Il virus Ebola è stato identificato per la prima volta nel 1976, in occasione di due differenti focolai epidemici, correlati da punto di vista temporale, in Sudan e nello Zaire; nel Sudan il caso indice riguardò un uomo (che lavorava in una fattoria) che poi divenne la fonte di un più grosso focolaio epidemico in un ospedale. Nello Zaire, invece, il focolaio, sin dall’inizio, interessò una struttura ospedaliera. Nel 1979, un secondo focolaio apparve nella stessa zona del Sudan e il primo caso era un soggetto che lavorava nella stessa fattoria in cui venne registrato il caso indice nel 1976.
Da allora, diversi focolai e epidemie sono stati registrati in Africa fino all’ultima nel 2005 in Congo, per un totale di circa 1.900 casi e 1.300 morti. E' difficile mettere in atto una prevenzione efficace non conoscendo sufficientemente l'origine dell'infezione. A causa del tipo di trasmissione (secrezioni di soggetti malati o contatto con oggetti contaminati) si rende necessario l’uso precauzionale di mezzi di protezione individuale quali mascherine, camici, guanti e un’adeguata sterilizzazione delle attrezzature, dell'isolamento degli ammalati e del trattamento delle deiezioni e dei rifiuti.
Il virus Ebola è solo l'ultimo esempio di un quadro che potrebbe essere apocalittico: nonostante i grandi progressi della scienza, i virus rimangono ancora un pericolo gravissimo per l'umanità. Essi sono come tante "bombe addormentate", pronte a risvegliarsi e ad esplodere con conseguenze catastrofiche. Ben conscia di questa situazione, l'OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità sta avviando concreti provvedimenti per tentare di controllarli, stanziando allo scopo cifre astronomiche, ma pur sempre insufficienti. Una quarantina di anni fa nessuno sospettava che un virus sconosciuto come l'HIV potesse provocare in così breve tempo oltre 45 milioni di vittime.
Oggi parleremo del tanto temuto e misterioso virus Ebola, un virus letale per l'uomo, offrendo tutti i dettagli sulla sua origine, sintomatologia, misure di prevenzione, diffusione e tanto altro. Buona lettura.
1. Il virus Ebola
Il 10 aprile 1995, un tecnico 36enne di laboratorio di nome Kimfumu, fu costretto a ricoverarsi per gravi disturbi intestinali all'Ospedale Generale di Kikwit, una cittadina nella provincia di Bandundu, situata nel sud dello Zaire, a 600 km dalla capitale Kinshasa. I medici hanno diagnosticato immediatamente una forma di tifo addominale. I chirurghi dovettero eseguire una laparotomia per escludere l'esistenza di una peritonite; dopo pochi giorni lo operarono di nuovo per emorragia addominale massiva. Lo sfortunato paziente morì 4 giorni dopo; all'autopsia, gli organi interni apparivano stranamente "liquefatti". Ciò voleva dire che la diagnosi non era stata quella giusta.
Lo stesso giorno della morte di Kimfumu ("paziente zero" di questa epidemia), alcuni medici, un'infermiera e una suora zairese dello stesso ospedale avvertirono gli stessi sintomi. La suora fu trasportata in un villaggio a 70 km, e morì dopo pochi giorni. Quando nello stesso ospedale morirono altre 2 suore-infermiere, questa volta italiane, gli abitanti di Kikwit e un gran numero di ricoverati se ne fuggirono terrorizzati nei villaggi vicini. Temendo che il contagio si potesse estendere alla capitale Kinshasa (4,5 milioni di abitanti), e di qui "al resto del mondo" tramite i mezzi di trasporto rapido, le autorità sanitarie dello Zaire istituirono immediatamente dei cordoni di sicurezza, tuttavia facilmente eludibili; e nello stesso tempo allertarono l'OMS - Organizzazione Mondiale della Sanità, che inviò tempestivamente sul luogo un'équipe di esperti in malattie tropicali.
Questi prelevarono campioni di sangue ai malati, e li inviarono per le analisi ai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) di Atlanta, in Georgia (USA). In breve i sospetti furono confermati: l'infezione era certamente di natura virale. Il virus responsabile era il tanto temuto "virus Ebola".
Il virus di Ebola (come anche quello di Marburg) appartiene alla famiglia dei Filoviridae. Il nome deriva dal latino "filo" = filiforme, ha infatti un insolita morfologia, si presenta come forme filamentose di lunghezza variabile fino a 14.000 nm. Si presume che i Filovirus siano endemici nei mammiferi di alcune zone dell’Africa e che inseguito si siano adattati all’uomo. Allo stato attuale la conoscenza sull’origine di questi agenti patogeni è ancora da chiarire.
