Martin Lutero sosteneva "Vinum est donatio Dei, cervetia traditio umana" ovvero, il vino è un dono di Dio, mentre la birra è una tradizione umana.
Suggestioni mistico-religiose a parte, e mettendo laicamente a confronto le 2 bevande, si scopre però che i quarti di nobiltà (terrena) della birra non hanno nulla da invidiare a quelli del vino. Sia l'una che l'altro affondano, infatti, le proprie saporese radici negli albori della civiltà umana, e secondo numerose quanto autorevoli fonti, andrebbe riconosciuta alla spumeggiante "bionda" un'anzianità di servizio addirittura superiore a quella del vino.
Lo sapevate che furono i Sumeri, 40 secoli prima di Cristo, a stabilire le procedure di produzione della bionda bevanda e a favorire la diffusione? E che i locali per la mescita e la vendita furono inventati solo durante l'impero romano?
Oppure che la parola birra deriva dal verbo latino "bidere" (bere) mentre la radice del termine spagnolo che indica questa bevanda (cerveza) è trata da Ceres, la dea romana dell'agricoltura (successivamente identificata con la dea greca Demetra)?
Oppure ancora che il pub più grande del mondo è il "The Clifden" dell'aeroporto parigino di Orly (oltre 700 metri quadrati), mentre il più piccolo è il "Dawson's Lounge" di Dublino, che può ospitare contemporaneamente non più di 8 clienti?
Oggi ripercorreremo il lungo ed interessante cammino di questa nobile e antica bevanda, dai primi intrugli alle raffinate varianti di oggi.
1. La scoperta dovuta al caso e i Sumeri
Le origini della birra risalirebbero addirittura a 13 mila anni fa, simultaneamente alla lenta transizione dei nostri antenati dal nomadismo alla "territorialità": scegliendo un pezzo di terreno su cui stabilirsi e dal quale ricavare le fonti primarie della sua alimentazione, prevalentemente attraverso la coltivazione dei cereali e del frumento, l'uomo sarebbe incappato in uno di quei fatali e provvidi "accidenti" che sono all'origine di tante delle meraviglie di cui in seguito avrebbe goduto.
Nel caso della birra, l'accennato "accidente" sarebbe stato il fortuito inumidimento (dovuto probabilmente alla pioggia) di un certo quantitativo di grano macinato, il quale - fermentando - si sarebbe trasformato in un impasto molliccio dal brusco ma accattivante sapore e dagli effetti sorprendentemente inebrianti.
Quanto al vino, avrebbe avuto anch'esso origini accidentali (fermentazione di uva dimenticata in qualche contenitore), ma ciò avvenne qualche migliaio di anni dopo, fra il 7 mila e l'8 mila avanti Cristo. E avvenne nel Caucaso, contrariamente alla birra, che ha avuto invece per culla la Mezzaluna Fertile, ovvero quella porzione di territorio mediorientale bagnato dalle acque del Tigri, dell'Eufrate, del Giordano dello stesso Nilo in cui si sviluppò la civiltà agricola, creando i presupposti per lo sviluppo dei grandi popoli dell'antichità.
I primi furono i Sumeri, che perfezionarono le procedure di produzione della birra e ne promossero la diffusione fino a farne, all'incirca 6 mila anni fa, una bevanda tanto apprezzata da essere ritenuta degna di venire offerta in dono agli dei.
Giunsero al punto, i Sumeri, d'inventarsi una "dea della birra", di nome Ninkasi, e di dedicarle un inno che consiste, in realtà, nella puntigliosa elencazione delle procedure che si dovevano seguire per ottenere una birra degna di un palato divino come il suo.
In pratica, l'inno a Ninkasi è la prima ricetta per produrre la birra che si conosca.
2. I Babilonesi e gli Egiziani
Successivamente, la "sovranità" sumerica sulla birra passò nelle mani dei Babilonesi, attorno al 2.000 a.C., allorché questo nuovo popolo impose il suo predominio sulla Mesopotamia. Andò male per i Sumeri, certo, ma non per la loro bevanda "nazionale", che anzi trovò nei loro sopraffattori i più efficaci e organizzati promotori che essa abbia avuto nell'antichità.
Anzitutto regolamentarono con maggiore accuratezza le sue procedure di fabbricazione (individuando 20 distinte varietà di birra, 8 di puro orzo e 4 derivate da un mix di cereali vari), e in secondo luogo ne disciplinarono con tale puntigliosa severità qualità e criteri di commercializzazione da fissare (non "a parole", ma scritte nero su bianco nello stesso celebre codice di Hammurabi) pene terribili, quali l'annegamento, per chi osasse "sofisticarla", magari semplicemente annacquandola, o la vendesse in locali privi della necessaria autorizzazione.
Molto diversa da quella che conosciamo noi oggi (torbida e non filtrata, veniva bevuta con l'aiuto di una cannuccia per evitare che i suoi amari e vischiosi residui s'incrostassero sulle labbra), presso i Babilonesi la birra cominciò a essere utilizzata anche come merce di scambio, venendo perlopiù barattata con orzo e altri cereali.
