Cosa c’è di più ovvio e semplice che riempire la ciotola del nostro amico due o tre volte al giorno con cibo di qualità adeguato alle sue esigenze?
Pochi gesti rapidi ed ecco fatto, il nostro dovere di nutrire correttamente il cane è adempiuto. Oppure no?
In realtà, il valore dell’azione di mangiare è davvero enorme, per un predatore sociale, e anche i tempi dedicati a questa attività contano molto.
Impariamo come assecondare le inclinazioni naturali del nostro “lupacchiotto” e la sua vita diventerà molto più ricca e interessante.
Con poco sforzo, tra l’altro, e parecchi vantaggi anche per noi. Approfondiamo la cosa.
1. Mangiare significa sopravvivere e i tempi della digestione
Non è cosa da poco e non potrebbe esserlo. Per il nostro amico, consumare la razione quotidiana di cibo è una questione seria, forse la più importante in assoluto.
Infatti, senza l’energia fornita dal cibo il cane non potrebbe camminare, correre, apprendere, interagire, riprodursi e neppure dormire. E lo sa bene, o meglio lo sanno i suoi geni.
Lo sa, in altre parole, il suo “istinto di sopravvivenza”, che nemmeno la selezione artificiale è riuscita a ridurre perché è talmente radicato da essere immodificabile.
E poiché secondo buona parte delle ricerche il cane non sembra concepire il concetto di “futuro” e vivrebbe perciò in un eterno presente, non può avere la certezza che la sua ciotola si riempirà anche domani.
Ecco perché quando ci accingiamo a preparargli il pasto il nostro amico è estremamente attento e spesso anche molto agitato: sta per compiere un’azione che gli conferma che, per quel giorno, sopravviverà.
Ciò spiega perché il valore del cibo per il cane va al di là della normale esigenza di mangiare che tutti proviamo e perché il nostro approccio alla sua nutrizione dovrebbe essere diverso dal semplice riempimento di una ciotola. Ma cominciamo dall’inizio...
Fin dal primo giorno di vita il nostro cane deve nutrirsi e ci riesce nonostante sia sordo e cieco e i suoi movimenti siano minimi. Il suo cervello è in grado di attivare riflessi che gli consentono di individuare le mammelle della madre, per poi innescare l’azione successiva, quella della suzione.
Il neonato non ha i denti e quindi il cibo non può che essere liquido: il latte materno, che contiene tutte le sostanze necessarie al piccolo. Verso la fine della terza settimana di vita, l’avvento dei denti “da latte” induce la madre a respingere l’assalto dei cuccioli, prima in modo blando e via via sempre più decisamente.
Siamo allo svezzamento, il passaggio verso il cibo solido. In natura, la madre rigurgita parte del suo pasto semidigerito ma per il cane domestico ci sono alimenti specifici morbidi già pronti.
Dal quarto mese circa, i denti da latte iniziano a essere sostituiti da quelli definitivi e il cucciolo passa gradualmente agli alimenti solidi, meglio se non troppo duri per non rendere molto faticoso il lavoro dei muscoli masticatori (chiamati “masseteri” e “temporali”) in fase di sviluppo.
A otto mesi, in genere la dentatura è completa ed è costituita da 42 denti estremamente efficaci, capaci di lacerare e triturare anche alimenti molto duri. Come nel nostro caso, anche la digestione del cane inizia già durante la fase della masticazione, grazie alla saliva.
A seconda del tipo di alimento, il processo digestivo completo, dall’ingestione al transito intestinale, ha una durata differente: otto-dieci ore nel caso di cibi solidi, circa la metà per quelli liquidi.
Ecco perché i cibi solidi non possono essere ingeriti dai cuccioli prima che il loro apparato digerente si sia sviluppato a sufficienza per “trattarli”.
In ogni caso, le sostanze liquide e semi liquide, se disponibili, rimarranno gradite al cane per tutta la vita, anche perché offrono il vantaggio di venire assimilate con un consumo di energia dimezzato da parte dell’organismo rispetto ai cibi solidi.