Entrambi i virus possono presentarsi in forma rotondeggiante, a U, a 6 o come lunghissimi filamenti; sono RNA virus e sono sensibili al calore (inattivati a 60 ˚C per 30 min.) ai raggi ultravioletti, alle radiazioni gamma e ai comuni disinfettanti a base di ipocloriti e fenoli. Non si conosce l’ospite naturale dei Filovirus,gli studi su questi microrganismi sono limitati a causa delle difficoltà nella loro manipolazione.
2. Origine e habitat naturale
Il nome Ebola deriva dall'omonimo fiume che scorre nelle regioni settentrionali dello Zaire, un paese grande 7 volte l'Italia, con 42 milioni di abitanti. Ebola è un affluente del fiume Congo. Il virus fu scoperto dal ricercatore belga Jef van den Ende nel 1976, quando aveva fatto la sua comparsa in 45 villaggi situati in prossimità dell'Ebola. Si tratta di un virus delle dimensioni di 0,5 micron, identificabile con il microscopio elettronico o mediante metodi di immunofluorescenza indiretta, oltre che su base sierologica. Si trasmette da soggetto a soggetto attraverso le secrezioni ma anche il semplice respiro; ma probabilmente richiede contatti prolungati con il malato. Il rischio è più alto durante le fasi tardive della malattia, quando il paziente presenta vomito, diarrea o emorragie.
Sono stati identificati 4 ceppi di virus Ebola: 3 hanno causato la malattia negli uomini (Ebola-Zaire, Ebola-Sudan, Ebola-Costa d’Avorio), mentre il quarto ceppo (Ebola-Reston) ha causato la malattia in primati non umani, ma non in uomini. Allo stato attuale non si conosce il serbatoio naturale del virus, cioè l'ospite sul quale questo vive senza provocare la malattia. Escluse le scimmie (anche loro si ammalano), i sospetti si sono seriamente incentrati sui topi e sui pipistrelli. Certo è che anche l'Ebola, come l'HIV e altri virus emergenti, ha da sempre avuto il proprio habitat naturale ai bordi della foresta pluviale lungo l'interminabile autostrada che da Pointe Noire, sull'Atlantico, attraversa trasversalmente il continente nero sino a Mombasa, sull'Oceano Indiano.
Non per altro è chiamata "l'autostrada maledetta", perché culla di tutte le grandi pestilenze vecchie e nuove che le popolazioni locali continuano a considerare da secoli eventi ineluttabili al pari delle carestie, delle migrazioni di massa, della schiavitù. Su quella rotta camionisti, viaggiatori, braccianti occasionali hanno contratto l'HIV, propagandolo al resto del mondo; e su di essa sono in agguato, con l'Ebola, chissà quanti altri virus dei quali non sospettiamo nemmeno l'esistenza. L'ultima epidemia da Ebola del 1995 ha seriamente riproposto il drammatico problema della diffusione di virus sconosciuti o emergenti a tutto il mondo.
A tal proposito c'è da aggiungere anche che le condizioni igieniche dello Zaire sono ancora molto arretrate, e solo il 14% della popolazione dispone liberamente di acqua. Gli stessi ospedali rappresentano la fonte maggiore di infezione: l'ospedale Mama Yemo, il più grande di Kinshasa, ad esempio, non può, per indisponibilità di fondi, provvedere allo smaltimento dei cadaveri, i quali rimangono ammassati per mesi l'uno sull'altro. Non a caso, nell'Africa centrale 3 epidemie da virus Ebola sono partite proprio dagli ospedali. E non a caso, nell'epidemia del 1995, circa il 73% dei primi 70 malati, faceva parte del personale medico dell'ospedale.
3. Sintomatologia e misure di prevenzione
L'infezione da virus Ebola provoca emicrania, malessere, mialgia, febbre elevata, diarrea, dolore addominale, disturbi intestinali e renali, disidratazione e letargia. Compaiono inoltre dolore toracico da interessamento pleurico, tosse secca stizzosa e marcata faringite, eruzione maculopapulare. Frequenti sono melena (termine che si riferisce alla emissione di sangue digerito attraverso l'ano con le feci), sangue dal naso, dalle gengive e dalla vagina. Nelle donne gravide provoca aborto.
