I nostri antenati primitivi che abitavano la Terra 100.000 anni fa, comunicavano attraverso gesti che gradualmente hanno ceduto il posto alla lingua parlata. Man mano che la società diventava più complessa, la memoria collettiva del gruppo non bastava più per tramandare oralmente tutte le cose importanti. Era necessario avere una memoria al di fuori dell’oralità. "In questo modo la crescita della ‘comunicazione’ portò alle ‘comunicazioni’, allo sviluppo dei media per conservare e riutilizzare il crescente volume di informazioni" (David Crowley, Paul Heyer nel libro "La storia della comunicazione").
La scrittura è certamente la conquista più importante che l'uomo abbia fatto per trasmettere alle generazioni successive le conoscenze e l'esperienza acquisita nel tempo. Senza la decifrazione dei testi antichi ritrovati, oggi il patrimonio storico tramandatoci, sarebbe molto più povero, e l'umanità avrebbe una cognizione molto limitata delle civiltà del passato. Sparse qua e là sulla Terra, esistono ancora scritture capaci di opporsi a ogni tentativo di lettura. Nonostante gli sforzi degli studiosi che, in alcuni casi, cercano da generazioni di svelarne la chiave.
Oggi le scritture antiche ancora da decifrare si possono dividere in tre categorie: le scritture il cui alfabeto è stato decifrato ma non si conosce la lingua; le scritture il cui alfabeto è incomprensibile ma di cui si conosce la lingua; le scritture con alfabeto e linguaggio sconosciuti. Per interpretare una scrittura del passato lo studioso deve poter contare sempre su due requisiti minimi: un'abbondanza di testi abbastanza diversificati da permettere una visione d'insieme della lingua e reperti archeologi che aiutino a interpretare i linguaggi sconosciuti. Quindi, l'esito delle decifrazione dipende non solamente dal materiale di cui si dispone ma anche dalle possibilità di interpretazione che la scrittura scomparsa fornisce.
L'ideale sarebbe poter lavorare su un'iscrizione "plurilingue". Confrontando, cioè, il medesimo testo in lingue diverse, con infinita pazienza si è potuti giungere alla decifrazione. Gli studiosi non avrebbero mai decifrato igeroglifici egiziani senza l'aiuto della Stele di Rosetta, la lastra in granito scuro scoperta nel 1822 in Egitto. Su questo reperto archeologico è incisa un’iscrizione in tre differenti grafie: geroglifico, demotico e greco antico. Attraverso la comparazione con il greco antico, idioma ben conosciuto dagli studiosi, questi riuscirono a comprendere le regole e i significati dei geroglifici egiziani.
Benché la maggior parte delle scritture del passato siano state decifrate dagli esperti di grafia, quelli di semantica, dagli archeologi e dagli storici , esistono ancora oggi grafie oscure che restano sconosciute e intraducibili all'umanità.
Oggi parleremo di 5 antiche scritture, disseminate in varie parti del globo, i cui testi rimangono misteriosamente indecifrabili e muti, proibendoci di conoscere quelle caratteristiche essenziali dei popoli che li hanno elaborati e che solo future scoperte potranno svelare i loro segreti. Scopriamole insieme.
1. Etrusco
SEGNI DECIFRATI
LINGUAGGIO SONOSCIUTO
Anche l'Italia può vantare un scrittura scomparsa in grado di resistere ad ogni forma di decifrazione. Gli Etruschi, come si sa, costituiscono per l'opinione corrente un mistero. Fra tutti i popoli dell'Italia antica essi soli, o quasi, sono considerati, in maniera astratta e fantasiosa, poco meno che "marziani" vissuti fuori dal tempo e dallo spazio e scomparsi lasciando dietro di sé enigmatiche testimonianze di una civiltà senza possibili confronti. Quello della lingua Etrusca costituisce infatti l' "enigma" per eccellenza e, al tempo stesso, l'aspetto più vivo, popolare e, diremmo, avvincente di tutto il "mistero Etrusco".
