La NASA, acronimo di National Aeronautics and Space Administration (in italiano Ente Nazionale per le attività Spaziali e Aeronautiche), è l'agenzia governativa civile responsabile del programma spaziale degli Stati Uniti d'America e della ricerca aerospaziale.
Essa prese vita nel 1958 (assorbendo le strutture della NACA – National Advisory Committee on Aeronautics) e la sua nascita fu legata all’esigenza di affrontare la sfida per la conquista dello spazio (“corsa allo spazio”) che contrapponeva le due superpotenze mondiali durante la guerra fredda, Stati Uniti e Unione Sovietica.
Parlando di tecnologia spaziale avanzata ai giorni nostri, è facile pensare che non sia cambiato molto dall'epoca degli sbarchi sulla Luna, più di 40 anni fa. Ma se vogliamo farci un'idea di come potrà evolversi l'esplorazione dello Spazio nei decenni a venire, basta dare un'occhiata al semisconosciuto programma Innovative Advanced Concepts della NASA (NIAC) mirato a studiare il cosmo e ad esplorarlo e che si occupa di finanziare studi innovativi che secondo l'agenzia spaziale statunitense potrebbero aprire nuove vie per il viaggi del Sistema Solare.
Questo progetto ha finanziato senza limiti al tipo di idee prese in considerazione, progetti che ritiene possano portare a importanti progressi tecnologici (ha appena concesso finanziamenti per il valore di 100.000 dollari ciascuno a diversi nuovi progetti di ricerca). Quelli attualmente finanziati rientrano in molti campi, dalle frontiere della robotica alle tecnologie più evolute per mandare esseri umani su Marte.
Oggi vi presentiamo 5 progetti pionieristici, ritenuti folli a prima vista, ma che hanno ricevuto di recente un finanziamento NIAC e che potranno cambiare completamente la nostra idea di esplorazione spaziale.
1. Ibernazione degli astronauti
Il concetto di porre gli astronauti in ibernazione durante una lunga missione nello Spazio interplanetario è presente da sempre nella fantascienza. Da "2001: Odissea nello Spazio" ad "Avatar", complessi apparati di sostentamento sono diventati un sinonimo visivo per indicare la progredita tecnologia spaziale del futuro. Oggi più che mai, c'è chi sta lavorando a fare della fantascienza degli astronauti in letargo una realtà.
La SpaceWorks Engineering è una società statunitense che ha ricevuto fondi per studiare questa tecnologia innovativa chiamata "tecnologia del sonno profondo" oppure "terapia dell'ipotermia" e che si usa già per trattare alcuni traumi. Indurre questo stato di torpore richiede una riduzione della temperatura corporea di fino a 6°C e l'assunzione di blandi sedativi ed è un metodo molto diverso da quello di "congelare" gli astronauti che si vede spesso sul grande schermo.
L'obiettivo di tale progetto non sarebbe quello di cercare la realizzazione della "crioconservazione", mediante la cessazione di ogni attività molecolare, bensì quello di mantenere l'equipaggio in uno stato inattivo, all'interno di uno spazio ristretto, in certe fasi della missione. Per tenere in vita gli astronauti, il gruppo di ricerca punta a usare una tecnica già usata in medicina. Verranno nutriti e idratati per via endovenosa usando una soluzione acquosa detta "nutrimento parenterale totale" (TPN). Questo modo di fornire sostentamento agli esseri umani si usa abitualmente anche per periodi estesi per chi soffre di cancro.
Il fatto di far dormire l'equipaggio nel corso di un lungo viaggio nello Spazio offre diversi vantaggi. Innanzitutto così facendo si riduce significativamente la massa e il volume delle zone abitabili durante il volo, il che in definitiva riduce l'intera massa da lanciare.
L'habitat stesso sarà un piccolissimo modulo contenente da 4 a 6 membri dell'equipaggio, ognuno nel proprio loculo e non avrà nulla da vedere con il tipico ambiente per un equipaggio attivo, che deve necessariamente avere spazio per la preparazione e la consumazione dei pasti, per la ginnastica, gli esperimenti scientifici, il gabinetto, il sonno e lo svago.
Secondo il presidente della SpaceWorks Engineering, "questo sarà il modo preferito per viaggiare. Immaginiamo ci addormentarci e svegliarci 6 mesi dopo su Marte freschi e riposati". C'è però molto lavoro da fare prima che questa tecnologia sia pronta per lo Spazio.
2. Sottomarini robot
Europa, definita dal planetologo André Brahic nel suo libro "Figli del tempo e delle stelle" "la più bella sfera da biliardo osservata nell'Universo", è un satellite del pianeta Giove e nascosto sotto la sua superficie si trova uno spesso strato di ghiaccio che ricopre un oceano potenzialmente abitabile e che entusiasma gli astrobiologi. Questo pianeta, blandamente riscaldato dal Sole ormai molto lontano, fa registrare una temperatura superficiale di -270 °F e appare ovunque solcato da strisce paragonabili ad autostrade lunghissime che si incrociano molte volte, riconosciute come crepe aperte nel mantello ghiacciato.
Un progetto della NIAC, condotto da Leigh McCue della Virginia Tech University ha chiarito cosa fare per esplorarlo. Il passato di questa luna di Giove sembra essere stato molto simile a quello della Terra, ricoperta com'era da un oceano e da una atmosfera molto probabilmente composta dagli stessi elementi presenti nelle fasi iniziali della vita del nostro pianeta.