Era ritenuto però reato, e gravissimo, venderla: tant'è che l'onnipotente Hammurabi avrebbe addirittura condannato all'annegamento una donna sorpresa a cedere la sua alcolica pozione in cambio di argento.
Piano piano la birra iniziò a farsi strada anche oltre i confini della Mesopotamia, fino ad approdare in Egitto, dove compì un ulteriore e decisivo salto di qualità sia in termini di organizzazione produttiva (sorsero i primi veri e propri birrifici di tipo "industriale"), sia in termini di ampiezza di gamma delle sua attività e dei suoi tipi di utilizzazione, essendole riconosciute prerogative non solo di bevanda, ma anche di alimento e in certi casi di medicamento.
Baste dire che il suo consumo era esteso ai bambini e che ne fu formulata una varietà a bassa gradazione, o diluita con acqua e miele, da destinarsi ai neonati quando le madri avevano problemi di allattamento.
Va ricordato che alla birra si fa riferimento anche nella Bibbia e in altri testi sacri del popolo ebraico come il Talmud.
3. Greci , Romani e Germani
E così la birra si avvicina a noi, sia in termini temporali che geografici, mediante il suo arrivo in Grecia, dove la birra fu importata dai mercanti fenici.
Non riscosse il successo che le era stato tributato nel natio Medio Oriente per via, soprattutto, dell'insuperabile concorrenza del vino, già affermatissimo e benedetto da Βάκχος (Bacco). Nonostante ciò, riuscì a conquistare il sofisticato palato di Platone e anche quello di numerosi altri greci, che si rivolgevano ad essa soprattutto in occasione delle feste in onore di Δημήτηρ (Demetra) e dei giochi olimpici: eventi nel corso dei quali era vietato il consumo di vino.
Analoga sorte, anche se con qualche sprazzo di successo maggiore, per quanto effimero, la birra conobbe presso i romani, anch'essi già sedotti e viziati dal vino quando ebbero occasione di fare la sua conoscenza.
Fra i massimi estimatori romani della birra sono da annoverare personaggi come Giulio Cesare (che la definì "liquore nobile e potente") e il governatore della Britannia, Agricola. Egli rientrando nell'83 d.C. a Roma dalla Britannia, dove aveva governato per anni col ferro e col fuoco, portò al suo seguito 3 mastri birrai originari di Glevum, l'attuale Gloucester, e gli fece ottenere una "licenza" per quei tempi del tutto speciale: aprire, nel cuore di Roma imperiale, un locale destinato alla vendita della birra: un "pub", come si direbbe adesso.
Ma la birra, come la conosciamo oggi, ha ascendenze principalmente germaniche e celtiche ovvero da "terre desolate" difficilmente riconducibili alle grandi trame commerciali di epoche in cui esistevano ancora le colonne di Ercole e nelle quali anche i commercianti più avventurosi e spericolati, come i Fenici, ci pensavano 10 volte prima di prendere il largo verso l'ignoto.
Resta il fatto che si hanno prove certe (a darne dimostrazione è un'anfora di birra scoperta nei pressi di Kulmbach) che la più antica testimonianza di produzione birraia in suolo germanico risale all'800 a.C., ovvero a quando il cuore dell'Europa non pulsava ancora neppure nella "meridionale" Roma.
Non solo: per quel che riguarda l'Irlanda, esiste addirittura una leggenda secondo la quale i nativi di quell'isola discenderebbero da un popolo di semidei, i "Fomoriani", che dovevano la loro potenza e semi-immortalità alla prerogativa di avere "inventato" la birra e di custodirne il sacro segreto della fabbricazione.
4. Il luppolo e Guglielmo IV di Baviera
Il vero e definitivo salto di qualità nella birrificazione "europea", avvenne a partire a partire dal IX secolo e fu merito precipuo dell'utilizzazione del luppolo introdotto nell'822 da un non meglio identificato abate carolingio e "canonizzato" dalla badessa Ildegarda di Bingen oltre 2 secoli più tardi, nel 1067.
La birra che noi oggi conosciamo nacque nei monasteri in pieno Medio Evo. E ciò vale non solo per il centro Europa (dove i monaci e le stesse suore producevano spesso birra destinata ai malati e ai pellegrini), ma anche per i territori britannici, dove la birra - pur prodotta prevalentemente dalla massaie, a uso domestico - veniva da esse generosamente elargita a parrocchie e confraternite religiose in occasione delle più importanti ricorrenze di culto.
In Inghilterra, in particolare, si guadagnò i "galloni" di bevanda nazionale, degna di essere bevuta nelle più nobili occasioni, grazie alla circostanza che, nella sua produzione, veniva utilizzata tassativamente solo acqua bollita e, pertanto, sterilizzata.
