L’albero di Natale non è l’unica pianta usata per celebrare la nascita di Gesù.
Oggi faremo un breve viaggio attorno al mondo per scoprire gli altri simboli “verdi” delle festività.
1. Il pungitopo e il vischio afrodisiaco
- Il pungitopo (detto anche agrifoglio rosso), uno spinoso guardiano
Oggi augurio di protezione, fortuna e denaro, il pungitopo (detto anche agrifoglio rosso) veniva utilizzato dagli antichi Romani per decorare le statue di Saturno, custode delle anime dei defunti ma anche protettore di campagne e raccolti.
L’accostamento al dio fece sì che venisse tramandata la tradizione di regalare il pungitopo come auspicio di ricchezza soprattutto ai novelli sposi, ma anche che lo si considerasse un simbolo pagano.
Per questo i primi cristiani, quando iniziarono a celebrare la nascita di Gesù ai tempi delle persecuzioni di Nerone (64 d.C.), usarono lo stratagemma di “mimetizzarsi” decorando le case con questa pianta durante i Saturnali.
Salvo poi farne a loro volta un emblema della Natività, perché la forma ricordava la corona di spine di Cristo e i frutti rossi il sangue versato sulla croce.
L’idea che difenda dalle sventure e il suo nome derivano invece da un’antica tradizione contadina.
Un tempo, in campagna, si usava avvolgere nelle sue foglie e nei rami spinosi salumi e formaggi per tenere lontani i topi.
- Il vischio afrodisiaco
La tradizione del vischio esposto durante le festività si deve ai Celti. I rami di questa pianta epifita (che cresce cioè su altre piante) erano al centro di un’antica cerimonia descritta da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.).
“Il rituale della quercia e del vischio”, come fu chiamato, prevedeva il taglio del “ramo d’oro”, dono degli dèi, che cresceva sull’albero più maestoso del bosco per donarlo a chi meritava pace e prosperità.
Anche i Romani erano convinti che il vischio portasse bene e oltre a usarlo per decorare le case, credendo nelle proprietà afrodisiache delle sue bacche introdussero l’usanza di baciarsi sotto i suoi rami durante i Saturnali e al termine dei matrimoni, come augurio per un futuro prospero e prolifico.
La combinazione vischio-bacio sopravvisse nei secoli, diffondendosi soprattutto nell’Inghilterra di epoca vittoriana, quando si cominciarono ad appendere i rametti con le bacche bianche alle porte delle case.
Secondo la tradizione, l’innamorato per ogni bacio doveva donare una bacca alla prescelta, che non poteva rifiutare pena la “condanna” a rimanere zitella.
Contributi rilevanti a questa abitudine li diedero il drammaturgo inglese George Colman con il musical Two to One del 1784 e Charles Dickens nel 1843 con il suo famosissimo A Christmas Carol, che resero popolare l’usanza.
2. Sua maestà l’abete
Tutto cominciò con gli antichi sacerdoti celtici, i druidi, che veneravano l’abete come simbolo della vita eterna perché sempreverde, decorandolo con nastri, fiaccole e campanelle per compiacere gli spiriti.
La tradizione fu tramandata nei secoli e riportata in auge nel 1441 da un gruppo di scapoli della Livonia (regione storica tra l’Estonia e la Lettonia): convinti che il Natale fosse l’occasione giusta per trovare moglie, organizzarono una serata danzante attorno a un grande abete nella piazza principale di Tallinn.
Un contributo decisivo all’accoppiata Natale-albero lo diedero poi i protestanti di Martin Lutero quando, durante le festività del 1539, collocarono un abete nella cattedrale di Strasburgo, facendone quasi il loro simbolo.
Fu però nel XIX secolo che l’usanza si diffuse in tutto il mondo occidentale, grazie alla “pubblicità”dei tedeschi, presso i quali aveva preso piede.
Fu merito degli emigranti, dei soldati prussiani che addobbavano le caserme e soprattutto dell’aristocrazia, che con i matrimoni combinati portò nelle corti europee le proprie usanze.
L’illustrazione Christmas Tree at Windsor Castle, pubblicata nel 1848 sulla rivista Illustrated London News, rese familiare l’usanza tra le classi meno abbienti.
Ritraeva la regina Vittoria (di origini tedesche, come il marito Alberto), i figli e la duchessa del Kent attorno a un magnifico abete di Natale e fece il giro del mondo, influenzando l’immaginario e invogliando i mercati delle principali capitali a rifornirsi di sempreverdi (foto sotto).
L’albero di Natale conquistò anche la regina Margherita di Savoia, la prima ad addobbarne uno al Quirinale.
E naturalmente la Russia (dove gli abeti abbondano) che lo bandì nel 1917 dopo la rivoluzione, ma lo riesumò nel 1935 come “albero di Capodanno”.
Infine, nel Dopoguerra, l’abete si è affermato in tutto il mondo come la star vegetale del Natale globalizzato.
Qua sotto, la regina Vittoria, il principe consorte Alberto e i loro bambini davanti all’albero di Natale con i tradizionali doni (1848).