Dell'antico popolo etrusco, stanziato su un territorio riconducibile all'odierna Toscana e a parte dell'Umbria, siamo abituati a vedere imponenti vestigia, incredibili necropoli e di apprezzare la forza civilizzatrice che trasmise a Roma, ma, e ciò è terribilmente frustrante, non siamo in grado di comprendere le migliaia di iscrizioni che ci ha lasciato. Gli Etruschi adottarono l'alfabeto greco, trasmesso probabilmente dai primi coloni provenienti dall'Egeo che si insediarono in Italia a partire dall'VIII secolo a.C., e lo rimodellarono secondo le loro necessità, adottando alcune varianti, come ad esempio il verso della scrittura da destra a sinistra.
L'Etrusco non ha, quindi, nessun bisogno di essere "decifrato", se per "decifrazione" s'intende "interpretare una scrittura sconosciuta". Tutto questo, semplicemente, perché la grafia Etrusca è tutt'altro che sconosciuta; non è fatta di geroglifici o altri pittogrammi, non è la lineare A o B (quest'ultima fu sì autenticamente "decifrata"). Si tratta, invece, nient'altro che di un banalissimo alfabeto greco, perciò leggibile senza alcuna difficoltà. Il vero ostacolo, che ha fatto impazzire generazioni di studiosi, è che non abbiamo la minima idea della lingua degli Etruschi. Possiamo "leggere" le loro iscrizioni, ma non siamo in grado di capire cosa dicano.
Da oltre un secolo l'etrusco è stato confrontato con tutte le lingue europee conosciute, compreso il basco, senza portare ad alcun risultato tangibile. Siamo ormai certi che non appartenga alla famiglia delle lingue indoeuropee e per questo viene definito un linguaggio isolato, una vera e propria lingua morta. Solo in alcuni casi è stato possibile proporre la lettura di alcuni termini geografici o divini deducendoli dal contesto in cui sono stati trovati o per assonanza con parole a noi familiari, come Ruma (Roma), Clevsina (Chiusi), Fufluns (Dioniso).
2. Proto-elamita ed Elamita lineare
SEGNI PARZIALMENTE DECIFRATI
LINGUA SCONOSCIUTA
Il vasto territorio che oggi è chiamato Iran, noto storicamente anche come Persia, deve il proprio nome alle genti iraniche la cui presenza è attestata nell’area dalle fonti testuali a partire dal I millennio a.C. I persiani tuttavia non occuparono un vuoto, ma si innestarono su una civiltà complessa, socialmente stratificata e dotata di un sistema scrittorio autonomo già alla fine del IV millennio a.C., ben connotata rispetto alle culture mesopotamiche. Elam è l’“etichetta” con cui si fa convenzionalmente riferimento a questa civiltà fino all’emergere della dinastia achemenide.
Il proto-elamita è il più antico sistema di scrittura non decifrato. Fu utilizzato per 2 secoli, dal 3050 a.C., nell'Elam, la parte sud-occidentale dell'attuale Iran, non lontano da Sumer, località a cui si fa risalire il più antico sistema di scrittura (fine del IV millennio a.C.), decifrato nel 1857. Per alcuni il contatto con il cuneiforme sumerico, avrebbe permesso agli elamiti di elaborare un sistema di scrittura autonomo. Dagli scavi sono emerse tavolette che hanno permesso di identificare un migliaio di segni, resistenti però a qualsiasi cultura. Sappiamo poco delle genti che lo crearono e della loro lingua. Potrebbe trattarsi di un idioma della famiglia elamo-dravidica, ancora usato nelle regioni sud-orientali dell'India e dello Sri Lanka, ma al momento non sono stati fatti progressi.
Dalle tavolette si è compreso che l'antico popolo medio-orientale viveva in una società agricola nella quale a comandare era una famiglia. e che i potenti avevano a disposizione per la loro alimentazione yogurt, formaggio e miele, ma anche ovini, capre e bovini. Mentre ai lavoratori veniva concessa una dieta a base di orzo e di una specie di birra allungata con acqua. Jacob Dahl, direttore del gruppo di ricerca Ancient World Research Cluster, ha affermato di essere prossimo alla decifrazione, grazie ad un sistema di digitalizzazione dei segni il cui acronimo RTI (Reflectance Transformation Imaging System) consentirebbe una rilettura dettagliatissima di quegli ambigui segni.
