Se vogliamo restare in forma, non ingrassare, non andare incontro al colesterolo alto, all’ipertensione e ad altre malattie cardiovascolari o al diabete, ci hanno insegnato che a tavola vanno banditi gli eccessi di zuccheri e di grassi animali, va ridotto il sale ed evitato il più possibile il consumo di alcol.
Queste regole ci hanno portato sempre più a escludere anche il fritto, con l’idea di salvaguardare la salute del fegato e dell’apparato cardio-circolatorio.
È proprio vero che il fritto faccia sempre male? Sorprendentemente la risposta è no, se è fatto a regola d’arte.
Se friggiamo con olio extravergine di oliva anziché con quello di semi, in tempi rapidi e alla giusta temperatura, non solo non fa male, ma stimola il fegato, attiva il metabolismo e aiuta a dimagrire.
1. Il fegato va allenato
«Per mantenere forte il cuore, i muscoli e il cervello è necessario allenarli, sottoponendoli a un certo grado di stress in modo da suscitare “controreazioni” che ne potenzino l’attività», dice Debora Rasio, oncologa, nutrizionista e ricercatrice all’Università La Sapienza di Roma, autrice di La dieta non dieta (Mondadori).
« Ma lo stesso vale per il fegato, che è responsabile di migliaia di reazioni chimiche nell’organismo, svolgendo circa 500 funzioni metaboliche diverse».
Come si “allena” il fegato? «Per esempio consumando una frittura fatta in casa o un soffritto, sollecitazioni che aumentano la produzione di bile, consentendo al fegato di eliminare tutte le tossine liposolubili (solubili nei grassi) prodotte con il metabolismo o assorbite dall’ambiente e che non potrebbero essere eliminate con le urine o con il sudore, ma solo attraverso la bile», risponde Rasio.
«Nell’incontro fra olio bollente e alimento infatti si forma un legame “tenace” che resiste alla digestione intestinale, stimolando la produzione della bile da parte del fegato e la sua secrezione nell’intestino.
La bile emulsiona i grassi e li rende più digeribili. Pertanto, chi mangia regolarmente soffritti e fritture “digerisce anche i sassi” e nel contempo si detossifica.
Nella mia esperienza clinica ho proprio riscontrato come i sempre più frequenti disturbi di digestione (pesantezza e bruciore di stomaco, nausea, reflusso eccetera) siano tipici di chi condisce tutto con olio a crudo, fa ricorso solo a cotture al vapore o a lesso e non mangia mai, o soltanto di rado, fritture e soffritti».
2. Usiamo l’olio giusto. No agli oli di semi
Ma il fritto non è tutto uguale. «Per produrre effetti positivi sul metabolismo e sulla salute, il fritto deve essere preparato con olio extravergine di oliva (EVO), il migliore su tutti i fronti. In alternativa possiamo usare una miscela di olio EVO e olio di oliva o il ghi, il tipico burro chiarificato della cucina indiana, privo di acqua e proteine», afferma Rasio.
E spiega: «Sono tutti grassi che hanno un punto di fumo elevato, cioè resistono molto bene, senza degradarsi e quindi senza produrre sostanze nocive, alle temperature di cottura, che nel caso della frittura di qualità non devono comunque essere troppo alte. Quando friggiamo in modo corretto, l'olio EVO, per esempio, deve raggiungere temperature comprese fra 160 e 190 °C a seconda dell’alimento, per pochi minuti, senza mai produrre fumo», osserva Rasio.
«Inoltre, nell’olio EVO sono presenti molte sostanze antiossidanti (vitamina E e polifenoli) che proteggono dall’ossidazione sia l’olio sia il nostro organismo, evitando così la liberazione di composti nocivi».
Altrettanto non si può dire degli oli vegetali di semi (mais, girasole, arachidi, colza) presenti negli alimenti confezionati (biscotti, merendine, cracker, cibi precotti), usati nelle fritture della ristorazione collettiva (da evitare) o venduti imbottigliati come oli per friggere e che invece sono i meno indicati.
«Siccome al naturale non resisterebbero alle alte temperature di cottura, vengono sottoposti a processi industriali che li privano dell’odore, del colore e del sapore, oltre che delle loro proprietà nutritive e per di più li rendono nocivi per la salute. Questi processi producono soprattutto acidi grassi trans e altri composti dannosi che predispongono a malattie cardio-vascolari, neurodegenerative e anche a tumori», sottolinea l’esperta.
Diversi studi confermano che gli oli vegetali, come quello di girasole o di arachidi, alle temperature di frittura danno origine a concentrazioni di perossidi (composti che indicano il grado di ossidazione, cioè di degradazione, dell’olio) molto superiori a quelle dell’olio EVO.
