Si tratta di cose inconsistenti, curiose, ininfluenti e di scarsa importanza che, però, hanno in comune una sola cosa: la loro data di nascita avvenuta nel 2013, attraverso scoperte scientifiche o mediante risultati di diverse ricerche. Vediamole insieme.
1. Il colore del piatto e della tazza influenza la percezione dei sapori
Un gruppo di ricercatori del Politecnico di Valencia e dell’Università di Oxford, attraverso uno studio poi pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Sensory Studies hanno dimostrato che il colore dei piatti da cui mangiamo e dei bicchieri da cui beviamo è più importante di quanto possiamo immaginare.
E' stato dimostrato, ad esempio, che mangiare in un piatto di colore rosso possa aiutare a limitare l’appetito, arrivando così a consumare fino al 40% di cibo in meno, o ancora che bere una cioccolata calda da una tazza color arancione ci da la sensazione che la bevanda abbia un gusto migliore e che sia più buona di una identica servita in un recipiente di colore diverso.
Il team guidato dalla dottoressa Betina Piqueras-Fiszman ha fatto assaggiare a 57 volontari 4 cioccolate calde, identiche nella preparazione, servite in altrettante tazze di colore bianco, crema, rosso e arancione esternamente e bianche all’interno. Quasi tutti i partecipanti all'esperimento ha giudicato la cioccolata calda bevuta dalla tazza arancione o crema molto più buona delle altre.
Altri studi hanno dimostrato che bere da bicchieri gialli esalta il gusto del limone contenuto nelle bevande analcoliche, e che le bevande dai colori freddi, come il blu ad esempio, sono più dissetanti rispetto a quelle dai colori caldi, come il rosso. Se le bevande sono disponibili in rosa, sono percepite come più zuccherine. In altri casi, è stato dimostrato che una mousse di fragola sembra essere più dolce e intensa su un fondo bianco rispetto a un fondo nero.
«Non c’è una regola fissa a indicare che il sapore e l’aroma siano migliorati in una tazza di un certo colore o tonalità – sottolinea Piqueras-Fiszman – In realtà questo varia a seconda del tipo di alimento, ma la verità è che, dato che comunque tale effetto si verifica, dovrebbe essere prestata una maggiore attenzione al colore del contenitore, poiché ha più influenza di quanto si potrebbe immaginare».
Il cervello pare dunque interpretare le informazioni fornite dalla vista di un cibo non solo in base alle caratteristiche proprie, ma anche dal contenitore in cui è presentato o servito. Questa scoperta può essere molto utile e preziosa anche per chi vende alimenti o li prepara in un ristorante.
2. Le dita rugose permettono all'uomo di afferrare meglio gli oggetti bagnati
E' risaputo che le dita delle mani e dei piedi quando restano immerse nell'acqua per un lungo periodo diventano rugose, si formano cioè delle piccole rughette sui polpastrelli. Che si trattasse in realtà del risultato di un lungo percorso evolutivo e non di una semplice reazione "fisica" della pelle all'acqua era noto da tempo: il raggrinzimento, infatti, è un fenomeno attivo guidato dal sistema nervoso autonomo.
Fino a questo momento gli studiosi sapevano solo che la formazione delle rughe sulle dita immerse a lungo in acqua è un processo attivo controllato dal sistema nervoso autonomo. Le grinze tra l'altro si formano solo sull'epidermide delle zone che si trovano a contatto con delle superfici esterne e che in qualche modo le devono manipolare (i palmi delle mani e le piante dei piedi).
Nel Gennaio del 2013, il team di Kyriacos Kareklas e del biologo Tom Smulders dell'Università di Newcastle, ha dimostrato che le dita rugose permetterebbero all'uomo di afferrare meglio oggetti bagnati, capacità che sarebbe venuta molto utile all'uomo primitivo in ambienti umidi.
I ricercatori hanno chiesto ai partecipanti allo studio di afferrare delle biglie asciutte o bagnate a mani asciutte o dopo averle immerse per 30 minuti in acqua. Come ha spiegato Smulders: "le persone sono circa il 12% più rapide se le loro dita sono rugose che se le loro dita non sono rugose". I dati dunque supportano l'ipotesi che si tratti di un adattamento per maneggiare gli oggetti bagnati.