La più importante collezione al mondo di tavolette risalenti al proto-elamitico è custodita a Parigi, al Louvre, e il metodo utilizzato dal team di Oxford consiste nell’inserimento delle tavolette di argilla in un sistema RTI capace di usare 76 luci fotografiche separate per catturare ogni solco e ogni angolo delle preziose tavole; ma per ora non si vedono risultati.
Secoli più tardi lo stesso popolo sviluppò l'elamita lineare, che sembrerebbe derivare dal proto-elamita, e il cui uso è documentato intorno al 2250 a.C. Se ne conoscono circa 80 segni, usati in colonne scritte in verticale, dall'alto in basso e da sinistra a destra. Ma il contenuto resta un mistero. Sebbene infatti non sia ancora stato possibile arrivare a una traduzione integrale delle tavolette, è stato in qualche misura realizzabile interpretarne il senso.
3. Rongo-rongo
SEGNI NON DECIFRATI
RICOSTRUZIONE IPOTETICA DELLA LINGUA
Il mistero che aleggia intorno all'Isola di Pasqua e alle sue enigmatiche teste di pietra, i moai, sembra non risparmiare neanche la scrittura. l’Isola di Pasqua è l’unica nell’area del Sud Pacifico ad aver sviluppato nella propria storia una scrittura propria, chiamata Rongo-rongo. E' molto probabile che la lingua che esprime non si discosti dal rapanui, il moderno linguaggio dell'isola, ma l'assoluta complessità e il mistero dei suoi segni la rendono impenetrabile.
In tutto il mondo esistono solamente 26 tavolette scritte in Rongo-rongo, delle quali solo una minima parte poté essere tradotta. Come è facile presupporre, la scrittura Rongo-rongo non fu mai decifrata completamente e per molti decenni rimase incompresa. Fu quindi solo grazie agli studi condotti dal tedesco Thomas Barthel e alla scoperta di una tavoletta che riportava un calendario lunare (oggi conservata nell’archivio dei SS Cuori a Grottaferrata nei pressi di Roma), la cosiddetta tavoletta Mamari, che si poté parzialmente decifrare alcuni simboli.
Leggende locali, riportate da vari esploratori, raccontano che la scrittura sia arrivata via mare dalla Polinesia intorno al 300 d.C. circa. Un altro racconto la farebbe discendere dalla scrittura della Valle dell'Indo, solo perché alcuni segni si assomigliano. Altri ipotizzano che sia nata solo dopo contatti con gli europei (XVIII secolo). Il verso di scrittura è inusuale: si inizia nell'angolo in basso a sinistra e si legge tutta la riga; dopodiché si ruota la tavoletta di 180° e si incomincia a leggere la riga successiva, sempre da sinistra a destra. Quest'operazione va ripetuta ogni riga. I linguisti la chiamano lettura bustrofedica inversa.
Il Rongo-rongo non è mai stato compreso, anche se alcuni segni sono stati decifrati negli Anni '50 come glifi corrispondenti a immagini di animali.
4. Disco di Festo
SEGNI SCONOSCIUTI
LINGUAGGIO SCONOSCIUTO
L'isola di Creta custodisce un oggetto molto enigmatico conservato a Heraklion, capoluogo dell'isola mediterranea. Si tratta del disco di Festo, un disco di argilla scoperto nel 1908 dall'archeologo italiano Luigi Pernier durante gli scavi all'estremità nord-est del palazzo di Festòs. L'oggetto, di circa 15 centimetri di diametro, da allora è rimasto un rompicapo per la comunità scientifica, incapace di trovare una soluzione ai misteriosi geroglifici che lo ricoprono (241 su un lato e 242 sull'altro).
È scritto, con andamento spiraliforme, su entrambe le facce e per ottenere l'iscrizione sono stati utilizzati 45 punzoni che corrispondono ai 45 segni differenti presenti sul disco. La scrittura sembra di tipo sillabico e la sua origine è presumibilmente egea. La natura del testo è incerta, e problematica si è rivelata anche la sua decifrazione. Si tratta di un caso unico. Nulla di simile è mai stato ritrovato, e per questo è impossibile qualsiasi raffronto.
