Il litio (il cui nome deriva dal greco lìthos, pietra), fu scoperto da Arfvedson nel 1817, fu isolato in piccole quantità allo stato elementare da H. Davy nel 1818, ma solo nel 1893 R. Bunsen e Matthiessen misero a punto un processo industriale per ottenere il metallo tramite elettrolisi del cloruro fuso.
È il più leggero degli elementi solidi e di tutti i metalli, con una densità (0,535 g/cm³) pari a circa metà di quella dell’acqua.
Il litio è largamente disponibile, ma si trova in natura sempre legato ad altri elementi o composti.
È indispensabile per computer, cellulari e auto elettriche e la domanda crescente ha fatto schizzare il suo prezzo alle stelle. Per fortuna potrebbe essere disponibile anche nel nostro Paese e precisamente a Cesano, vicino Roma.
1. Tutti lo cercano, tutti lo vogliono
Indispensabile per le batterie di pc e cellulari, e in prospettiva ancora di più per quelle delle auto elettriche, il litio è diventato tanto prezioso da avere ormai scatenato una vera e propria caccia a quello che è definito “l’oro bianco” della transizione energetica.
Caccia alla quale anche l’Italia potrebbe partecipare, sfruttando le sue potenzialità geotermiche.
Se infatti il contesto geologico del nostro Paese non è dei più favorevoli per i giacimenti convenzionali, un recente studio ha individuato due aree ad alto potenziale per il possibile sfruttamento delle cosiddette “salamoie geotermiche” giacenti nel nostro sottosuolo a grande profondità.
Si tratta di acque salate che possono raggiungere temperature tra i 100 e i 300 °C e nelle quali sono presenti molti sali di litio sotto forma di cloruro, solfato o carbonato.
Le due aree riguardano la fascia al fronte della catena appenninica, da Alessandria fino a Pescara, e la fascia vulcanico-geotermica di Toscana-Lazio-Campania.
Proprio all’interno di quest’ultima, la società australiana Vulcan Energy Resources, in parnership con Enel Green Power, ha ottenuto dalla Regione Lazio un’autorizzazione per uno studio esplorativo da condurre nella Valle di Baccano, un antico cratere vulcanico situato nell’area dei Monti Sabatini, a meno di 30 chilometri da Roma (foto sotto).
Le ricerche saranno condotte su una superficie di 11,5 km quadrati nei dintorni del pozzo Cesano 1, scavato fino a 1.390 metri di profondità nel 1975 dalla stessa Enel, che nei fluidi geotermici prelevati ed esaminati a quel tempo aveva scoperto una concentrazione di litio di 350 milligrammi per litro, una delle più alte al mondo.
Se i sondaggi sulla potenzialità mineraria dell’area fossero positivi, quel vecchio cratere potrebbe diventare un punto strategico per garantire una fonte tutta italiana del prezioso metallo.
Nella foto sotto, sacchi di carbonato di litio all’impianto di Silver Peak, Nevada, USA.
2. Una domanda in crescita
A dimostrazione del fatto che il mercato globale del litio sta crescendo rapidamente, i dati forniti dall’United States Geological Survey rivelano che tra il 2020 e il 2021 la produzione mondiale del metallo alcalino è aumentata del 21 per cento, passando dalle 82.000 alle 100.000 tonnellate.
Principale fornitore è l’Australia, con 51.000 tonnellate, seguita dal Cile con 16.000, dalla Cina con 8.000 e dall’Argentina con 6.200.
Quanto alle riserve stimate, è in testa il Cile con 8 milioni di tonnellate, seguito dall’Australia con 2,7 milioni, dall’Argentina con 2 milioni e dalla Cina con 1 milione.
Per quanto riguarda l’Europa, è fortemente dipendente dall’estero. Al momento, infatti, l’Ue sforna appena il 2 per cento di quanto servirà per alimentare i produttori di batterie per l’auto elettrica o per le turbine eoliche.
Per questo, nel febbraio dello scorso anno, commissari e ministri dell’Unione europea si sono riuniti a Lens, nel Nord della Francia, per affrontare il problema e studiare una strategia. È così ripresa la corsa a scavare miniere in giacimenti noti da tempo ma mai sfruttati.
Fulcro delle iniziative è il Portogallo, dove sono presenti depositi di spodumene, l’unico minerale che contiene litio in una percentuale abbastanza elevata.
Ma si pensa di scavare anche in Francia, Finlandia, Spagna, Austria, Repubblica Ceca e Germania, dove è stato individuato un ricco giacimento di litio sotto il fiume Reno.
Non è detto però che i risultati arrivino in breve tempo perché, anche se i giacimenti ci sono, i primi progetti di estrazione che si stanno delineando devono fare i conti con le resistenze degli ambientalisti e delle popolazioni locali, preoccupate dai rischi per l’ambiente e la salute umana.
3. I problemi dell’estrazione
L’approvvigionamento del litio è complesso e richiede metodi di produzione spesso non sostenibili che rischiano di compromettere la rivoluzione verde di cui questo materiale sembra essere il protagonista.
L’estrazione, infatti, danneggia il suolo, causa la contaminazione dell’aria e utilizza enormi quantità di acqua: circa 2mila litri per ogni chilo di materiale prodotto.
