Nonostante non ci sia nulla di buono nella demenza, un fatto è certo: la sua crescente diffusione è una conseguenza del fatto che viviamo mediamente più a lungo.
Infatti, tra i vari fattori di rischio associati alla demenza, l’età avanzata è di gran lunga il più importante.
Dal momento che viviamo generalmente più a lungo, sempre più persone corrono il rischio di sviluppare la demenza. Nel 1850 l’aspettativa di vita media per un europeo era di 36,3 anni, mentre nel 2014 era di 86,7 anni.
Al di sotto dei 60 anni c’è solo una probabilità su 1.000 di sviluppare la demenza, perciò, prima del sorprendente aumento dell’aspettativa di vita a cui abbiamo assistito negli ultimi 150 anni, ci sarebbero stati pochi casi di demenza poiché pochi vivevano abbastanza a lungo per entrare nella fascia d’età a rischio.
Ma ora, con una percentuale crescente della popolazione che vive oltre i 90 anni, il numero di persone a rischio di demenza è aumentato. Per le persone tra i 60 e i 64 anni, 1 su 100 probabilmente svilupperà la demenza.
Per quelli tra i 75 e i 79 anni, la percentuale sale al 6%. Tra 90 e 94 anni, il rischio si attesta al 30%, e per chi vive fino a 95 anni sfora oltre il 41%. La demenza è fondamentalmente una malattia dell’invecchiamento.
50 milioni di persone in tutto il mondo sono affette da varie forme di demenza. Ogni anno vengono diagnosticati circa 10 milioni di nuovi casi, ma non esiste ancora una cura.
1. Che cos’è la demenza?
Varie condizioni rientrano nella definizione generale di demenza. La più comune è l’Alzheimer, che colpisce tra il 50 e il 70% dei malati di demenza.
Le diverse forme di demenza influiscono sulla capacità del cervello di pensare e ricordare, con un impatto significativo sulla capacità di svolgere le attività quotidiane. Nelle sue forme più avanzate, la demenza impedisce al malato di sopravvivere senza cure costanti.
Dopo l’Alzheimer, la seconda forma più comune è la demenza vascolare. Questa condizione può insorgere dopo un ictus e rappresenta circa un quarto dei casi di demenza.
Altre forme relativamente comuni includono la demenza a corpi di Lewy e la demenza frontotemporale (quest’ultima è quella che ha colpito l’attore Bruce Willis).
Una forma più rara di demenza può essere causata dall’idrocefalo normoteso, una patologia che deriva dall’eccesso di liquido cerebrospinale. Questa condizione è caratterizzata da una triade di sintomi che causano anomalie dell’andatura, incontinenza e demenza.
Altre patologie (tra cui il morbo di Parkinson e il morbo di Creutzfeldt-Jakob) e persino alcune infezioni possono altresì sfociare nella demenza. Tutte queste condizioni causano il deterioramento delle funzioni cerebrali e della memoria, note complessivamente come demenza.
Una delle difficoltà che ostacola maggiormente la ricerca di possibili cure è la mancanza di test diagnostici soddisfacenti per identificare le varie forme di demenza, in particolare per l’Alzheimer.
La diagnosi si basa su una visita medica accompagnata da esami e anamnesi, e richiede una compromissione significativa di almeno due delle cinque facoltà mentali fondamentali: memoria, linguaggio e comunicazione, concentrazione e attenzione, giudizio e ragionamento, percezione visiva.
Tuttavia, i sintomi delle diverse forme di demenza spesso si sovrappongono, quindi di frequente è difficile per i medici diagnosticare la specifica forma di demenza da cui il paziente è affetto.
2. Fattori di rischio della demenza
Come è già stato detto, il principale fattore di rischio per lo sviluppo della demenza è l’età. Questo è particolarmente vero per la forma più comune di demenza, l’Alzheimer.
