Fino a circa 500 anni fa, in una tra le più impervie regioni delle Ande risiedevano gli ultimi Incas, i quali erano riusciti, grazie alla protezione di montagne, ghiacciai, giungle e cascate, a mantenersi indipendenti da quella parte del Perù che era stata sottomessa da Pizzarro e dai Conquistadores.
Essi avevano eretto ben 2 capitali: Vitcos, costruita senza troppo cura, e Vilcapanca, loro residenza principale, magnifica città santuario, nella quale nessuno spagnolo riuscì mai ad entrare. Entrambi le capitali furono abbandonate nel 1571, con la morte dell'ultimo Inca.
La civiltà americana deve molto a questo popolo: furono, infatti, i primi a coltivare la patata, molte varietà di granoturco e droghe come il chinino e la cocaina e furono anche eccellenti artigiani nella lavorazione della ceramica e dei tessuti. Ma, purtroppo per noi, gli Invas non conobbero alcuna scrittura, nemmeno quella geroglifica.
Oggi tratteremo 5 aspetti sociali, abbastanza insoliti, che contrassegnarono questa magnifica, affascinante e grandiosa civiltà.
1. Sacrifici umani
Gli Incas adoravano il Sole (Inti o Yntì) e in determinate circostanze gli offrivano dei sacrifici umani: un fanciullo di bell'aspetto. A differenza del rito azteco, quello incaico non prevedeva che il cuore fosse strappato dal petto della vittima. Venivano usate mazze di legno con la testa di pietra: con questi strumenti vennero immolati al dio Inti i bambini di ambo i sessi e di età compresa tra gli 8 e i 14 anni.
Le vittime venivano adornate di tutto punto, dopodiché veniva loro somministrata una bevanda in grado di scatenare un violento attacco di vomito durante il quale venivano uccise. In altri casi, invece, la cerimonia sacrificale avveniva con un rituale differente: i bambini venivano intontiti, forse con alcol o con allucinogeni, e poi strangolati o sepolti vivi.
Sul vulcano Ampato è stata rinvenuta la famosa Vergine di Ghiaccio, e sul monte Llullaillaco, le nevi hanno perfettamente conservato i corpi di 3 bambini accompagnati da un ricco corredo di piume e tessuti. Nel 1954, infine, durante una spedizione archeologica, venne trovata sulle vetta El Poma (Cile), la mummia di un bambino di circa 8 anni: era stato lasciato morire assiderato in sacrificio al dio Sole più di 5.000 anni prima. Una borsa di piume legata alla vita conteneva le foglie di coca che il bambino avrebbe dovuto masticare per assopirsi e soffrire meno.
Più spesso, al fine di ottenere un buon raccolto, veniva offerto in sacrificio, al posto del fanciullo, un lama, il quale veniva sgozzato con un coltello d'oro.
2. Uso di coca e le relative leggende
Seconda una leggenda, la coca avrebbe avuto origine da una bellissima prostituta tagliata a metà. Dalla sua salma divisa in 2 parti germogliò, infatti, una pianta dalle foglie eccitanti, che gli Incas consumavano per le proprietà energetiche, toniche e corroboranti. I cronisti riferiscono anche che questo popolo ricorreva alla coca per stimolare l'attività sessuale e nelle pratiche di sodomia sacrale. Questa leggenda è molto simile a quella di Osiride fatto a pezzi e poi ricomposto da Iside nel tronco di un cipresso, pianta che simboleggia la resurrezione.
Secondo un'altra leggenda, la coca è collegata a Manco Càpac, erede del trono del Sole. Narra questa leggenda: "Durante un periodo di grande carestia e di grande miseria, Manco Càpac, erede del trono del Sole, gettò uno sguardo attento sui suoi figli delle Ande occidentali. Vide grande sofferenza e, più ancora, lacrime che, per la loro abbondanza, umettavano il suolo sotto i loro piedi. Manco Càpac inviò allora al suo popolo un presagio fatto da una cometa rossa e scintillante, che illuminava la terra con si suoi lampi. Lo stesso Dio si trasportò fino al palazzo del Re Montana che si precipitò a riverire l'oracolo. Vide Dio sotto forma di una foglia di coca in fiamme. Quando il fuoco si spense, l'Imperatore si chinò per prendere l'oggetto, che il Dio aveva abbandonato dietro di sé. Comprese subito il messaggio. Manco Càpac aveva indicato il Cammino agli uomini.. Grazie alla foglia di coca, nessuno avrebbe mai più sentito né la fatica né la fame".
La coca sarebbe entrata così a far parte dell'olimpo Incas con l'appellativo di "Mamma Coca". Dopo la conquista spagnola, si formarono 2 opposti fazioni: la Chiesa voleva abolire completamente l'uso, perché era intimamente connesso alla religione andina; l'altra fazione sosteneva l'importanza economica della coca, che consentiva alle popolazioni andine, poste in condizioni di schiavitù e costrette al lavoro forzato nelle miniere d'argento, di sopportare pesanti ritmi di lavoro. Senza contare gli introiti che derivavano dalla sua coltivazione.