L'idea della squadra implica l'invio di 3 lander (un tipo di navicella spaziale che effettua la discesa e sosta sulla superficie di un corpo celeste)sulla superficie di Europa. Ognuno sarà dotato di un "cryobot" (da poco messo a punto dalla NASA stessa e già testato nell'Artico) che si farà strada attraverso la crosta ghiacciata, fondendola fino a immergersi nell'oceano sotto la superficie.
A quel punto i 3 "cryobot" libereranno degli "alianti marini" (sottomarini) che nuoteranno nell'oceano, studiandolo in dettaglio. Ciò che si spera è di trovare nascondende sotto la sua crosta ghiacciata alla vista dell'odiato Sole una o più forme di vita primitiva.
"L'oceano di Europa ci offre la miglior possibilità di trovare qualche forma di vita extraterrestre all'interno del nostro Sistema Solare" dice McCue. "E' questo per me, l'aspetto più affascinante: l'esplorazione sotto i ghiacci di Europa potrebbe cambiare il nostro modo di comprendere la vita".
3. Telescopi mongolfiera
Inviare telescopi in orbita può essere un modo molto costoso per studiare l'Universo. Uno dei rimedi trovati dagli astronomi consiste nell'appendere i telescopi a enormi palloni pieni di elio per poi lasciarli andare alla deriva ad alta quota. Questi osservatori fluttuanti possono poi osservare il Cosmo quasi del tutto liberi dall'ostacolo dei gas della nostra atmosfera, che assorbono molto lunghezze d'onda delle radiazioni del Cielo di interesse per gli astronomi.
Il Large Balloon Reflector (LBR) porta ancora oltre questa idea. Sarà composto da due palloni: il primo pallone, di sostegno, avrà un diametro di 100 metri e porterà il telescopio fino a circa 39 chilometri di quota. Fissato all'interno di questo pallone ce ne sarà un secondo, più piccolo, di 20 metri di diametro. Una sezione ampia di 10 metri di quest'ultimo pallone sarà metallizzata, creando così una superficie a specchio che raccoglierà la luce delle stelle.
La LBR studierà i corpi celesti a lunghezze d'onda tra i 100 e i 300 micron, la cosiddetta "radiazione terahertz". L'aspetto fondamentale è che queste radiazioni passano quasi intatte attraverso il pallone, ma non attraverso "lo specchio". Il direttore del progetto, Christopher Walker dell'Università dell'Arizona, ha riferito che "questa lunghezza d'onda ci dà indizi sulle nostre origini cosmiche, dal Big Bang alla Terra stessa".
Il più grande telescopio terahertz/infrarosso lontano è stato l'Osservatorio spaziale Herschel. L'LBR sarà 3 volte più grande e avrà un'area di raccolta maggiore di circa un ordine di grandezza, il che gli permetterà di sondare queste importanti lunghezze d'onda più a fondo che mai. La squadra dell'LBR spera, infine, di usare questo enorme telescopio volante per studiare oggetti come le stelle e i pianeti in corso di formazione.
4. Rover a vela verso Venere
Venere è il pianeta più vicino alla Terra, ma sappiamo molto poco su di esso. La Terra e Venere sono entrambi pianeti rocciosi di dimensioni e gravità simili, ma le similitudini finiscono qui. Il pianeta Venere ha una reputazione veramente temibile, sicuramente meritata. Le sue piogge di acido solforico, la pressione atmosferica estrema e una temperatura alla superficie di circa 460°C ne fanno un luogo davvero ostile.
Anzi, è l'ultimo posto in cui ci aspetteremmo che i planetologi vorrebbero inviare un rover (un veicolo costruito dall'uomo adibito al trasporto su un corpo celeste), eppure ne hanno intenzione, e lo vogliono persino dotare di una vela. Sì, una vela. All'interno del programma NIAC, gli scienziati della NASA stanno studiando i problemi pratici dell'invio di un "rover a vela" sul secondo pianeta del Sole.
Pensare a come alimentare il rover sulla superficie di Venere è ancora prematuro. I famosi sette minuti di terrore nel Jet Propulsion Laboratory durante l’atterraggio di Curiosity su Marte hanno mostrato quanto difficile possa essere la procedura di atterraggio. Secondo i ricercatori, il rover verrebbe sospinto sulle pianure laviche relativamente pianeggianti di Venere da una lieve brezza. Se tutto va bene, dicono gli scienziati, il rover può resistere più o meno per un mese.
5. Costruttori robotici in orbita
Da tempo la fantascienza ci mostra immani strutture sospese in orbita e astronavi con gigantesche vele solari che fluttuano per il Sistema Solare. Il lancio di strutture così enormi ha, però, costi astronomici e buona parte del lavoro di costruzione dev'essere svolta dagli astronauti. Un modo per superare il problema, studiato attualmente da Robert Hoyt e dai suoi collaboratori della Tethers Unlimited, consiste nel lanciare qualcosa in grado di costruirsi da solo una volta arrivati in orbita: chiamano lo loro idea SpiderFab.
"Stiamo sviluppando un procedimento in cui possiamo lanciare i materiali sotto forma di bobina di filo e nastro. Questi materiali, poi si elaborano da soli in modo da creare la struttura desiderata", spiega Hoyt. Mettendo insieme tecniche avanzate di robotica e di stampa 3D, la squadra spera di cominciare ad allestire semplici strutture orbitanti prima di procedere a costruire componenti per la prossima generazione di veicoli spaziali.
"Le missioni con equipaggio per Marte o altri corpi celesti avranno bisogno di grandi strutture per sostenere pannelli solari, scudi antiradiazioni e altri componenti critici", prosegue Hoyt. "Se si fa in modo che il materiale da lanciare abbia una forma compatta, come una bobina di fibra o un serbatoio di polimero, potremo usare missili più piccoli e meno costosi".