Tuttavia, oltre ai complessi effetti derivanti dall’invecchiamento, entrano in gioco anche altri fattori. Uno di questi è la presenza di casi precedenti in famiglia, con il rischio di ereditare i geni che predispongono allo sviluppo dell’Alzheimer.
Inoltre, esiste anche una forte associazione con la sindrome di Down. Sia la sindrome di Down sia l’Alzheimer, infatti, derivano da anomalie del cromosoma 21.
Le persone affette dalla sindrome di Down hanno un rischio superiore alla media di sviluppare l’Alzheimer con l’avanzare dell’età: addirittura quasi la metà dei soggetti sviluppa l’Alzheimer entro i 60 anni (mentre questa percentuale è inferiore al 10% nella popolazione più ampia).
Oltre alla sindrome di Down, anche altri disturbi cognitivi incrementano il rischio di demenza.
Alcuni di essi sfuggono totalmente al nostro controllo, mentre altri possono essere evitati. Ad esempio, un passato segnato da lesioni alla testa aumenta significativamente il rischio di demenza.
Oggigiorno, l’approccio agli effetti della commozione cerebrale in campo medico stanno cambiando: i vecchi tempi in cui i giocatori di rugby venivano rispediti in campo finché riuscivano a stare in piedi sono fortunatamente passati.
Ma anche le lesioni cerebrali di bassa intensità possono avere un effetto cumulativo, con il conseguente rischio di insorgenza della demenza. Gli sport che comportano possibili lesioni alla testa dovrebbero prevedere l’uso di caschi, ove possibile, e, soprattutto, gli atleti dovrebbero avere a disposizione il tempo sufficiente per riprendersi da eventuali commozioni cerebrali.
Anche i classici errori nello stile di vita – fumo, obesità e alcol per citarne alcuni – possono favorire lo sviluppo della demenza. Non sorprende perciò che, a scopo preventivo, i medici consiglino di smettere di fumare, mantenersi in forma e bere con moderazione. Questo non solo ridurrà il rischio di demenza, ma migliorerà significativamente la salute in generale.
Parlando appunto di salute, non è solo la famigerata trinità fumo-alcol-obesità a causare la demenza, ma anche la salute mentale svolge un ruolo chiave. Gli studi suggeriscono che i soggetti oltre i 55 anni che soffrono di livelli di depressione in costante aumento corrono un rischio maggiore di sviluppare la demenza rispetto a quelli con livelli bassi o variabili.
Ricerche più ampie dimostrano inoltre che l’isolamento sociale, che spesso aumenta con l’avanzare dell’età, aumenta l’insorgenza della demenza. Infatti, maggiore è la tendenza a isolarsi man mano che si invecchia maggiore è il rischio di sviluppare la demenza.
3. Che cosa possiamo fare per prevenire la demenza? La genetica dell’Alzheimer
La buona notizia è che le misure che possiamo adottare per ridurre il rischio di incorrere nella demenza apportano benefifici in generale per la nostra salute. Hai mai desiderato imparare una nuova lingua o suonare la chitarra? Fallo.
Non importa quanti anni hai, le attività che richiedono un’intensa concentrazione (preferibilmente quelle che stimolano anche la memoria muscolare) sono l’ideale.
Impara a ballare il tango. Dedicati alla creazione di vasi. Costruisci navi con i fiammiferi. Canta, o meglio ancora, unisciti a un coro. In questo modo, l’apprendimento sarà associato allo sviluppo di nuove relazioni sociali stimolanti. Gli esseri umani sono animali sociali e, in generale, hanno bisogno della compagnia delle altre persone per stare bene.
L’isolamento è una punizione: non farlo diventare uno stile di vita. Oltre a queste attività, occorre prevenire anche quelle particolari condizioni mediche che possono sfociare in un ictus, e quindi nella demenza vascolare. Tra questi fattori di rischio c’è il diabete, quindi l’esercizio fisico e una dieta sana (che aiutano a ridurre il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2) tengono lontana anche la demenza.