È quanto avviene nel cosiddetto “triangolo del litio”, un’area tra Cile, Argentina e Bolivia che detiene più della metà delle riserve mondiali.
Qui i minatori pompano in superficie una soluzione salina ricca di minerali che dopo alcuni mesi, quando l’acqua è evaporata lasciando una miscela di sali, viene filtrata e posta di nuovo a evaporare per altri 12-18 mesi per estrarre, finalmente, il prezioso carbonato di litio.
In queste aree, già aride di natura, lo squilibrio idrico provoca un aumento della siccità e della desertificazione. Uno dei casi più critici è del Salar di Atacama, lago salino responsabile del 40 per cento della produzione mondiale di litio.
Qui, le attività di estrazione hanno consumato il 65 per cento della quantità d’acqua presente, aggravando la crisi idrica che già affligge il Cile.
L’impatto ambientale riguarda anche le emissioni di anidride carbonica, che variano dalle 5 alle 15 tonnellate per ogni singola tonnellata di litio estratto.
Nella foto sotto, un’immagine del Salar di Atacama (Cile), lago salino dove si estrae il 40 per cento della produzione mondiale di litio.
4. L’alternativa geotermica
Secondo Roskill, la società britannica di analisi e valutazioni di mercato dei minerali, le emissioni di CO2 derivanti da estrazione, lavorazione e trasporto del litio sono destinate a triplicare entro il 2025 e a crescere di 6 volte entro il 2030: un aumento tale da ridurre i benefici climatici dovuti all’utilizzo dei veicoli elettrici.
Perciò la più valida alternativa potrebbe rivelarsi il litio geotermico, che si mira a sfruttare anche in Italia, la cui estrazione comporta un consumo di acqua 150 volte minore rispetto alle attività minerarie.
La tecnologia in sé e per sé è semplice. Per mezzo di un apposito impianto la salamoia ricca di litio viene pompata in superficie direttamente dai pozzi geotermici.
L’elevato calore di queste acque saline, intorno ai 165 °C, viene utilizzato per azionare una turbina in grado a sua volta di produrre energia sufficiente ad autoalimentare l’intero processo.
È poi possibile estrarre il litio dalla stessa salamoia reimmettendone nel sottosuolo la porzione restante, dopo averla raffreddata a 65 °C.
Vulcan Energy Resources, che vuole avviare il più importante impianto di estrazione di questo metallo in Europa, stima che per produrre una tonnellata di idrossido di litio da acque geotermiche servano 80 metri3 di acqua, 6 metri2 di terreno e una spesa media di 3.140 dollari, contro i 5.872 dollari e 3.142 metri2 per la produzione con bacini di evaporazione o i 6.855 dollari e i 464 metri2 di una miniera.
Il tutto senza produrre anidride carbonica o usare sostanze tossiche.
Nella foto sotto, le vasche di evaporazione scavate nel Salar de Uyuni creano un mosaico colorato presso l'impianto pilota di litio di Llipi. L'impianto ha iniziato a produrre carbonato di litio nel 2013. La salamoia ricca di litio viene pompata nelle vasche da un'altezza di circa 6 metri sotto la superficie. Alla fine l'impianto ne conterrà 200.
5. Ci sono voluti 3 chimici premio Nobel per inventare la batteria al litio
Il primo ad avere l’idea di una batteria al litio è stato il chimico britannico naturalizzato USA Stanley Whittingham, che nel 1976, dopo anni di ricerca presso la compagnia petrolifera Exxon, sviluppò una tecnologia in grado di immagazzinare energia in una batteria, sfruttando proprio il litio.
La sua batteria, dotata di un catodo al disolfuro di titanio e un anodo al litio-alluminio, fu però ritenuta poco pratica a causa dell’instabilità del litio che rischiava di farla esplodere.
Il passo successivo fu compiuto dal fisico e chimico USA John B. Goodenough, che nel 1980, partendo dal lavoro del collega, realizzò un dispositivo più efficiente, sostituendo il disolfuro di titanio con l’ossido di cobalto.
La svolta decisiva si deve però al chimico giapponese Akira Yoshino, che nel 1985 realizzò la prima batteria pronta per la commercializzazione.
Invece di usare il reattivo litio per l’anodo, usò il coke petrolifero, un materiale che, come, l’ossido di cobalto, è molto adatto a ospitare ioni di litio.
Il risultato fu una batteria leggera e ricaricabile centinaia di volte. Per questo lavoro di squadra ai tre scienziati è stato conferito nel 2019 il Nobel per la Chimica.
Identikit del litio
Il litio (dal greco lithos, pietra) è il metallo alcalino più leggero che si conosca. Tenero e di color bianco argenteo, si ossida rapidamente a contatto con l’aria o l’umidità.
È l’elemento chimico della tavola periodica che ha numero atomico 3 e simbolo Li. Per la sua reattività non si trova in natura allo stato elementare e si presenta sempre in piccole quantità legato ad altri elementi o composti.
I minerali più ricchi di litio sono spodumene, petalite e lepidolite, ma sono state riconosciute come risorse altrettanto importanti l’argilla hectorite e l’ambligonite.