3. La medicina degli Incas
L'esercizio della medicina era affidato a sciamani, guaritori e sacerdoti. Le terapie potevano consistere in salassi, purganti, diete o bagni; talvolta in riti magici, preghiere, confessioni dei peccati o sacrifici. Le medicine erano ricavate da particolari piante: tra le più usate vi erano le foglie di coca essiccate, che aiutavano i malati a vincere la fame e la stanchezza.
Veniva praticata anche la chirurgia: l'operazione più comune era la trapanazione cranica. I medici incaici avevano, infatti, osservato che, in casi di trauma cranico, la presenza della frattura aumentava le possibilità di sopravvivenza, poiché consentiva al cervello edematoso di espandersi, e quindi di essere soggetto a una compressione minore. Frequente poi, in questo genere d'interventi, era la ricostruzione della volta cranica con una lamina d'oro.
Oltre alla trapanazione del cranio, gli Incas eseguivano altri tipi di amputazione, la cui testimonianza archeologica è fornita dalle ceramiche della popolazione dei Mochica. Altri interventi medici frequenti consistevano nella cura dei denti cariati e nell'installazione di protesi dentarie: in entrambi i casi, il materiale utilizzato era il rame. Molto poco si conosce, invece, circa l'utilizzo di anestetici e narcotici durante gli interventi chirurgici: di sicuro sappiamo che gli Incas avevano a loro disposizione numerose sostanze anestetiche naturali, come la belladonna, l'albero della wil-ka e la coca stessa.
4. I corrieri Incas (i Chasqui)
Gli Incas avevano messo a punto un sistema di comunicazione rapidissimo per mezzo di corrieri (chasqui), generalmente uomini tra i 18 e i 25 anni, che si avvicendavano a staffetta nella consegna dei messaggi. Il sistema, già noto ai Persiani, era stato perfezionato dagli Incas: i chasqui correvano a staffette dalla città di Quito a quella di Cuzco (1250 miglia di percorso) in soli 5 giorni, affrontando un dislivello compreso tra i 6.000 e i 17.000 piedi.
La capacità dei corrieri incaici di annunciare tempestivamente i tentativi di invasione o di insurrezione, era il principale fattore che garantiva l'integrità dell'impero: per non perdere un solo istante, il chasqui annunziava il suo arrivo suonando la conca, affinché il corriere della stazione seguente, avvertito, potesse andargli incontro, ricevere il messaggio e partire immediatamente. Le notizie in tal modo circolavano con la massima rapidità. I chasqui venivano allenati a correre in alta quota fin da bambini, e ciò per abituarli allo sforzo.
Essi lavoravano secondo turni della durata di 15 giorni e all'arrivo nella stazione di posta, il corriere riferiva al collega un messaggio verbale e gli consegnava un "quipu" come promemoria del messaggio da recapitare alla stazione successiva. Secondo l'importanza della missione, il regolamento prevedeva che essi dovessero essere presenti nel numero di 4 o 6 in ciascuna stazione di posta.
Il sistema funzionava così: 2 uomini dovevano essere sempre seduti sulla soglia, ognuno guardando un lato della strada. Appena uno scorgeva un corriere, gli andava incontro, quindi, ritornando sui suoi passi, gli correva accanto ricevendo il messaggio orale o la cordicella annodata (quipu) come promemoria; proseguiva successivamente da solo la corsa, il più rapidamente possibile, verso la stazione successiva dove, a sua volta, trasmetteva il messaggio allo stesso modo.
I corrieri erano riconoscibili da lontano per il pennacchio bianco che avevano in testa e per il suono di tromba con il quale segnalavano la loro presenza. Erano tenuti al segreto professionale ed erano armati di mazza e fionda. Se il chasqui falliva nella sua missione, non arrivava a destinazione o riferiva il messaggio in questione alla persona sbagliata, veniva punito con la morte.
5. La farmacia degli Incas
Tra i farmaci di origine vegetale spiccava innanzitutto la coca, poi numerosi balsami e resine estratti dalle leguminose, per esempio l'olio ricavato dal Myroxylon peruviae, assai utile nel trattamento delle piaghe. I bagni nel decotto di foglie di chillca, servivano, invece, a guarire la febbre quarta, l'insonnia e liberava i pazienti dai dolori delle giunture e dalle contusioni.
Tra i farmaci di origine animale, di fondamentale importanza era il sangue: quello di vigogna, usato contro il mal d'altitudine, quello di condor per le malattie nervose ecc. Gli Incas utilizzavano una polvere a base di solfuro di arsenico nel trattamento della sifilide e della leishmaniosi. Uno dei rimedi più curiosi consisteva, infine, nel far rimarginare i lembi delle ferite mediante i morsi delle formiche, le quali venivano decapitate lasciando in loco la testa a mo di filo di sutura!
Nella civiltà degli Incas trovavano poi largo impiego il chinino, derivato dalla corteccia della china, fin da allora riconosciuto efficace nel trattamento della febbre malarica. Altri rimedi terapeutici ottenuti dalle piante, erano l'atropina, il curaro, la teofillina, e molte altre che fanno ancora parte della farmacopea moderna. Esistevano, poi, piante i cui principi attivi causavano profondi effetti sulla psiche. Altri esempi utilizzati con lo stesso scopo erano il peyotl (una specie di cactus, nella foto qua sopra), il teonancatl (un fungo) e l'ololiuqui (un vino), i cui principi attivi erano rispettivamente la mescalina, la psilocibina e la psilocina.