3. Nutrienti protetti. Aiuta a dimagrire
«Poiché la frittura è una cottura rapida, i nutrienti presenti nell’alimento non vengono alterati dal calore e sono così facilmente assimilabili», osserva Rasio.
«Per esempio, mentre la cottura al forno del pesce può distruggerne i delicati e preziosi acidi grassi Omega-3, la frittura li preserva.
Inoltre, con l’olio EVO la vitamina E passa dall’olio alla crosta che si forma sulla superficie dell’alimento, che ne risulta così arricchito. La crosta delle fritture ha anche il pregio di trattenere le vitamine idrosolubili (che si sciolgono nell’acqua) contenute nel cibo, come la C o quelle del gruppo B, impedendone la dispersione e la degradazione».
Uno studio condotto all’università di Granada, in Spagna, ha concluso che friggere le verdure in olio EVO ne aumenta il contenuto in polifenoli antiossidanti, trasferiti dall’olio e intrappolati nella crosta croccante, mentre bollirle in acqua e olio non sortisce il medesimo effetto.
Il fritto può aiutarci anche a bruciare i grassi. Lo hanno dimostrato alcune ricerche, tra cui uno studio della Scuola politecnica di Losanna, in Svizzera, pubblicato su Nature Communications: alcuni acidi biliari generati dal fegato e dal microbiota intestinale convertono le cellule del tessuto adiposo bianco (che stoccano le calorie sotto forma di grassi) in cellule del tessuto adiposo bruno, che invece bruciano i grassi.
Poiché la frittura stimola la produzione di bile, questa funzione metabolica “brucia grassi” della bile aumenta se mangiamo il fritto, purché in una dieta sana accompagnata da adeguata attività fisica.
Ecco i benefici dell’olio cotto:
- Favorisce il dimagrimento: la sua digestione stimola la secrezione degli acidi biliari che aumentano il consumo di calorie da parte delle cellule adipose.
- Migliora la forma fisica: il fegato, attivato, trasforma meglio gli ormoni circolanti.
- Rende la pelle più luminosa: l’aumento di bile elimina le tossine liposolubili che la pelle trattiene.
- Riduce il gonfiore intestinale: la migliore digestione e l’azione disinfettante della bile normalizzano il microbiota intestinale riducendo la produzione di gas.
- Migliora il livello di energia: l’eliminazione delle tossine e lo stimolo funzionale aumentano la produzione di energia delle cellule epatiche.
4. Otto regole per friggere bene
- Usare olio EVO o una miscela di olio EVO e olio d’oliva.
- Friggere a 160-190 °C. L’olio non deve fumare per non produrre sostanze tossiche, né essere poco caldo perché non si formerebbe la crosta e l’alimento si impregnerebbe, risultando più difficile da digerire.
- Immergere tutto l’alimento, o almeno metà, nell’olio bollente. Friggere poche porzioni alla volta, per non abbassare la temperatura dell’olio, e pezzi piccoli per accelerare la cottura e sviluppare meno sostanze tossiche.
- La pastella e i cibi da friggere devono essere molto freddi (meglio aggiungere cubetti di ghiaccio) per facilitare la formazione della crosta.
- Prima di immergere l’alimento nell’olio bollente, eliminare l’eccesso di farina o di pangrattato perché favorirebbero la degradazione dell’olio.
- Aggiungere sale solo alla fine perché rovinerebbe la formazione della crosta.
- A frittura ultimata, fare asciugare due minuti l’alimento su carta assorbente per eliminare l’eccesso di olio.
- Consumare il fritto caldo perché è più buono e gratificante.
5. Perché è meglio evitare di friggere le patate
«Sono tra i fritti più appetibili, ma purtroppo le patate non andrebbero cotte in questo modo», avverte la nutrizionista e oncologa Debora Rasio, «perché, essendo ricche di amido, con la frittura sviluppano acrilammide, una sostanza cancerogena e neurotossica secondo diverse ricerche, presente in alte concentrazioni nel sangue dei consumatori di tutte le fasce d’età e specialmente nei bambini».
L’acrilammide si forma nei prodotti alimentari amidacei cuocendoli ad alte temperature (frittura, cottura al forno e alla griglia e anche lavorazioni industriali a più di 120 °C con scarsa umidità).
«Si forma soprattutto a partire da zuccheri e aminoacidi (in particolare l’asparagina), presenti in molti cibi, attraverso la “reazione di Maillard”, che conferisce all’alimento il tipico aspetto abbrustolito e lo rende più gustoso, ma in questo caso anche molto meno sano», conclude Rasio.
I cibi che più contribuiscono a esporci all’acrilammide sono, oltre alle patate fritte, al forno e ai fritti a base di patate, i biscotti, i cracker, le fette biscottate, i cereali in scatola (corn flakes) e il pane croccante.