E il cane è un eccellente valutatore del rapporto tra consumo di energia e beneficio che ne deriva.
2. Le fasi della nutrizione e dopo mangiato
Lo studio sul comportamento del cane è partito proprio dall’assunzione del cibo.
Siamo nei primi anni Venti e molti scienziati iniziano a suddividere la risposta alimentare in momenti differenti: “preparazione”, “ingestione”, “acquietamento” e “non riproposizione”. Vediamo di cosa si tratta.
La “preparazione”comprende tutte le azioni che conducono poi alla consumazione vera e propria e dipende dalla giusta connessione tra “ambiente” interno ed esterno.
Internamente, nel corpo del cane, deve esserci essere uno stomaco pressoché vuoto, con i succhi gastrici che iniziano a farsi sentire; i recettori del glucosio, collocati nell’ipotalamo ventromediale del cervello, si attivano e la presenza di qualcosa di commestibile mette in azione il cane, che passa dalla fase appetitiva a quella consumatoria.
Quest’ultima inizia con una veloce analisi olfattiva e gustativa, seguita da assunzione, masticazione e, appunto, “ingestione”. Progressivamente, il riempimento dello stomaco riduce il richiamo cerebrale alla nutrizione, fino a spegnerlo (“acquietamento”).
Siamo arrivati alla fase di “non riproposizione” del comportamento anche in presenza di altro cibo disponibile che, se il cane ne ha la possibilità, spesso viene sepolto in buche scavate appositamente, chiamate cache in gergo tecnico, per essere consumato nei momenti di crisi.
Interessante notare che questo comportamento, che il cane ha ereditato dal lupo suo progenitore, mette in discussione il fatto che il nostro amico non padroneggi il concetto di “futuro”...
Abbiamo capito che nutrirsi è un’azione che possiamo suddividere in due momenti: quello “eccitatorio”, fatto di preparazione e consumazione, e quello “inibitorio”, costituito da una riduzione dell’attività psicomotoria, seguita da una fase in cui il cane tende a riposare.
La ragione, come accade anche a noi, è che la digestione richiama una certa quantità di sangue nello stomaco riducendone la presenza nel cervello, cosa che induce sonnolenza.
Ecco perché è importante evitare che il cane svolga attività fisica subito dopo i pasti: il suo metabolismo rallenta tanto da rendere difficoltosa, cioè molto costosa in termini di energia, qualsiasi risposta fisica e cognitiva. Inoltre, lo stomaco pieno “sballottato” dai movimenti potrebbe andare incontro a torsione e dilatazione, con grave rischio per la vita del cane.
Lasciamolo riposare, quindi, e dopo qualche ora il nostro amico riattiverà gradualmente le reazioni agli stimoli, tornando vivo e vivace. Fino al prossimo pasto.
3. Togliamo la ciotola! Il pasto diventerà davvero molto soddisfacente
Per quanto possa sembrare strano, la ciotola non è lo strumento migliore per soddisfare i desideri “consumatori” del nostro cane.
Per capirlo, dobbiamo sapere che esiste un tempo medio di assunzione del cibo per ogni essere vivente, un tempo fissato dalla sua evoluzione.
Per il cane, il tempo in questione è di circa venti minuti o anche di più per alcuni soggetti. La ragione si trova nel rapporto tra i recettori gustativi e le informazioni che inviano al sistema nervoso centrale.
Come noi, anche il cane ha un “centro dell’appetito” nel cervello, composto da cellule preposte a stabilire quando il bisogno di nutrizione può dirsi soddisfatto.
Queste cellule operano su due livelli: nel primo avviene la quantificazione del cibo assunto; il secondo ne “interpreta” l’efficacia contro la sensazione della fame. Nel cane questo processo dura, appunto, venti minuti circa. Ebbene, quanto tempo impiega di solito un cane a svuotare la sua ciotola?
