Torino, 13 ottobre 1882. Un uomo anziano con baffi e pizzetto bianchi che indossa una elegante redingote nera e ha un’aria vagamente mefistofelica si sente male in una via centrale.
Chiede aiuto e domanda di essere accompagnato all’albergo dove alloggia, l’hotel Liguria, che oggi non c’è più. Lì è vegliato e accudito, ma purtroppo non si riprende più.
Il suo funerale attira una quantità di persone eminenti della cultura e dell’alta società.
Pur essendo uno straniero di passaggio a Torino, senza alcun legame con la città, viene sepolto nel Cimitero Monumentale.
Il conte e diplomatico francese Joseph Arthur de Gobineau è passato alla storia come il primo teorizzatore del razzismo.
Ma oggi molti sono dubbiosi in merito: a fine ’800 la distinzione tra razze e la “superiorità” dei bianchi europei erano convinzioni diffuse tra i liberali e persino tra i marxisti.
Gobineau, comunque, sposò una creola e tuonò contro la schiavitù in America.
1. L’eco della stampa
Il giorno successivo, il principale quotidiano cittadino, La Gazzetta Piemontese, si limita a riferire i dati anagrafici del defunto: “Conte Joseph Arthur de Gobineau, di anni 63, di Normandia”.
Qualche anno dopo lo stesso giornale, nel frattempo ribattezzato La Stampa, racconta che l’uomo si era sentito male su un tram, secondo la testimonianza delle numerose persone che lo avevano soccorso.
Una successiva rassegna stampa corregge il tiro: Gobineau stava andando in carrozza verso la stazione ferroviaria e all’arrivo il vetturino lo aveva trovato riverso sui sedili. Era stato lui l’unico testimone.
Ma perché interessa? Versioni contrastanti, dunque, in base alle quali le circostanze della morte non risultano chiare. Quanto al perché Gobineau si trovasse a Torino, non si sa neanche questo; il suo diario prevedeva una sosta di due giorni in città, ma con motivazioni vaghe, nel corso di un viaggio in treno dalla Francia a Roma.
Nel 2022 però scocca un anniversario che non verrà celebrato, ma non per questo va lasciato nel dimenticatoio: quel conte de Gobineau (1816-1882) che morì a Torino 140 anni fa fu autore del famigerato Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, considerato una pietra miliare della teorizzazione del razzismo.
Qua sotto, lapide sepolcrale del conte di Gobineau al Cimitero Monumentale di Torino.
2. Bianchi, gialli, neri e il giudizio della storia
Pubblicato fra il 1853 e il 1855, il libro divideva gli esseri umani in bianchi, gialli e neri e attribuiva soltanto ai primi una facoltà civile creatrice, oltre a rammaricarsi che la razza bianca stesse declinando.
Ma sbaglieremmo a chiudere qui il discorso su di lui: Joseph Arthur de Gobineau è un personaggio più complicato di come forse ci immaginiamo.
Questo nobiluomo non considerava se stesso un campione della razza superiore, anzi si vedeva come un tipico esempio di decadenza: aveva una nonna antillana con un po’ di sangue indio e nero nelle vene e si era sposato con Clémence Gabrielle Monnerot (ritratto sotto), una creola nata in Martinica dalla quale aveva avuto figli, rendendo sempre più spuria la sua stirpe.
Quanto alla vita pubblica, da diplomatico di altissimo livello e co-artefice, per molti anni, della politica estera francese, Joseph Arthur de Gobineau si era sempre espresso contro l’imperialismo dell’Europa nel XIX secolo nei confronti dei popoli di colore.
In particolare aveva tuonato contro la sanguinosa conquista francese dell’Algeria, allora in corso, e scritto peste e corna sulla schiavitù in America.
Sia chiaro, non c’è assolutamente modo di rivalutare il pensiero di Gobineau né di assolvere lui stesso, ma le parti che il teatro della Storia assegna ai personaggi a volte sono diverse da quelle che ci si immagina.
Oggi scaviamo un solco fra Gobineau e i suoi epigoni razzisti da un lato e la tradizione liberale e democratica dall’altro, ma all’epoca sua questa divisione così netta non esisteva.
Gobineau non fu affatto un reietto: era un romanziere e un saggista celebrato, i salotti se lo contendevano a Parigi come a Roma, inclusi quelli liberali o di sinistra; Alexis de Tocqueville, il teorico del liberalismo e della democrazia in America, da ministro degli Esteri di Francia, lo nominò suo segretario.
Nessuno si sognava di ostracizzarlo per le sue idee. Come mai? Nella foto sotto, Turin in una veduta fotografica della seconda metà dell’Ottocento.
3. Preceduto da Kant. Illuminismo e razzismo
Il fatto disarmante è che non era stato Gobineau a inaugurare il filone del razzismo. Le sue teorie, pur se non prevalenti, non erano eretiche a quell’epoca nemmeno fra i liberali, i democratici e persino tra i marxisti.
