Il mal di testa, o più propriamente “cefalea”, è un disturbo molto comune. In alcuni casi è un disturbo occasionale, ma in altri può essere così frequente e di tale gravità da compromettere significativamente le capacità lavorative e sociali di chi ne è affetto.
Pazienti di ogni età possono soffrire di cefalea, ma più frequentemente sono interessati quelli di età adulta, e quindi nel pieno della propria attività produttiva. E' stato calcolato che circa il 90% degli individui lamenta un attacco di dolore al capo almeno una volta della vita.
Anche restringendo l’osservazione alle forme ad elevata frequenza di presentazione la prevalenza delle cefalee resta molto elevata: il 15% della popolazione ha dolore almeno una volta al mese; il 4% per almeno 15 giorni al mese e l’1-2% addirittura quotidianamente.
Sebbene, in un certo numero di casi, la cefalea possa risultare secondaria a patologie intracraniche o sistemiche anche severe, con possibile rischio per la vita, nella grande maggioranza dei casi il dolore è di tipo primario dunque non sostenuto da alcuna condizione nota.
Tra gli oltre 35 tipi e sottotipi di cefalea primaria l’emicrania è la forma di maggiore rilevanza clinica e quella alla quale le donne in età fertile pagano il maggiore tributo. Nei paesi occidentali, in base a studi recenti, ne soffrono circa il 12% delle donne e il 6% degli uomini. L’emicrania si manifesta con attacchi ricorrenti di intenso dolore al capo, mono o bilaterale, che durano da poche ore a qualche giorno.
Nonostante la sua gravità, l’emicrania è tuttavia un disturbo ancora poco conosciuto, frequentemente oggetto di errata diagnosi e spesso non trattato o sotto-trattato. Più di due terzi delle persone affette da emicrania preferiscono ricorrere all’utilizzo di prodotti da banco e non richiedono una consultazione specialistica.
Una delle conseguenze di questo atteggiamento è la trasformazione di forme a carattere episodico in forme croniche e resistenti ai trattamenti, un fenomeno spesso sostenuto da un uso di analgesici eccessivo o improprio.
Nel 1988 la International Headache Society (IHS) ha redatto un sistema di classificazione internazionale delle cefalee (The International Classification of Headache Disorders, ICHD), oggi arrivato alla sua terza edizione.
Ma vediamo meglio cosa sono esattamente le cefalee, le cause principali che le causano e le diverse terapie utilizzate per curare questo comunissimo disturbo.
Per ulteriori e più dettagliati approfondimenti, vi consigliamo la lettura del libro "Le cefalee: manuale teorico-pratico" di G. Bussone, G. Casucci, F. Frediani, G. Manzoni e V. Bonavita.
1. Le prime descrizioni
La cefalea affligge il genere umano fin dall’alba dei tempi, come testimoniato dai segni di trapanazione della calotta cranica rinvenuti in reperti fossili risalenti al neolitico (7000 a.C.). Presumibilmente questa primordiale forma di neurochirurgia aveva lo scopo di liberare il paziente dagli spiriti maligni che si pensava dimorassero nella sua testa.
I documenti più antichi in cui è stato possibile rintracciare riferimenti certi ad una forma di cefalea accompagnata a disturbi visivi risalgono al 3000 a.C. e provengono dalla Mesopotamia. In uno di questi la sintomatologia emicranica viene così descritta: “...e la testa è piegata con dolore che attanaglia le tempie ... e i suoi occhi sono afflitti da oscuramento e nebulosità”.
Altri riferimenti vengono dalla mitologia greca. Zeus, ad esempio, viene colpito da terribili mal di testa subito dopo aver divorato la moglie Metide, gravida, per evitare che si avveri la profezia secondo la quale verrà spodestato dal primo figlio maschio. Viene convocato Efesto, che con un’ascia apre la testa di Zeus per liberarlo dalle sofferenze, ma con un potente grido, ecco che dalla testa del dio nasce Athena, dea della guerra, armata di tutto punto.
Ippocrate (460-370 a.C.) descriverà accuratamente una emicrania con aura, regredita dopo il vomito. Bisognerà però attendere fino al primo secolo dopo Cristo perché Areteo di Cappadocia definisca in modo esplicito il caratteristico pattern di dolore unilaterale, nausea e vomito che caratterizza l’emicrania, da lui denominata heterocrania.