Esatto, meno di due minuti. Inevitabilmente, il “centro dell’appetito” non ha il tempo per fare il suo lavoro, con conseguente senso di insoddisfazione del cane che spesso si evidenzia in azioni sostitutive, per esempio bere a lungo non appena terminato il pasto, anche se è costituito da cibo umido, oppure muoversi velocemente, a volte anche correndo, mordersi la coda e così via.
Lo scopo? Compensare il tempo mancante. Possiamo evitare questa insoddisfazione togliendo di mezzo la ciotola e trasformando i pasti del nostro amico in qualcosa di appagante e di più vicino alle sue pulsioni naturali, che sono quelle di un predatore.
Per esempio, possiamo inserire la sua razione di crocchette o di cibo umido in appositi contenitori in gomma dura che troviamo nei negozi specializzati: dovendo estrarre la pappa da un foro non molto largo, il cane userà lingua e denti e impiegherà il tempo corretto.
Lo stesso se inseriamo il cibo secco in una palla con foro di uscita regolabile che il nostro amico dovrà far rotolare a lungo per far uscire il contenuto.
Se abbiamo un giardino, possiamo spargere la sua razione di crocchette sul prato, così da attivare la ricerca olfattiva del cane per trovarle tutte, un lavoro da vero “cacciatore”.
Possiamo farlo anche dentro casa, nascondendo piccole porzioni del suo pasto in punti diversi e facendogliele cercare. In questo modo, suddividendo ogni razione in piccole porzioni, raggiungeremo i fatidici venti minuti e il risultato finale sarà appagamento seguito da tranquillità assoluta.
In altre parole, avremo indotto il nostro amico a “cacciare” la preda, evitando di renderla “pronta all’uso”, e il suo cervello di predatore ci ringrazierà!
4. Il ruolo del cibo contro lo stress ambientale e nell’apprendimento
Rendere più appagante e relativamente più “naturale” il modo di mangiare del nostro cane è possibile anche in passeggiata.
Basta trasferire una parte della sua razione di cibo secco nelle nostre tasche e decidere quando e come dargliene piccole dosi.
Per esempio, potremmo fare esercizi di concentrazione, come il contatto visivo. Guardarci negli occhi, infatti, per il cane implica estraniarsi dal mondo e pensare soltanto a noi che, per questo, lo gratificheremo con il cibo, rafforzando così la nostra relazione.
Nel caso ci fossero troppi stimoli visivi o in presenza di fattori che preoccupano il nostro amico, potremo rilasciare qualche boccone a terra, permettendo al cane di dare forza al senso più potente, l’olfatto. Annusare è il modo migliore per scacciare le paure, perché l’olfatto assorbe tutta l’attenzione del cane, facilitando così il recupero del suo equilibrio emotivo.
Inoltre, mangiare induce relax e appagamento, emozioni che contrastano efficacemente timore e ansia. Se poi decideremo di fermarci al bar per un caffè, spargere un po’ di crocchette sul pavimento servirà a far passare la noia dell’attesa al nostro amico.
Le tecniche di educazione e di addestramento più corrette in termini di etica e di etologia utilizzano sempre il cibo, ma non quello quotidiano. Piccoli bocconcini morbidi, altamente appetitosi e dal valore nutrizionale elevato, consentono di insegnare al cane tantissimi comportamenti, da quelli più elementari a lunghe sequenze complesse.
L’obiettivo iniziale è far associare un’azione del cane a una gratificazione alimentare, applicando il processo di apprendimento denominato “condizionamento classico” e usando il cibo anche come esca. Successivamente, il cibo smette di essere uno “stimolo” per trasformarsi nella “ricompensa” per aver eseguito qualcosa dietro nostra richiesta.
In altre parole, diventa “evento rafforzatore”, più comunemente detto “rinforzo”. È il “condizionamento operante”: la gratificazione ottenuta con un determinato comportamento aumenta le probabilità che quel comportamento venga riproposto in una situazione analoga.