Ciò che sconcerta gli studiosi è che i suoi autori non si presero la briga di scrivere o incidere i segni, ma utilizzarono veri e propri stampi per imprimere sulla superficie del disco quando l'argilla era ancora fresca. Forse si trattava di un sistema di stampa primordiale? Secondo la maggior parte degli studiosi si tratterebbe di una sorta di sillabario, e non di un testo di senso compiuto. Il Disco di Festo ha sfidato numerosi traduttori, e anche se molti tentativi sono stati fatti per decifrarlo non si è riusciti ad arrivare ad una conclusione.
Le soluzioni proposte comprendono: indicazioni su un gioco da tavolo, un grafico astronomico, una preghiera, una leggenda, e altre cose, a volte davvero bizzarre. Ogni tentativo di decifrazione è finora naufragato di fronte all'inaccessibilità dei segni. Di conseguenza, anche la lingua (se di lingua si tratta) resta un'enigma. Il confronto con gli altri sistemi di scrittura dell'isola non ha dato risultati: sono totalmente diversi. Ciò ha convinto alcuni studiosi che possa trattare di un oggetto importato, forse, dall'Anatolia: uno dei segni sembra, infatti, trovarsi simile nelle tombe rupestri della Lidia (Turchia).
Se così fosse, la lingua del disco sarebbe anatolica. Forse un giorno un altro documento verrà alla luce e ci darà chiarezza sul contenuto della lastra di creta, o qualcuno scoprirà uno o più dei timbri utilizzati per creare il disco di Festo. Ma fino a quel momento, il mistero del Disco di Festo rimarrà solo un altro enigma irrisolto.
5. Geroglifico Meroitico
SEGNI DECIFRATI
LINGUA SCONOSCIUTA
A 200km da Khartoum il deserto settentrionale del Sudan ospita un sito archeologico in grado di rivaleggiare con le ben più note piramidi d'Egitto: a Meroe, tra le dune di sabbia, sorgono i resti di un'antica civiltà vissuta più di 2000 anni fa, quella dei Nubiani. Qui risiedeva la sua capitale, Kush, anche detta Nubia, all'incrocio tra il Nilo Bianco, il Nilo Blu e il fiume Atbara. È infatti uno dei primi regni della Valle del Nilo, dominato inizialmente dall'Egitto e poi a sua volta conquistatore del regno faraonico nell'VIII secolo a.C. all'apice della propria potenza commerciale e militare,dove impose il comando per circa un secolo prima di essere respinto indietro verso quello che è oggi il Sudan.
Nel 712 a.C. i re Kush conquistarono l'Egitto dando vita alla XXV dinastia, passata alla storia come il regno dei "faraoni neri". I sovrani kushiti provenivano dalle terre a sud dell'Egitto, territori che corrispondono più o meno all'odierno Sudan, e la capitale era Meroe. La loro egemonia sul Paese del Nilo ebbe breve durata, circa 60 anni: nel 656 a.C., sconfitti dagli Assiri, ripiegarono nei loro confini originali. Di questo misterioso popolo sono rimaste testimonianze archeologiche e iscrizioni.
Se il un primo tempo i sovrani meroitici adottarono come sistema di scrittura il geroglifico egizio, a partire dal III secolo a.C. svilupparono una scrittura nuova, caratterizzata da 2 grafie, una corsiva per il popolo e una geroglifica per le iscrizioni regali. Il valore fonetico dei 23 segni che la compongono, simili a un moderno sistema alfabetico, fu stabilito nel 1911 da Francis Griffith, egittologo dell'Università di Oxford. Da allora non è stato fatto alcun progresso.
Il meroitico apparteneva a un gruppo di idiomi africani scomparsi e non può essere comparato con nessuna lingua attuale. La scrittura constava di 23 simboli; i testi si dividevano in frammenti (stiches), divisi da due o tre punti, e la maggior parte di essi era di tipo funerario. Le iscrizioni dei templi venivano realizzate con geroglifici meroitici, per gli altri documenti di ricorreva al corsivo.
Il meroitico non può essere compreso perché non abbiamo alcuna idea della lingua: di qualche dozzina di parole si è capito il significato, come tenke (nord) o ato (acqua), ma nulla di più. La maggior parte delle iscrizioni
resta, dunque, priva di senso. Così la storia di questo popolo, che forse le iscrizioni descrivono, resta un mistero. Griffith era certo che sarebbe stata decifrata ma, nonostante decenni di comparazioni con moderni linguaggi e dialetti africani, non è stato possibile.