Colette: la scrittrice leggenda più amata di Francia

Viso triangolare, capelli lunghi fino alle caviglie (a un certo punto sacrificati alla modernità di un taglio di paggio), occhi verdi-azzurri come quelli dei suoi adorati gatti…

Sidonie Gabrielle Colette (1873-1954), per tutti semplicemente Colette, fra i suoi numerosi doni aveva anche la bellezza.

Scrittrice raffinata e prolifica (un’ottantina i titoli pubblicati), attrice e ballerina, giornalista, autrice e critica teatrale, in alcuni momenti della vita anche estetista e commerciante…

Il tutto in anni in cui le donne dovevano strappare con le unghie e con i denti il diritto di lavorare. Lei lo fece, e andò oltre.

Raggiunse fama e successo da viva (ricevette il titolo di grand’ufficale della Legion d’Onore e fu eletta all’Accademia Goncourt) grazie a un talento letterario fuori dal comune che fece accettare la sua vita erotico-sentimentale spregiudicata, giocata fra tre mariti e numerosi amanti di ambo i sessi.

1. MADRE E FIGLIA, MARITO E MENTORE

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Colette crebbe nella provincia francese, in una famiglia affettuosa e stimolante. La madre, Sidonie Landoy (detta Sido), era una splendida donna di ampie vedute che insegnò alla figlia a osservare e amare la natura: “Avrebbe voluto la giungla vergine, ma si limitava, alla rondine, al gatto e alle vespe, al grosso ragno ritto sulla sua ruota di trina argentata dalla notte”, ricorderà più tardi la stessa Colette.

Dalla madre imparò a suonare il pianoforte e a divorare libri: a sei anni già leggeva Honoré de Balzac, Alphonse Daudet e Prosper Mérimée.

Qua sotto, Colette (la bambina bionda seduta al centro) con la sua famiglia.

Tra loro c’era un legame forte che rimase sempre vivo, ovunque Colette si trovasse, e che divenne ancora più intenso quando un grave dissesto economico sconvolse la famiglia.

A soli 18 anni Colette si lasciò l’infanzia alle spalle per infilarsi in un matrimonio con un uomo più grande di lei di 14 anni.

Si chiamava Henry Gauthier-Villars, meglio conosciuto come Willy, ed era il rampollo di una famiglia molto nota a Parigi.

Non si sa esattamente a che età Colette lo conobbe, prima come amico di famiglia e poi come innamorato. Di sicuro ci fu un incontro a Parigi nel 1891 che permise loro di chiarire i reciproci sentimenti.

Dopo due anni di fidanzamento si sposarono. Era il maggio del 1893 e non avevano un soldo in tasca: i genitori di Willy, infatti, non approvavano il matrimonio con una ragazza di una posizione sociale inferiore alla loro.

Willy divenne il suo mentore, le fece scoprire una Parigi mondana, di circoli musicali, letterari e bohémien e la introdusse alla scrittura.

Willy era editore, pubblicitario, giornalista satirico e di costume, feroce critico musicale. Coordinava, all’interno di una sorta di officina letteraria, il lavoro di un nutrito gruppo di letterati emergenti, detti “gli schiavi”, pagati pochissimo e privati persino del diritto di firmare gli articoli con il proprio nome.

Intanto Colette, innamoratissima, scriveva nel suo diario: “Né il dubbio, né la malinconia, anche più soave, sfiorarono quella notte trionfante e solitaria, cinta di glicini e di rose”. Notte trionfante ma crudele: molto presto Colette si accorgerà di avere sposato un incorreggibile donnaiolo.

2. QUALCOSA SI INCRINA E LA TRATTA DELLE BIANCHE

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L’appartamento di rue Jacob, che comprendeva anche la redazione, si poteva a malapena definire casa: un cortile triste, una scala grande e fredda e una cucina sul pianerottolo davanti al loro ingresso.

Colette era spesso sola e passava intere giornate in compagnia dei suoi gatti, delle lettere di Sido e di qualche libro: “Ecco la mia giovinezza incredibilmente spenta”, scriveva.

La sera Willy pretendeva che sua moglie rimanesse ad aspettare per buona parte della notte in un angolo della redazione, “cascando dal sonno, disgustata e annoiata a morte in quelle vecchie sale di redazione, dove tutti erano scontenti”.

Ma la triste vita bohémienne a volte era attraversata da qualche lampo sul mondo: nell’ambiente musicale e in quello letterario i salotti erano vitali per le pubbliche relazioni e Willy era onnipresente.

