era arrivata in città e che «... per evitare tragedie... sarà bene che ogni veronese comperi domani magari due copie de La Nuova Arena, in cui troverà...».
Un lancio intrigante per il nuovo romanzo a puntate, anche se non inusuale. Simili battage pubblicitari, infatti, furono studiati anche per altri importanti scrittori, come Gabriele D’Annunzio e Antonio Fogazzaro.
Con La Tigre della Malesia nacque così Sandokan ed ebbe inizio il ciclo dei Pirati della Malesia, con tante avventure ambientate nel sub continente asiatico, che riscosse un grande successo popolare.
Alla fine, conterà 11 libri. Sempre nel 1883 uscì sullo stesso giornale il romanzo a puntate Tay-See e l’anno successivo La favorita del Mahdi, ispirati a fatti storici di quegli anni.
La popolarità di Salgari come romanziere crebbe vertiginosamente ed egli arrivò a pubblicare con Treves, l’editore più prestigioso dell’epoca, oltre che per le più importanti case editrici italiane.
Nel 1892 sposò l’attrice di teatro Ida Peruzzi (che egli chiamò sempre Aida, in omaggio all’eroina verdiana, foto sotto), dalla quale ebbe quattro figli: Fatima, Nadir, Romero e Omar.
Quindi, si trasferì a Torino, per essere più vicino a Speirani, divenuto nel frattempo suo primo editore: in soli sei anni pubblicò una trentina di opere.
Salgari si rivelò un autentico fenomeno, eppure fu snobbato dalla critica contemporanea, che liquidò le sue storie come “narrativa per ragazzi”.
La poca considerazione degli ambienti letterari fu sicuramente per lo scrittore motivo di dolore, soprattutto pensando alle critiche positive rivolte al collega francese Jules Verne (che infatti divenne ricco).
Finalmente, nel 1897, su proposta di Margherita di Savoia, prima regina d’Italia, gli fu conferita dalla Real Casa la Croce di Gran Cavaliere per i suoi meriti letterari. Da allora in avanti, Salgari le dedicherà la prima copia di ogni sua pubblicazione.
3. Arriva Il Corsaro Nero
Nel 1898 uscì per l’editore Anton Donath Il Corsaro Nero, primo dei cinque romanzi che comporranno il ciclo dei Corsari delle Antille.
Un altro personaggio culto, l’intrigante mondo della filibusta, l’esotismo del Mar dei Caraibi e una trama avvincente.
Jolanda (la figlia del Corsaro Nero) era il nome della figlia di Vittorio Emanuele III di Savoia e di Elena del Montenegro, che ringrazierà lo scrittore regalando alla piccola Fatima un braccialetto d’oro e una bambola.
Da sottolineare è il ruolo da protagonista riconosciuto alla giovane: la concezione della donna stava cambiando anche in Italia e Salgari, ancora una volta, seppe fiutare la realtà e capirlo prima di altri. Fu un successo editoriale strepitoso.
Eppure, la situazione economica di Salgari non migliorò ed egli si vide costretto a pubblicare, usando vari pseudonimi, altri testi. Poi, intorno al 1906, l’amata moglie Ida iniziò a dare i primi segni di malattia mentale e lo scrittore, per fare fronte alle spese necessarie a curarla, intensificò ulteriormente i suoi ritmi di lavoro.
Scriveva in maniera frenetica (arrivò a 10 romanzi in un anno), fumando 100 sigarette al giorno e bevendo marsala. Stanco, demoralizzato, sostanzialmente solo ad accudire i figli, nel 1909 Salgari tentò il suicidio, ma fu salvato in tempo dalla figlia Fatima.
Al giorno di Capodanno del 1910 risale la sua ultima intervista. Il giornalista napoletano Antonio Casulli si era recato a Torino, entusiasta al pensiero di conoscere un mito della sua adolescenza.