All’interno delle numerose varianti della demenza, la maggior parte degli studi si è concentrata su quello della genetica dell’Alzheimer. Le prove più convincenti a favore dell’origine genetica della malattia vengono da una variante chiamata Alzheimer a esordio precoce.
Come suggerisce il nome, questa forma devastante si manifesta molto prima della più comune forma a esordio tardivo, colpendo soggetti tra i 30 e i 60 anni. Questa variante colpisce meno del 10% di coloro che sono affetti da Alzheimer.
Tra i soggetti a cui è stato diagnosticato l’Alzheimer a esordio precoce è stato individuato un piccolo sottogruppo, che comprende circa 500 famiglie in tutto il mondo, nel quale la malattia è causata da mutazioni nei cromosomi 1, 14 e 21.
Gli scienziati non hanno ancora identificato il gene scatenante della forma più comune di Alzheimer a esordio tardivo, tuttavia hanno scoperto che un gene sul cromosoma 19, l’apolipoproteina E (APOE), svolge un ruolo chiave ai fini della malattia. Tra i diversi alleli (varianti) del gene, il più comune – l’APOE 3 – è neutrale rispetto all’Alzheimer.
Di contro, l’allele APOE 2 protegge dall’Alzheimer, mentre l’APOE 4 rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo della malattia. Tuttavia, con l’Alzheimer niente è davvero semplice.
Mentre l’allele APOE 4 del cromosoma 19 aumenta il rischio di sviluppare l’Alzheimer in giovane età, questa condizione sembra non essere né necessaria né sufficiente. Alcuni soggetti che presentano l’allele portatore di rischio non sviluppano mai la malattia, mentre altri che la sviluppano non hanno l’allele APOE 4.
I ricercatori hanno perciò ampliato la ricerca dei geni potenzialmente coinvolti nell’Alzheimer attraverso studi basati sull’associazione che hanno come oggetto l’intero genoma, alla ricerca di collegamenti tra geni specifici (o varianti geniche) e determinati tratti.
Da questi studi sono emerse molteplici regioni nel genoma (il DNA completo di un organismo) coinvolte nell’insorgenza della malattia. Tuttavia, dovranno essere condotte ulteriori ricerche per scoprire i ruoli effettivamente svolti da queste regioni nello sviluppo dell’Alzheimer.
4. Quali sono le conseguenze dell’Alzheimer nel cervello?
Non sono affatto buone. La malattia fu identifificata per la prima volta da Alois Alzheimer, uno psichiatra tedesco, nel 1901. Una donna di nome Auguste Deter, ricoverata in un manicomio di Francoforte, attirò l’attenzione di Alzheimer.
Durante i cinque anni successivi, fino alla sua morte nel 1906, il dottore rimase affascinato dal suo caso. Alle domande poste, Deter rispondeva: “Ich habe mich verloren” (“Mi sono persa”). Quando Deter morì, Alzheimer esaminò il suo cervello. Vi trovò dei grumi di proteine, chiamati placche.
Ora sappiamo che queste placche sono costituite dalla proteina beta-amiloide e sono un elemento chiave della malattia. La progressione della malattia distrugge le cellule cerebrali, chiamate neuroni, e interrompe le connessioni tra loro, un aspetto vitale della funzione mentale.
Di solito, la malattia prima attacca i neuroni nelle aree del cervello coinvolte nella memoria, poi si diffffonde alla corteccia cerebrale e alle aree responsabili del ragionamento, del linguaggio e del comportamento. Nei malati di Alzheimer in fase avanzata, il cervello si atrofizza, e le regioni specificatamente colpite dalla malattia si riducono di volume.
Questi importanti cambiamenti fisici nel cervello dei pazienti affetti da Alzheimer sono accompagnati da alterazioni significative microscopiche di natura biochimica nel cervello. Le placche di beta-amiloide identificate per la prima volta da Alzheimer formano grumi tra i neuroni, interferendo con il loro funzionamento.