Colette però non si sentiva a suo agio a quelle cene: “Ero ben consapevole che in quell’ambiente venivo tollerata solo come moglie di Willy, uno strano animaletto con strascichi campagnoli, paralizzato dalla timidezza. Vedevano solo lui. Se mi guardavano un istante, credo fosse per compiangermi. Mi facevano capire chiaramente che, senza di lui, io non esistevo”.

A questo disagio si aggiunse, a due anni dal matrimonio, la depressione.Troppo dolorosa la scoperta dei tradimenti del marito e troppo debilitante la malattia venerea che la fece soffrire a lungo.

Per essere un abile talent scout e un frequentatore di salotti letterari, Willy fu piuttosto lento nel capire che un vero talento della scrittura gli dormiva a fianco.

E quando finalmente scoprì le doti della moglie non ci pensò due volte a “ingaggiarla” nel suo circolo di letterati-schiavi.

La convinse a immergersi nella scrittura e presto nacque il libro Claudine a scuola. Peccato che uscì con la firma di Willy.

Di fatto, Colette divenne la ghostwriter del marito e tre su quattro libri della serie che aveva Claudine come protagonista furono firmati soltanto da lui.

I romanzi della serie si ispiravano alla vita della stessa Colette, resa in chiave piuttosto maliziosa, e il primo libro fu un trionfo (ma non per la vera autrice, rimasta nell’ombra).

Willy aveva scoperto una miniera d’oro e mise la moglie al lavoro in condizioni infinitamente più dure di quelle imposte agli altri impiegati.

Lo studio in cui era costretta a scrivere divenne presto per Colette una prigione: “Il rumore della chiave che Willy girava nella toppa, la libertà restituita dopo quattro ore di lavoro...”, scriverà in seguito.

Nel 1901 l’apprendista venne finalmente promossa operaia. «Da quel momento», spiega la scrittrice francese e docente di letteratura Michèle Sarde, che a Colette ha dedicato una biografia di riferimento, «Colette rinunciò a fare la sposina sottomessa e sacrificata; esigeva, lottava, e finì per ottenere».

3. UNA NUOVA VITA E UNA FIGLIA NON VOLUTA

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Il 1906 fu l’anno della separazione della coppia.

Infedele lui, nauseata dai tradimenti lei, ma anche sempre più attratta dall’amore saffico, conosciuto grazie alla ricchissima Mathilde de Morny, detta Missy, figlia del duca di Morny, che amava vestirsi in abiti maschili (foto sotto).

Colette abbandonò – non senza dolore – la casa familiare e si trasferì in rue Villejust 44. Ma già dall’estate 1906 le due amanti si erano trasferite nella villa di Missy, la Belle Plage a Le Crotoy, dove Colette scrisse La vagabonda.

 

Per guadagnarsi da vivere decise di allargare i suoi orizzonti e, dal 1907 al 1912, si tuffò nel mondo del music-hall esibendosi in audaci performance in cui appariva quasi nuda.

Non solo, il 3 gennaio 1907 Colette e Missy crearono una pantomima dal titolo Sogno d’Egitto al Moulin Rouge, nella quale Missy diede scandalo nel ruolo di un egittologo che dava un bacio lesbico in una scena d’amore.

Da quel momento, le due si fecero vedere sempre meno in pubblico e la carriera di Colette nello spettacolo finì con la loro relazione, nel 1912.

Quell’anno Colette convolò a nozze per la seconda volta, con Henry de Jouvenel, giornalista del quotidiano Le Matin che aveva già due figli: Bertrand, nato da un precedente matrimonio, e Renaud, frutto di una relazione con la contessa Isabelle de Comminges.

Nel 1913 dalla nuova coppia nacque una bimba, Colette de Jouvenel, da tutti chiamata Bel-Gazou: una figlia non voluta, che venne ben presto sistemata in un castello del marito sotto la vigilanza di una bambinaia inglese.

Quando poi venne il momento di andare a scuola, Bel-Gazou fu mandata al collegio di Saint-Germain-en-Laye, rimanendovi per tutta la durata delle scuole.

In pratica, la ragazza vedeva sua madre soltanto in estate, al mare e per appena un mese. Un distacco, fisico ed emotivo, che Bel-Gazou non perdonò mai.

4. LA GRANDE GUERRA. AMORE CHE VA, AMORE CHE VIENE

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Quando scoppiò il primo conflitto mondiale Colette, già redattrice a Le Matin, partì per il fronte seguendo il marito.