3. La quercia della Serbia e il ginepro protettore
- La quercia della Serbia (Badnjak)
In Serbia la pianta più rappresentativa del Natale – che lì cade il 7 gennaio, in base all’antico calendario giuliano seguito dalla Chiesa ortodossa – è la quercia.
O meglio, un ramo di quercia chiamato Badnjak (in serbo “Vigilia di Natale”).
La tradizione vuole che all’alba del 6 gennaio gli anziani si rechino in un bosco e, arrivati davanti all’albero più bello, scelgano il ramo migliore, lo cospargano con del grano (simbolo di prosperità) e lo taglino per collocarlo davanti l’uscio di casa insieme a della paglia, simbolo della mangiatoia di Gesù.
Alla sera il ramo viene cosparso di miele e, a Natività avvenuta, bruciato o gettato nel camino in ricordo del fuoco acceso dai pastori per riscaldare il Bambinello.
È una tradizione così sentita, che i soldati del Regno di Serbia durante la Prima guerra mondiale per sentirsi uniti davano fuoco a un ceppo di quercia nelle baracche.
Dal 1918, nel Regno di Jugoslavia, la cerimonia fu inserita nei regolamenti militari, restandoci fino al 1945. A rilanciare il Badnjak fu la Chiesa ortodossa, dopo il 1990.
- Ginepro protettore
In Norvegia (e altrove nel Nord Europa), per Natale si intrecciano ghirlande con rami di ginepro da appendere sopra le porte per tenere lontani gli spiriti maligni.
L’usanza deriva del fatto che nell’antichità con le bacche di ginepro si realizzavano antidoti contro il morso di vipere e serpenti, accostati al demonio nella tradizione popolare.
Il ginepro, da quelle parti, viene utilizzato anche al posto dell’abete come albero di Natale, addobbato con fichi secchi, grappoli di uva essiccata, mandarini, biscotti e praline di cioccolato.
Tutti destinati a essere mangiati dai bambini man mano che ci si avvicina al 25, mentre il ginepro protegge la casa dagli spiriti.
La scelta del ginepro deriverebbe da un episodio narrato nei Vangeli: Giuseppe e Maria, in fuga dai soldati di Erode, trovarono protezione proprio sotto i rami di un ginepro, da allora benedetto.
Un’ulteriore tradizione legata al ginepro è riportata da Dante Alighieri nel XVIII canto del Paradiso: quella di gettare ciocchi di questa pianta nel fuoco e, mentre bruciano, batterli con un attizzatoio, provocando scintille che svelerebbero gli auspici per il nuovo anno.
4. La Stella di Natale: rossa come il sangue
La Stella di Natale (Euphorbia pulcherrima) era associata alle festività già nel Messico del XVI secolo, in quanto simbolo di rinascita secondo gli Aztechi.
In Europa fu portata nel 1520 dai conquistadores di Hernan Cortés, innamoratosi di questa pianta che gli indigeni donavano al re divinizzato Montezuma e che con le sue foglie rosse simboleggiava il sangue dei guerrieri.
Fu però il 1828 a dare alla pianta una popolarità internazionale.
In quell’anno il primo ambasciatore americano in Messico, Joel Roberts Poinsett, di ritorno dalla missione diplomatica, ne portò qualche esemplare a casa, mostrandoli poi nelle principali fiere del mondo.
Tanto che, alla sua morte, il 12 dicembre 1851, la pianta prese a chiamarsi in suo onore Poinsettia o anche “fiore dell’ambasciatore”.
L’accostamento al Natale si affermò infine grazie ai missionari spagnoli, che la ribattezzarono “Stella di Natale” perché la forma dei fiori ricorda appunto una stella e perché raggiunge il culmine della fioritura nel mese di dicembre.
Qua sotto, una famiglia ideale americana in una cartolina del 1937, con abete, agrifoglio e Stella di Natale.
5. Il Chichilaki: l’albero della Georgia
Il Chichilaki è un albero di Natale della Georgia, realizzato con rami secchi di nocciolo o noce privati delle foglie e ridotti in striscioline arricciate, da decorare con bacche rosse, frutta secca e caramelle.
Il risultato è una piccola e candida conifera, che vuole ricordare la barba di san Basilio il Grande, uno dei padri fondatori della Chiesa d’Oriente e nella tradizione georgiana distributore di regali, come san Nicola (alias Santa Claus, ovvero Babbo Natale).
Il Chichilaki viene preferito all’abete perché più rispettoso dell’ambiente, dato che si utilizzano soltanto rami secchi o già caduti.
La Georgia infatti considera i boschi luoghi sacri e l’abbattimento di un albero non soltanto provoca il biasimo generale, ma anche multe salatissime.
Per comprendere quanto questa tradizione sia radicata nel Paese, basti pensare che durante il periodo sovietico Mosca permise ai georgiani di conservare alcune usanze, ma non quella del Chichilaki, giudicata troppo identitaria.
Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, però, l’alberello fu reintrodotto e gli artigiani ripresero a realizzarlo nell’intero Paese.