Si devono invece a Galeno (129-199 d.C.) sia il termine hemicrania, che ancora oggi conserva intatta l’iniziale efficacia descrittiva, sia una delle prime ipotesi secondo cui gli attacchi erano causati dalla bile gialla, uno dei quattro umori (sangue, flegma, bile gialla e bile nera) teorizzati secoli prima da Ippocrate. La bile gialla, di provenienza epatica, era considerata anche responsabile del temperamento collerico, quasi a segnalare una possibile comorbidità tra il mal di capo e i disturbi del carattere.
Da Galeno in avanti il termine hemicrania, riferito ad un disturbo doloroso del capo unilaterale associato a nausea, vomito e fotofobia, resterà sostanzialmente immodificato, rimanendo spesso riconoscibile anche tra idiomi radicalmente diversi.
Il primo testo monografico dedicato all’emicrania si deve a Liveing ed aveva per titolo “Su emicrania, mal di testa nauseante e disturbi associati: un contributo alla patologia delle tempeste nervose”. La pubblicazione è del 1873.
2. Le cause
Molti autori del passato si sono cimentati con il problema delle cause dell’emicrania e restano tracce di numerose teorie che, naturalmente, riflettono soprattutto gli influssi culturali e il livello di conoscenza delle epoche in cui sono state formulate.
Così, Ippocrate (460-377 a.C.) credeva che un attacco di cefalea potesse essere causato dall’esercizio fisico e dall’attività sessuale. Platone (427-347 a.C.) ipotizzava che le cefalee fossero legate all’eccessiva occupazione del proprio organismo.
Celso (II secolo d.C.) credeva che l’abuso di vino, i disturbi gastrointestinali e le variazioni di temperatura fossero alla base dell’emicrania. Altre descrizioni, meno remote, contemplavano origini diverse che andavano da vapori tossici provenienti dallo stomaco all’umore malinconico che “annoiava il cuore e contagiava il cervello”.
Nel ’900 la moderna ricerca ha favorito una notevole espansione della conoscenza delle cause del mal di testa, che ha condotto negli ultimi venti anni a significativi avanzamenti anche sul piano terapeutico. Ma ancora ad inizio secolo, Deyl attribuiva il dolore ad un rigonfiamento dell’ipofisi con conseguente compressione del nervo trigemino, mentre il suo contemporaneo Spitzer suggeriva invece che la cefalea fosse causata da un blocco del forame interventricolare con dilatazione del ventricolo laterale.
Nel 1938, John Graham e Harold Wolff dimostrarono che l’efficacia dell’ergotamina nel trattamento dell’emicrania era legata al suo effetto vasocostrittore e questa evidenza fu posta alla base della cosiddetta teoria vascolare secondo cui il dolore è causato da una dilatazione dolorosa delle arterie del cranio.
Malgrado alcune grossolane incompiutezze, la teoria vascolare dell’emicrania resterà a lungo quella più accreditata e solo nei primi anni ’80 cederà il posto a quella neuro-vascolare, basata sui brillanti studi istochimici e neurofisiologici di Moskowitz.
Grazie all’avanzamento delle tecniche di neuroimaging funzionale, oggi iniziamo a considerare le cefalee primarie come disturbi complessi coinvolgenti un insieme di strutture nervose centrali, la cosiddetta pain matrix, che annoverano specifiche aree della neocortex così come centri e vie sottocorticali implicati nel controllo del traffico neurosensoriale centrale.
3. Cosa sono le cefalee
Le cefalee sono disturbi dolorosi ricorrenti o cronici molto diffusi nella popolazione generale: è stato calcolato che circa il 90% degli individui lamenta un attacco di dolore al capo almeno una volta della vita.
Anche restringendo l’osservazione alle forme ad elevata frequenza di presentazione la prevalenza delle cefalee resta molto elevata: il 15% della popolazione ha dolore almeno una volta al mese; il 4% per almeno 15 giorni al mese e l’1-2% addirittura quotidianamente.