Secondo studi ulteriori, le placche di beta-amiloide sono coinvolte anche in un’altra caratteristica dell’Alzheimer: i grovigli di proteine tau. Questi grovigli si formano all’interno dei neuroni e impediscono ai nutrienti di raggiungere correttamente le estremità delle cellule, interrompendo la comunicazione tra neuroni.
Sembra che le proteine tau anomale si accumulino nelle aree del cervello legate alla memoria, mentre le placche di beta-amiloide si formino tra i neuroni nelle medesime regioni. Quando la quantità di placche di beta-amiloide raggiunge un livello critico, una cascata di proteine tau anomale si diffonde attraverso il resto del cervello, provocando il collasso neuronale.
Altre ricerche identificano l’infiammazione cronica nel cervello come un’altra causa dell’Alzheimer.
Le cellule che normalmente rimuovono le sostanze chimiche di scarto che si accumulano nel cervello (le cellule della microglia e gli astrociti) non riescono a svolgere correttamente il loro lavoro e, come se ciò non bastasse, producono una sostanza chimica che provoca infiammazione cronica e aggrava il danno neuronale.
5. Quali sono le prospettive per una cura o un trattamento efficaci? L’importanza dell’assistenza
A breve termine, non sono molto promettenti. Manca ancora una comprensione approfondita delle conseguenze della maggior parte delle forme di demenza. Le cause dell’Alzheimer si stanno rivelando particolarmente oscure.
Si sperava che i farmaci progettati per rimuovere gli accumuli di placche di beta-amiloide (foto sotto) avrebbero trattato o addirittura curato del tutto la malattia, ma queste speranze sono state disattese.
Numerosi test farmacologici per il trattamento delle placche di beta-amiloide hanno fallito, ma recentemente sono state formulate alcune teorie alternative sulla causa dell’Alzheimer, tra cui tossine ambientali, infiammazioni e infezioni batteriche, virali e fungine.
Una possibile implicazione dell’ampliamento del ventaglio delle cause possibili è che l’Alzheimer non sia un’unica malattia, oppure, pur essendo un’unica malattia, abbia cause diverse.
Se l’Alzheimer, in realtà, è un insieme di condizioni diverse che condividono sintomi simili, allora i ricercatori devono trovare un modo per distinguere le diverse forme della malattia prima di sviluppare trattamenti specifici per ogni tipologia.
Si tratta, ovviamente, di un compito complesso che richiederà del tempo, ma se l’Alzheimer dovesse rivelarsi un’unica malattia con molteplici cause – per quanto possa essere difficile individuare queste cause – sarebbe più facile trovare un trattamento.
Dal momento che una cura per l’Alzheimer e le altre forme di demenza è ancora lontana, l’importanza delle cure che prestiamo a coloro che vivono questa condizione è più che mai evidente. In molti casi, è il partner del paziente a prestare assistenza, con rispetto e amore.
Ma non è facile. A tal proposito, abbiamo contattato Pat Brown di Dementia UK, il quale opera nel servizio infermieristico altamente specializzato dell’associazione, per saperne di più sull’importanza dell’attività svolta dai caregiver.
“A fronte dell’incremento delle prospettive di vita, aumentano le diagnosi di demenza, al punto che oggi questa malattia rappresenta uno dei maggiori problemi di salute dei nostri giorni.
Pertanto, è necessario un maggiore sostegno, non solo alle persone a cui viene diagnosticata la malattia, ma anche ai caregiver che spesso rimangono nell’ombra e sperimentano in prima persona i cambiamenti devastanti che questa condizione causa a un partner o a un familiare”.
Se sei un caregiver, conosci un caregiver in difficoltà o hai bisogno di aiuto e supporto per la demenza, puoi rivolgerti ad Alzheimer Italia (www.alzheimer.it, “Pronto Alzheimer” 02809767) oppure ad AIMA-Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (www.alzheimer-aima.it, Linea Verde Alzheimer 800.679.679).
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