Tuttavia, quello che vide fu molto diverso da ciò che aveva immaginato: un caseggiato modesto, una famiglia che viveva in poche e fredde stanze, lo studio di Salgari che era anche salotto e sala da pranzo, ma soprattutto una diffusa malinconica, nonostante gli sforzi della moglie Ida di creare un po’ di allegria. Casulli lo racconterà anni dopo.
4. La tragica fine
Il colpo di grazia per Salgari arrivò quando Ida fu ricoverata in manicomio.
Il 22 aprile 1911 scrisse la sua ultima lettera ai figli; si definì un uomo vinto, a cui la malattia della moglie aveva spezzato il cuore e si augurava che i milioni di ammiratori, che per tanti anni aveva “divertito e istruito”, avrebbero provveduto a loro.
Lasciava 150 lire più un credito di 600 lire. Scrisse anche ai suoi editori, per i quali ebbe parole dure: «A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria o anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che io vi ho dati che pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna».
La mattina del 25 aprile Salgari uscì di casa e, prendendo il solito tram, si recò nel bosco di Val San Martino, dove era stato a fare tanti picnic con la sua famiglia. Qui con un rasoio si colpì a morte alla gola e all’addome.
Le esequie avvennero alla vigilia della grande Esposizione internazionale dell’industria e del lavoro.
Mentre tutta la città era in festa, in un tripudio di bandiere, elettrizzata per l’imminente strepitoso avvenimento per i quali erano attesi reali, ministri e ambasciatori di tutti i Paesi, in un angolo del Parco del Valentino, la Torino che non contava – giovani, studenti, massaie – accorse a dare l’ultimo saluto all’uomo che l’aveva fatta sognare.
Curiosità: Sàlgari o Salgàri? Nonostante molti pronuncino il cognome “Salgari” mettendo l’accento sulla prima “a”, la pronuncia corretta vuole che sia accentata la seconda. Salgari è un cognome fitonimico: deriva cioè dal nome di una pianta, il salgàro, che in veronese è il salice.
5. Studiava atlanti, enciclopedie e dizionari e dai suoi libri sono stati tratti film e serie tv di successo
Salgari non fece nessuno dei viaggi da lui raccontati con tanta dovizia di particolari e viene spontaneo chiedersi quanto ci fosse di vero nelle sue storie da un punto di vista storico e anche geografico.
Bisogna riconoscere però che si documentò sempre in maniera quasi archivistica; non a caso era solito dire che “andava a riposarsi” nel Vecchio Fondo della Biblioteca Civica di Torino, dove studiava atlanti e dizionari, piante e animali, cultura e costumi di terre e popoli lontani.
Quanto alla sua posizione nei confronti del colonialismo, agli inizi della sua carriera scrisse alcuni articoli – firmati con lo pseudonimo di Ammiragliador – in cui seguì con un certo favore le prime mosse del colonialismo italiano sul Mar Rosso, perlopiù in chiave antifrancese.
Su quello inglese si sarebbe poi dilungato nel ciclo indo-malese, presentandolo con evidente ostilità. In realtà, alcuni storici hanno fatto notare che alla fine del ciclo, Sandokan e Yanez ricalcheranno in qualche maniera le gesta inglesi, conquistando, perdendo e riconquistando imperi.
A partire dagli anni Venti del secolo scorso, dai racconti di Salgari sono stati tratti adattamenti per il cinema.
La maggior parte di essi sono libere riduzioni dai cicli dei Pirati delle Antille e dei Pirati della Malesia, ma ci sono anche produzioni cinematografiche tratte da altre sue opere uniche.
Pensiamo a Jolanda, la figlia del Corsaro Nero, diretto da Mario Soldati nel 1953, o a Cartagine in fiamme, del regista Carmine Gallone, nel 1959, e il più famoso sceneggiato Sandokan, diretto da Sergio Sollima e trasmesso in sei puntate da RAI 1 nel 1976.
Seguito da oltre 27 milioni di spettatori, fu un vero e proprio fenomeno di costume. Sulla scia di quel clamoroso successo uscirono libri, quaderni, diari, album di figurine, giocattoli e tanti altri prodotti commerciali con le effigi dei protagonisti della serie.