Per quanto il fatto sia imbarazzante e poco citato, mezzo secolo prima di lui nientemeno che Immanuel Kant (foto sotto), il filosofo dell’Illuminismo, aveva anticipato Gobineau pubblicando un volume dal titolo quasi identico al suo: Saggio sulle diverse razze umane, in cui argomentava, fra l’altro, che “i gialli posseggono scarsi talenti e i neri sono molto al di sotto di loro”.
Non si tratta di una frase estrapolata dal contesto. Discernere i buoni e i cattivi è molto più complicato di quanto ci piaccia immaginare. Lo storico Franco Cardini spiega che fra il Sette e l’Ottocento “il razzismo fu una componente della cultura illuministica e poi evoluzionista. Erano tutti razzisti”.
L’affermazione suona paradossale, ma basta scorrere la voce “Razzismo scientifico” su Wikipedia per scoprire che per il celebre Voltaire “la razza nera è una specie di uomini diversa dalla nostra come la razza dello spaniel è diversa da quella del levriero”.
Voltaire non è il solo. In questa rassegna di razzisti sette-ottocenteschi figurano molti altri nomi a sorpresa, da Linneo a Hegel oltre al già citato Kant. Era convinzione diffusa che il progresso dell’umanità camminasse solo sulle gambe degli uomini di origine europea.
Léopold Senghor, il vate senegalese della négritude, ricorda con quanto sgomento i giovani marxisti africani come lui leggevano Marx che scriveva di “nazioni barbare e semibarbare” e si irrigidivano pensando: “Sta parlando di noi”.
Qua sotto, Pedro II del Brasile, imperatore del Brasile dal 1831 al 1889, ammiratore e amico di Gobineau.
4. Lettere a Tocqueville
A differenza dei nomi fin qui citati, Gobineau, che era un passatista nostalgico e non credeva all’Illuminismo né al progresso dell’umanità, da teorico del razzismo non trasse la benché minima indicazione pratica dai suoi scritti; il suo libro non è la chiamata alle armi per la razza bianca che ci si può immaginare.
Caso mai erano altri a fare l’apologia dell’imperialismo europeo. C’è una testimonianza davvero sorprendente, lo scambio epistolare (Del razzismo. Carteggio 1843-1859, edito da Donzelli) fra Gobineau e il suo amico Alexis de Tocqueville, il cantore della democrazia in America.
In questa disputa, Gobineau esprime francamente le sue tesi razziste e Tocqueville gli fa notare, con garbo, che non hanno la benché minima base scientifica.
Ma poi il liberale Tocqueville dà un giudizio positivo sull’espansione europea nel mondo, attribuendole una funzione civilizzatrice, e la giustifica anche quando è imposta con le armi e con il sangue. Così stava avvenendo in Algeria.
Gobineau ribatte che macchiandosi di nefandezze come la conquista dell’Algeria e la schiavitù dei neri in America, i bianchi ci rimettono l’onore senza guadagnare nulla sul piano storico.
Il liberale Tocqueville insiste e gli fa notare, in positivo, che per un’intera epoca l’Europa ha la possibilità di guidare il mondo, con le buone o con le cattive, e Gobineau gli risponde che non ne vale la pena, tanto i bianchi spariranno lo stesso.
Questo non è per dire che Gobineau e Tocqueville pari sono, ma parlano entrambi in un’epoca in cui l’Europa andava a tentoni per prendere le misure del mondo ed era facile sbandare.
Qua sotto, Alexis de Tocqueville. Fu ministro degli Esteri in Francia. Cantore della democrazia, si batté per abolire la schiavitù nelle colonie francesi.
5. La cultura della cancellazione
Ma se, come dice Cardini, “erano tutti razzisti”, allora ha ragione la cancel culture che oggi imperversa nel mondo anglosassone?
Bisogna buttare giù tutti i monumenti della civiltà occidentale, cominciando da quelli dei generali sudisti per arrivare fino a George Washington, gentiluomo del Sud che fondò una nazione di schiavisti, o a Winston Churchill, che guidò la lotta al nazismo ma per difendere un impero coloniale di cui, ancora nel 1947, non voleva cedere “nemmeno una briciola”?
Può darsi di sì, la cancel culture può avere ragione. Oppure può avere torto e cadere nell’anacronismo: forse è sbagliato misurare il mondo di ieri con il metro di oggi.
“Il passato è un Paese straniero. Fanno le cose in maniera diversa, laggiù” (Leslie Poles Hartley). Il razzismo del XXI secolo merita anatemi e condanna, ma nel cercare i suoi antecedenti storici e filosofici bisogna andare cauti, altrimenti si rischia di individuare quelli sbagliati o di espandere il concetto fino a includere tutti.
Intanto Gobineau riposa tranquillo nel Cimitero Monumentale di Torino.
Nella foto sotto, il castello di Trie, di proprietà di Gobineau dal 1857 al 1878.