Nei secoli successivi, diversi regnanti finirono per sottrarre a monasteri e "massaie" la prerogativa di produrre birra, imponendo balzelli perlopiù insostenibili dagli uni e più ancora dalle altre e ponendo i presupposti, così, di un tipo para-industriale, che fosse perciò in grado di garantire ad essi lauti guadagni.
Al di là dei sicuri vantaggi economici che derivarono a questi regnanti, è merito del duca Guglielmo VI di Baviera (nella foto sopra) l'aver preso la briga di emanare nel 1516 lo storico decreto (titolato "Legge germanica di purezza della birra") in base al quale veniva una volta per tutte stabilito che nel processo di fabbricazione della birra dovessero essere tassativamente ed esclusivamente impiegati orzo (o eventualmente malto di orzo, come venne in seguito aggiunto), luppolo e acqua pura. Anzi purissima.
La birra "moderna", quella che noi oggi beviamo con gusto e fiducia, nasce appunto da lì. Per la prima volta era stabilita una regola che ha stabilito un principio, un "fondamento" nella produzione della birra.
E perciò, gustando in un pub o a casa nostra una birra - bionda, rossa o nera che sia - dedichiamo il nostro "prosit" anche a lui, a Guglielmo IV di Baviera: all'uomo che, per "interessi privati" ma anche con una certa pragmatica lucidità, fissò i limiti in cui la birra avrebbe dovuto spumeggiare, per essere davvero birra.
5. Notizie varie e tutti i criteri di classificazione
La parola birra deriva dal verbo latino "bidere" (bere) mentre la radice del termine spagnolo che indica questa bevanda (cerveza) è trata da Ceres, la dea romana dell'agricoltura (successivamente identificata con la dea greca Demetra).
Il pub più grande del mondo è il "The Clifden" dell'aeroporto parigino di Orly (oltre 700 metri quadrati), mentre il più piccolo è il "Dawson's Lounge" di Dublino, che può ospitare contemporaneamente non più di 8 clienti.
Il più importante e antico museo della birra sorge a Plezen, città ceca nota per la sua produzione birraia fin dalla fine del XIII secolo. Il "festival" per eccellenza di questa nobile bevanda è però certamente l'Oktoberfest di Monaco di Baviera, che si svolge ogni anno a cavallo fra settembre e ottobre. Dura 3 settimane e richiama non meno di 6 milioni di visitatori. I suoi stand si sviluppano su una superficie complessiva di 42 ettari (all'incirca 50 campi di calcio) e servono non meno di 1 milione e mezzo di galloni di birra. Nel XVII secolo si costruirono botti di birra talmente grandi che in seguito vennero addirittura trasformate in mini appartamenti.
Nel 1964 in Germania i barili in legno furono sostituiti di taniche in metallo, più funzionali e semplici da pulire, riempire, tappare e trasportare.
La classificazione più comunemente impiegata divide le birre in 3 categorie-base, facendo riferimento a 2 fondamentali fattori: lievito e fermentazione. In ragione di tali parametri vengono definite:
- Ale: le birre prodotte con i lieviti della specie Saccharomyces cerevisiae, seguendo n processo ad "alta fermentazione" che richiede temperature particolarmente elevate. Si tratta del procedimento più antico, che continua a trovare ampia utilizzazione nella produzione anglosassone e fiamminga.
- Lager: quelle realizzate con i lieviti della specie Saccharomyces carlsbergensis e mediante un processo a "fermentazione bassa". Si tratta di un procedimento produttivo più moderno, che garantisce alle birre superiori standard di stabilità e "ripetibilità", e, quindi, una più spiccata vocazione alla produzione industriale. E ciò è dimostrato dal fatto che le "lager" sono le più diffuse.
- Lambic: vengono denominate così particolari birre prodotte in Belgio meridionale. Le caratterizza, rendendole uniche, la prerogativa che il mosto viene esposto a lieviti indigeni selvatici, come il Brettanomyces bruxellensis. Il processo produttivo si sviluppa perciò per "fermentazione spontanea".
Le birre vengono classificate anche per colore, ma si tratta di una distinzione più suggestiva che sostanziale se basata esclusivamente sul fattore cromatico, che viene generalmente misurato su una scala denominata SRM. Il fattore-colore, infatti, dipende soltanto dal tipo di "maltazione" subìto dai cereali impiegati.
Un'altra, significativa caratteristica "visiva" della birra è rappresentata dal suo livello di limpidezza, variabile in funzione della maggiore o minore presenza di lievito in sospensione.
Va aggiunto, inoltre, che le birre possono essere classificate anche in base al loro grado di amarezza, per il quale si fa riferimento alla "scala IBU (International Bitterness Unit)".
Un'ulteriore classificazione è legata al grado alcolico, generalmente misurato in percentuale di alcol sul volume della bevanda o alla quantità di zuccheri fermentabili presenti nel mosto prima della fermentazione, misurato in gradi Plato.