3. Un test genetico svela se usare o meno deodoranti
Uno studio dell'Università di Bristol (Uk), pubblicato sulla rivista 'Journal of Investigative Dermatology', ha scoperto che una persona su 50, ossia il 2%, presentano una rara versione di un particolare gene (ABCC11), che non fa produrre al corpo uno sgradevole odore ascellare, frutto della combinazione tra batteri e ghiandole sudoripare.
E' stato anche scoperto che questo gene ABCC11, grazie alla cui presenza non ci si deve preoccupare di emanare olezzi dall'ascella, è quasi del tutto assente nelle popolazioni dell'Asia orientale e della Corea. Secondo i dermatologi "solo il 25% delle persone che, grazie al particolare genotipo, non produce cattivi odori lo sa ed evita di usare profumi. Mentre il 75% continua ad utilizzare regolarmente deodoranti". Secondo i ricercatori poi c'è anche un 5% di chi, vittima del 'tanfo' ascellare, continua a non usare prodotti 'ad hoc'.
Il dottor Santiago Rodriguez (pricipale autore dello studio) ha spiegato: "Questi risultati hanno un potenziale per l'utilizzo della genetica nella scelta dei prodotti per l'igiene personale. Un semplice test genetico potrebbe rafforzare la consapevolezza di sé e risparmiare un po' sugli acquisti non necessari evitando soprattutto le esposizioni chimiche per chi non produce odori".
4. Le donne sembrano più invecchiate alle 15.30 del mercoledì !
Secondo una ricerca effettuara da una casa cosmetica, si è scoperto che 1 donna su 10 trova che il mercoledì sia il giorno più stressante della settimana, quello dove le energie sono al minimo. Mentre l’orario in cui arriva un collasso è a metà pomeriggio ed esattamente attorno alle 15.30, orario in cui si appare più vecchie di quanto non si sia realmente.
Quasi la metà delle donne ha ammesso di concedersi weekend alcolici e questa è un’altra ragione dell’aspetto non proprio fresco del mercoledì: «Processare le tossine in alcol e zucchero può affaticare il corpo. Possono volerci 72 ore perché gli effetti visibili dell’alcol si manifestino, perciò gli effetti del bere nel weekend possono non presentarsi fino a mercoledì pomeriggio».
Inoltre, la maggior parte delle donne intervistate ha ammesso che la notte precedente al lunedì è quella dove passa (a causa dello lo shock di tornare al lavoro), con relativa insonnia. Riprendersi da una notte di poco riposo richiede 48 ore. Tutto confluisce quindi in quel mercoledì pomeriggio in cui si invecchia in un colpo.
5. Nuova Zelanda: pubblicato elenco dei nomi proibiti
In Nuova Zelanda esiste una legge che vieta i nomi che potrebbero risultare offensivi per la persona che li porta e, quindi, non è la prima volta che viene proibito un nome strano da dare ad un bambino. Ma negli ultimi mesi erano arrivate diverse richieste da parte dei cittadini che avrebbero voluto chiamare i loro figli con il nome del diavolo in persona: Lucifero.
Nel 2012 ben 62 famiglie hanno dovuto trovare un’alternativa al nome Justice (Giustizia), ma nella speciale classifica dei «no» entrano anche Duca, Maestà, Messia. Nel maggio del 2013 la CNN ha riportato la notizia della pubblicazione da parte del registro delle nascite dell'elenco dei nomi proibiti. Il Registrar of Births, Deaths and Marriages stabilisce che i nomi per essere accettati non devono risultare offensivi, troppo lunghi o nemmeno essere legati ad un titolo ufficiale o rango.
Ecco un elenco di alcuni dei nomi proibiti in Nuova Zelanda ed il numero di volte che sono stati proposti dai genitori: Justice (62), King (31), Princess (28), Prince (27), Royal (25), Duke (10), Major (9), Bishop (9), Majesty (7), J (6), Lucifer (6), Knight (4), Lady (3), Judge (3), Royale (2), Messiah (2), T (2), I (2), Queen (2), II (2), Sir (2), III (2), Jr (2), E (2), V (2), Justus (2), Master (2), Constable (1), Queen Victoria (1), Regal (1), Emperor (1), Christ (1) 3rd (1), Roman numerals III (1), General (1), Saint (1), Lord (1), Eminence (1), Mafia No Fear (1), Majesti (1), 4real (1), Minister (1), Chief (1), President (1), Anal (1), Baron (1), Queen V (1).