Sebbene, in un certo numero di casi, la cefalea possa risultare secondaria a patologie intracraniche o sistemiche anche severe, con possibile rischio per la vita, nella grande maggioranza dei casi il dolore è di tipo primario dunque non sostenuto da alcuna condizione nota.
Accanto ad una sostanziale benignità in termini prognostici va però sottolineato il grande impatto che queste forme hanno sulla qualità della vita dei sofferenti, potendo ridurre in modo significativo le loro capacità di funzionamento sia da un punto di vista lavorativo che sociale. Tra gli oltre 35 tipi e sottotipi di cefalea primaria l’emicrania è la forma di maggiore rilevanza clinica e quella alla quale le donne in età fertile pagano il maggiore tributo.
Nei paesi occidentali, in base a studi recenti, ne soffrono circa il 12% delle donne e il 6% degli uomini. L’emicrania si manifesta con attacchi ricorrenti di intenso dolore al capo, mono o bilaterale, che durano da poche ore a qualche giorno e si accompagnano ad una varietà di altri sintomi come nausea, vomito, foto e fonofobia.
Il dolore ed i disturbi associati sono molto peggiorati dal movimento e ciò costringe il paziente a cercare sollievo nel riposo a letto, lontano da stimoli luminosi o sonori fino alla risoluzione della crisi, abitualmente entro 72 ore dall’esordio. La totale, seppur temporanea, disabilità che un attacco emicranico può comportare finisce per avere un impatto rilevante sulla qualità della vita di chi ne soffre frequentemente.
Ogni aspetto della vita quotidiana, dal rendimento lavorativo alle relazioni sociali e familiari, può risultare severamente compromesso e questo problema è avvertito da molti individui come ancora più insopportabile del dolore in sé. L’impossibilità di prevedere con esattezza i giorni a rischio è fonte di ulteriore disagio in termini di qualità di vita, rendendo problematica la programmazione degli impegni di lavoro così come di ogni altra attività.
Per queste ragioni l’attenzione dei clinici e dei ricercatori al problema della disabilità indotta dalle cefalee primarie, ed in particolare dell’emicrania, è molto cresciuta negli ultimi decenni. Oggi disponiamo di strumenti clinici in grado di misurare accuratamente il parametro disabilità.
4. Un sintomo che può indicare situzioni patologiche differenti
La cefalea o mal di testa è un sintomo che può indicare situzioni patologiche differenti tra loro. Un gruppo di medici specialisti di tutto il mondo, nel 1988, ha redato la "Classificazione Internazionale delle Cefalee".
Le varie forme di mal di testa sono a loro volte suddivise in due gruppi:
- le cefalee "primarie": in cui il mal di testa è un disturbo autonomo, non legato ad alcuna patologia, rappresentando così loro stesse una "malattia" vera e propria potendola considerare "benigna" in quanto non causa deficit neurologici ne conduce a morte; possono però essere così disabilitanti da compromettere in modo grave la qualità della vita del soggetto in ambito familiare, lavorativo e sociale.
- le cefalee "secondarie": sono quelle forme in cui il mal di testa è un sintomo di una ben definita e precisa malattia sottostante, non sempre ben identificabile come ad esempio l'ipertensione arteriosa, una sinusite, un trauma cranico, una malattia oculare, anemia, artrosi cervicale, malattie della bocca, allergie, etc.
Nonostante la sua gravità, l’emicrania è tuttavia un disturbo ancora poco conosciuto, frequentemente oggetto di errata diagnosi e spesso non trattato o sotto-trattato. Più di due terzi delle persone affette da emicrania preferiscono ricorrere all’utilizzo di prodotti da banco e non richiedono una consultazione specialistica. Una delle conseguenze di questo atteggiamento è la trasformazione di forme a carattere episodico in forme croniche e resistenti ai trattamenti, un fenomeno spesso sostenuto da un uso di analgesici eccessivo o improprio.
Diversi fattori limitano ancora oggi l’accesso dei cefalalgici a diagnosi e cure adeguate. Tra questi uno dei principali consiste nella persistenza, a tutti i livelli, di autentici pregiudizi culturali come quello che vede nell’emicrania una semplice espressione somatica di problematiche psicologiche.