La scrittrice affrontò il racconto della guerra osservando la vita che cambiava attorno a lei, nelle case, nelle vie e nelle piazze, ma anche dove si moriva negli ospedali militari: “Un giovane smilzo biondo, amputato della gamba da quattro giorni, è coricato, a braccia aperte, e nel suo sonno sembra aver rinunciato alla vita. Un uomo barbuto, le braccia ingessate, cerca sospirando la posizione meno dolorosa. Quell’altro, la gola bendata, rantola quasi soffocandosi. [...] Eccoli i prodi, vinti alla lunga dal sonno. E miseri come sono, si sveglieranno? Sì, si sveglieranno! Non appena i passerotti cantano sul prato imbiancato dal gelo, gli otto feriti saluteranno anch’essi l’alba rossastra, con un grido più vivo, un sospiro più alto e una bestemmia soffocata in cui riaffiorano, ancora, la vita e il sorriso”.

Alla fine della guerra Henry de Jouvenel era cambiato, si era dato alla politica e ormai marito e moglie si vedevano raramente. E quando questo avveniva, era solo per litigare.

Henry la tradiva e Colette pensò bene di dare il colpo di grazia al loro matrimonio “aiutando” il timidissimo figliastro Bertrand (diciassettenne) a “diventare uomo”.

Questo episodio della sua vita ispirò nel 1923 lo scabroso romanzo Il grano in erba, ma finì anche per accelerare il divorzio, che avvenne quello stesso anno.

“Com’è difficile vivere sola”, annotava la scrittrice, dopo che anche Bertrand era scomparso dalla sua vita. Ma nell’aprile del 1925, grazie a un’amica comune, Colette conobbe l’uomo che sarebbe diventato il suo compagno di vita per dieci anni e sposo dal 1935: Maurice Goudeket. Di 16 anni più giovane, Maurice era colto, elegante e aveva letto tutti i libri di Colette.

Ai suoi genitori, Maurice aveva annunciato: “Sposerò quella donna, è la sola che può capirmi”. A causa della Seconda guerra mondiale, rimasero a lungo lontani, con Colette sconvolta per i rischi che lui correva (era di origine ebraiche) e l’angoscia per le notizie che trapelavano sugli orrori dei campi di sterminio nazisti.





5. FUNERALI DI STATO

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«Il cammino interiore di Colette», spiega ancora Michèle Sarde, «si confonde sempre di meno con la vita. Alle soglie della vecchiaia comincia un lavoro di distacco dal presente: dopo i cinquant’anni i suoi scritti segnano una rottura e testimoniano la lenta trasformazione che la porta a rivolgersi al passato».

Dal 1938 Colette abitava al primo piano del Palais Royal, da cui godeva di una splendida vista sui giardini. L’amico Jean Cocteau ogni tanto passava a salutarla e il marito Maurice le stava sempre accanto.

Da tempo le avevano diagnosticato un’artrite implacabile, che la accompagnerà fino alla morte, avvenuta a 81 anni il 3 agosto 1954.

I suoi furono funerali di Stato, con tanto di bandiera tricolore, nel cortile del Palais- Royal: chissà cosa avrebbe pensato di tutti quegli onori, lei che aveva dichiarato: “La morte non mi interessa, nemmeno la mia”.

Colette fu una scrittrice prolifica, che nella sua lunga carriera produsse circa 80 volumi tra romanzi e racconti. In ognuno di questi inserì qualcosa del proprio vissuto e del mondo che la circondava.

Nel 1900 dalla sua penna uscì il romanzo Claudine a scuola, che vendette 40mila copie in due mesi, seguito da altri tre volumi: Claudine a Parigi, Claudine sposata, Claudine se ne va.

Ogni libro continuava la stessa vicenda, come in una serie televisiva. Nel primo libro si racconta di una ragazzina, negli altri di una donna che vive le diverse fasi della vita.

Ne La vagabonda, uscito nel 1910, Colette sembra invece rispecchiarsi in Renée Neré, la protagonista. Il romanzo è la celebrazione della rinuncia all’uomo, al matrimonio, alla sicurezza, al calore di un focolare domestico, in nome della libertà.

Chéri, scritto nel 1920, è considerato il capolavoro di Colette, il primo dei libri che l’hanno resa celebre. È l’affresco stupendo di un’epoca e di un ambiente, ma anche una sottilissima e spietata indagine psicologica e sociale.

Nel 1923 iniziò la pubblicazione a puntate del romanzo Il grano in erba, incentrato sulla scoperta della sessualità di due adolescenti. L’editore sospese però le pubblicazioni a causa del tema scabroso.

Un’aura di scandalo circondò questo titolo, quasi subito uscito in volume e destinato a diventare il più popolare di Colette, ispirando anche diversi film.

Qua sotto, lettera autografa indirizzata allo scrittore Charles Silvestre.








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