Poiché il virus "uccide" gli eritrociti (globuli rossi), questi occludono i capillari provocando necrosi degli organi colpiti ed emorragie dagli occhi, dal naso e dagli orecchi (per questa ragione la malattia viene localmente chiamata "la morte rossa"). Verso il quinto giorno compare vomito nero e la pelle si sfalda come foglie secche. La malattia risulta mortale nel 50-90% dei pazienti, e la morte sopravviene di solito tra il 10° e il 21° giorno, dopo che il paziente ha assunto un'espressione del tutto priva di mimica ("faccia da Ebola") e le sue condizione psichiche si sono progressivamente deteriorate.
Le misure di prevenzione nello Zaire nel 1995 furono immediate: si provvide a chiudere le scuole, ad isolare i malati, a distruggere il materiale infetto, a ridurre al minimo gli interventi chirurgici, a impedire il trasferimento di malati sospetti in altri luoghi, ad invitare la popolazione a non lavare (secondo l'uso) e a non abbracciare i morti prima di seppellirli, ad organizzare seminari per informare il personale sanitario sulle caratteristiche di contagio, di trasmissione e di sterilizzazione del virus Ebola.
Drastiche misure di controllo vennero adottate anche nei porti e negli aeroporti di tutto il mondo nel timore che l'epidemia potesse rapidamente diffondersi a grandi distanze. Il presidente della Commissione internazionale di coordinamento scientifico e tecnico della lotta contro l'epidemia di Ebola, affermò, nello stesso periodo, di non sapere se l'incubazione di questo ceppo virale fosse molto più rapida di quella del virus responsabile dell'epidemia del 1976.
Turisti, viaggiatori e lo stesso personale medico dell'OMS provenienti dalle zone sospette vennero sottoposti ad accurati controlli, e i casi sospetti sottoposti a quarantena. Proprio grazie a queste misure e ad una campagna intensiva ed efficace di educazione e informazione sanitaria nei grandi agglomerati urbani e nei piccoli villaggi del circondario, il pericolo di diffusione dell'epidemia dallo Zaire sembrò almeno per il momento scongiurato.
4. I diversi focolai del virus Ebola
Il primo caso in assoluto di infezione da virus Ebola era stato registrato il primo settembre 1976 in un maestro indigeno di Yambuku, nella giungla dello Zaire, il quale si contagiò forse mangiando la carne di una scimmia o di un'antilope che aveva acquistato in un mercatino sulla strada; oppure tramite il contatto con qualcuno dei pazienti ignari portatori del virus che facevano con lui la fila dinanzi ad un dispensario dei missionari di Yambuku, nel distretto di Bumba.
Com'era frequente a quel tempo, anche per l'insegnante fu fatta la diagnosi di malaria, per la quale gli fu praticata un'iniezione di clorochina. Ma nello Yambuku Hospital le suore belghe disponevano di 5 sole siringhe, che riciclavano varie volte durante il giorno senza nemmeno poterle sterilizzare. E la stessa siringa impiegata per il maestro fu usata per altre 5 persone, che così disseminarono a loro insaputa il virus in una cinquantina di villaggi circostanti. L'insegnante guarì, ma nel termine di una settimana molti pazienti ricoverati e parte del personale medico furono assaliti da una strana febbre. Ben presto i casi divennero 318 e i morti 288, con un'incidenza del 90%.
L'epidemia si arrestò dopo un paio di mesi, e venne etichettata come "febbre tifoide fulminante epidemica in popolazione non vaccinata". Ma quando poco dopo nella capitale Kinshasa si verificarono 3 nuovi casi di morte tra infermiere provenienti dall'originaria zona infetta, si cominciò seriamente a pensare ad un'infezione virale trasmessa con le siringhe infette. Furono immediatamente istituite drastiche misure si asepsi e di isolamento dei casi sospetti, in seguito alle quali l'infezione sembrò scomparire definitivamente.
Un'altra epidemia si verificò nel Sudan meridionale nel 1979, tuttavia ristretta a pochi casi e con pochi morti. Ma nello stesso 1979 nell'ospedale di Tandala, a 300 km dal distretto di Bumba, fu registrata un'altra epidemia, che colpì 33 persone, delle quali 22 morirono (66%). Da allora però, sino ai nostri giorni, non s'era più verificato alcun caso di questa infezione in Sudan, nello Zaire o nel resto dell'Africa, tranne uno "probabile" in Kenya nel 1983.