Altri fattori sono il fatalismo del paziente circa la natura cronica della malattia, la reticenza legata a deludenti esperienze farmacologiche pregresse e persino la mancanza di empatia e collaborazione da parte del medico curante che può a volte catalogare riduttivamente questo disturbo come un “semplice mal di testa”.
A questi fattori se ne aggiungono altri di tipo logistico ed economico (poche le strutture adeguate presenti sul territorio e spesso con lunghe liste d’attesa) che limitano ulteriormente le possibilità del paziente emicranico ad essere curato in modo corretto e tempestivo.
Molta strada deve essere ancora percorsa perché una proporzione significativamente maggiore di sofferenti possa ricevere diagnosi corrette e cure efficaci ed è auspicabile che in un prossimo futuro il problema del controllo del dolore e della riduzione della disabilità dei cefalalgici sia incluso tra le priorità della sanità pubblica attraverso programmi di educazione rivolti a pazienti, ai loro familiari e agli operatori sanitari, anche con il coinvolgimento delle Istituzioni di Governo Clinico.
5. Le terapie
La storia dell’emicrania è anche la storia delle terapie sintomatiche proposte per alleviarla.
La trapanazione della calotta cranica, già in uso nel neolitico, ha continuato a trovare sostenitori fino al XVII secolo. Per quanto riguarda i trattamenti specifici di questa patologia, la prima prescrizione è riconducibile ad uno scritto egizio del 1200 a.C..
Secondo questa ricetta, un coccodrillo d’argilla con una pannocchia di grano in bocca andava fissato alla testa del paziente con una benda di lino che recava i nomi degli dei ritenuti responsabili della guarigione. È possibile che l’effetto di compressione e di raffreddamento indotto dalla procedura fosse responsabile di un qualche beneficio.
Soluzioni di oppio e aceto, in cui l’aceto probabilmente facilitava l’assorbimento cutaneo dell’oppio, sono state largamente utilizzate in Europa nel corso del XIII secolo.
Nel XVIII secolo, Erasmus Darwin, bisnonno dell’autore della teoria della selezione naturale, propose la centrifugazione quale trattamento della cefalea, per contrastare la vasodilatazione che era a suo parere la causa dell’emicrania; il trattamento avrebbe previsto la collocazione del paziente in una centrifuga per forzare la circolazione ematica dalla testa verso i piedi. William Gowers, nel 1888 raccomandò l’impiego di una soluzione di nitroglicerina all’1% in alcool (Gowers mixture) ed in seguito segnalò anche l’utilità della marijuana per la riduzione del dolore emicranico.
Già Campbell, sul finire dell’800, aveva trovato che l’emicrania poteva essere controllata attraverso la somministrazione di estratti di segale cornuta. Questo termine fa riferimento all’infezione della pianta di segale da parte del micete "claviceps purpurea", un fungo parassita che in una fase del ciclo vitale forma sclerozi di colore scuro e di forma allungata che richiamano i corni (da cui cornuta), o gli speroni della zampa di gallo (in francese ergot).
Gli sclerozi contengono, oltre all’ergotamina, numerosi altri alcaloidi incluso un precursore dell’acido lisergico, potente allucinogeno. L’infestazione delle piantagioni di segale da parte del micete è stata responsabile, dal basso medioevo fin quasi ai nostri giorni, di drammatiche epidemie di ergotismo, una grave malattia caratterizzata da disturbi psichiatrici, stato convulsivo e gangrena ischemica delle estremità.
L’ergotamina, il solo alcaloide spiccatamente antiemicranico della mistura, fu identificata ed estratta come sale tartrato solo nel 1918 da Stoll. Per diversi decenni l’ergotamina e il suo derivato, la diidroergotamina, sono rimasti gli unici farmaci dotati di azione antiemicranica specifica. Sebbene efficaci il loro impiego era tuttavia limitato dalla frequente comparsa di effetti collaterali, come acro-parestesie dolorose, crampi muscolari, nausea e vomito.
Sul finire degli anni ’80 Humphrey e collaboratori, basandosi sull’osservazione che la serotonina è in grado di attenuare il dolore emicranico, sintetizzarono una molecola strutturalmente simile, ma più stabile: il sumatriptan. Questa molecola è stata la capostipite dei triptani, una nuova famiglia di farmaci dotati di azione antiemicranica rapida ed estesa ai sintomi accessori.