Il cibo può essere impiegato per indurre nel cane utili associazioni tra eventi, soprattutto se è un cucciolo. Se il piccolo è a disagio perché intorno a lui c’è molta gente oppure per via di rumori forti, dargli una piccola porzione del pasto riduce l’impatto emotivo della situazione, favorendo il collegamento tra gli stimoli che lo disturbano e l’atto di mangiare, trasformando così la presenza di tali stimoli in una sorta di segnale che preannuncia cibo!
E dando cibo al nostro amico mentre un estraneo sta violando la sua “distanza intima” per accarezzarlo possiamo rendere meno invasivo questo tipo di contatto sociale non richiesto e ridurre il rischio che il cane sviluppi avversione verso gli estranei invadenti.
Quando usiamo parte della razione di cibo all’esterno, come in questi casi, una volta rientrati a casa non dimentichiamo di fargli concludere il pasto nel modo migliore: spargendo le crocchette in giardino, nascondendole per casa o inserendole negli oggetti adatti allo scopo.
Sommando le attività consumatorie all’esterno con quelle proposte dentro casa, avremo un compagno di vita sereno e appagato, quindi pronto per qualche ora di quiete e relax.
5. Mentalità da predatore sociale. Il cibo non è soltanto nutrimento
Tornando all’alta efficacia del cibo nell’educazione e nell’addestramento dei cani, questa si deve alla loro identità di predatori sociali: agendo in sintonia con noi, il cane “caccia” insieme a noi e vede i bocconcini prelibati alla stessa stregua di piccole porzioni di “preda”.
Il fatto che tali porzioni si trovino nelle nostre tasche, e vengano rilasciate dalle nostre mani, rende il collegamento con noi estremamente proficuo, tanto in termini di collaborazione quanto di consolidamento della relazione.
E funziona in ogni possibile esperienza educativa: dai corsi dedicati ai cuccioli ai gruppi di “ubbidienza generale”, fino alle più sofisticate attività cinofilo-sportive o di utilità sociale.
Con l’andare del tempo, il rilascio dei “rinforzi” può essere diradato, perché il nostro amico trova gratificazione anche nella stessa esecuzione di un’azione già appresa, soprattutto se gli facciamo capire che siamo contenti di lui.
Tuttavia, il rinforzo “primario”, il cibo, non deve essere eliminato, perché serve a mantenere alto il livello della motivazione nel cane. Tecnicamente si parla di rinforzo “variabile”, per tempo di somministrazione o per quantità. Un’altra ragione importante per “ricompensare” un cane che lavora? Perché se lo merita!
La ricerca del benessere è centrale nell’esistenza del cane esattamente come lo è nella nostra. E cercare di evitare situazioni sgradevoli è un’altra priorità condivisa con noi. “
Benessere” significa disporre delle risorse necessarie per vivere serenamente e mangiare regolarmente è essenziale, non solo per nutrirsi ma anche per l’effetto che induce nell’organismo, cioè il rilascio di sostanze appaganti, per esempio la serotonina.
Si tratta di un neurotrasmettitore del “buon umore” sintetizzato da alcune cellule che si trovano nel cervello e nell’apparato gastrointestinale. Il suo processo di sintesi è garantito da un aminoacido essenziale denominato “triptofano” e parte di uno specifico enzima chiamato “triptofano-idrossilasi”.
Avere in circolo una giusta dose di serotonina grazie all’assunzione della “pappa” quotidiana significa avere un approccio positivo all’ambiente esterno, favorendo le interazioni sociali, l’abituazione agli stimoli circostanti e l’apprendimento di nuove capacità e competenze.
Significa anche riuscire ad adattarsi con equilibrio a contesti e condizioni nuove, determinando un rapporto adeguato tra ciò che si percepisce e le risposte che ne derivano. Equilibrio, in sintesi.