Trascorsero 6 anni, e il virus Ebola rifece la sua comparsa in un lotto di 100 scimmie Macaca cynomolgus originarie delle Filippine, che erano state trasportate a Reston, in Virginia, dapprima via mare sino ad Amsterdam, poi in aereo all'aeroporto J. F. Kennedy di New York a una quindicina di chilometri da Washington D.C., precisamente all'United States Medical Research Institute of Infection Diseases (USAMRIID), l'Istituto di ricerche sulle malattie infettive dell'Esercito degli USA (morirono 60 scimmie ma non si verificarono casi umani).
Nel 1995 l'interesse del mondo occidentale sulla nuova epidemia da virus Ebola fu suscitato soprattutto dalle notizie dei primi morti "non africani". La prima fu una suora italiana appartenente alla Congregazione delle Suore Poverelle: Floralba Rondi, di 71 anni, da 43 in Africa, caposala dell'Ospedale di Kikwit, morì dopo pochi giorni di malattia, il 25 aprile. Un'altra suora, Clara Angela Ghilardi, ostetrica di 64 anni, morì dopo un paio di settimane, il 9 maggio. Nel frattempo era morta anche una suora infermiera zairese e, insieme a lei, altre 2 suore "Poverelle", Danielangela Sarti di 48 anni e suor Dinarosa Belleri di 49 anni. Furono proprio le Poverelle di Kinshasa a scattare l'allarme internazionale tramite l'Organizzazione dei Medici senza Frontiere, l'ambasciata italiana e l'Organizzazione Mondiale della Sanità.
5. Area di contagio
Il best-deller del giornalista americano Richard Preston "The hot zone (Area di contagio)", al quale si ispira il film "Virus letale" con Dustin Hoffman, si ricollega proprio al fatto realmente accaduto, dell'arrivo nei laboratori di Person in Virginia (USA), di un carico di scimmie importate dalle Filippine e destinate alla ricerca farmaceutica. I veterinari rimasero sconcertati dalla morte dei primi esemplari, i cui organi all'autopsia apparivano "come liquefatti".
L'équipe tempestivamente inviata da Washington comprese subito la gravità della situazione: il virus che aveva infettato le scimmie poteva rapidamente estendersi a tutti gli Stati Uniti e sterminare in breve l'intera umanità. Occorreva agire al più presto e in gran segreto per non seminare il panico. In seguito alle drammatiche notizie provenienti dallo Zaire, in tutto il mondo si è presa bruscamente coscienza dell'immane incombente pericolo che i virus rappresentano per l'intera umanità; e ci si è resi conto che contro di essi (nonostante ogni progresso) si può far poco.
Mentre per la maggior parte degli abitanti dello Zaire e dell'Uganda l'epidemia da virus Ebola viene ancora considerata "un mostro uscito dalla foresta per vendicarsi dell'uomo", nel resto del mondo appare ormai chiaro che il virus Ebola è, purtroppo, solo uno dei tanti virus pronti a sterminare l'Umanità. E', ormai, diffusa la sensazione che, venuto in gran parte a cessare il pericolo atomico, una nuova micidiale arma - il virus - minaccia la stessa sopravvivenza umana.
Nel 1995, dopo aver mietuto circa 150 vittime, l'infezione Ebola raggiunse rapidamente la "quarta generazione" di malati. La prima era stata delle persone contagiate direttamente dagli animali vettori del virus o che lavoravano con esso (tecnici di laboratorio), la seconda di coloro (per lo più medici e infermieri) che si erano infettati assistendo i malati; della terza fecero parte coloro infettatisi tramite individui in qualche modo venuti a contatto con malati, e della quarta coloro che si trovavano in fase di incubazione, destinati ad ammalarsi e ad infettare altri individui.
Del resto, diversamente dall'HIV (che può rimanere asintomatico per alcuni anni ed essere, quindi, estesamente disseminato), il virus Ebola uccide in pochi giorni il suo ospite, e non ha, quindi, molto tempo per diffondersi. E' stato detto che, mentre il virus dell'AIDS è come il fuoco che cova sotto la cenere, l'Ebola è la fiammata di un fuoco di paglia. Dopo la sortita fatta forse per testimoniare la propria presenza all'umanità, il virus Ebola ha voluto ritirarsi nel cuore della giungla, per riprendere a vivere tranquillamente in simbiosi con qualche tollerante ospite. Chissà se in attesa di mutare, per assumere caratteristiche nuove e impreviste e aggredire senza più pietà il genere umano.