I lontani precursori dei monaci cristiani possono essere ritenuti i leviti, membri della tribù del patriarca israelita Levi (il terzo figlio del patriarca biblico Giacobbe e di Lia), che erano consacrati al servizio del tempio (ruolo ricoperto in quanto sempre fedeli alla religione dei padri) e si sostenevano con le decime, fruendo di uno statuto particolare.
Così come si rileva dai manoscritti del Mar Morto, altre comunità giudaiche precristiane, come gli esseni di Qumran, erano dedite alla vita contemplativa ed alla scelta di celibato, cercando la perfezione nella pratica ascetica e nella preghiera.
Si ritiene solitamente che il monachesimo cristiano sia nato in Egitto con l'anacoreta Sant'Antonio abate (251-356) e con il cenobita Pacomio (346-347): di lì si sarebbe diffuso con rapidità verso la Palestina, la Siria, la Cappadocia, la Gallia, Roma, l'Africa.
In effetti, si deve credere che sia Antonio che Pacomio fondarono le proprie esperienze su precedenti manifestazioni di monachesimo, che con la loro autorità e il loro prestigio contribuirono poi ad estendere grandemente.
Il monachesimo, un fenomeno presente in tutte le Chiese, contribuì in maniera determinante ad orientare la sensibilità della gente mediante la predicazione e l’insegnamento. Ebbe influenza sullo sviluppo della liturgia e nel favorire l’evoluzione delle manifestazioni artistiche del suo tempo.
L’opera svolta dal monachesimo è stata particolarmente pregiata nei più diversi campi dello spirito che vanno dall’esaltazione della santità alla dignità del lavoro, dall’affermazione di un ideale di vita superiore contro la barbarie della violenza all’opera sociale di assistenza ed alla promozione della vita culturale.
Oggi ci occuperemo di questo complesso fenomeno religioso chiamato Monachesimo (dal greco monachos, persona solitaria) , con numerosi addentellati sociali e culturali, dove gli individui che ne fanno parte, si allontanano dalla consueta vita sociale, rinunciando agli interessi terreni, per realizzare nel modo più completo in vita solitaria (anacoretismo) o in vita da comunità (cenobitismo) le norme della fede.
E più precisamente parleremo, in maniera semplice, sobria e comprensibile, di 5 importantissimi ordini monastici, e cioè dell'ordine dei Francescani, dell'ordine dei Carmelitani, dell'ordine dei Domenicani, dell'Ordine certosino e, infine, dell'ordine camaldolese. Buona lettura.
1. Ordine dei Francescani
L’Ordine dei Minori, conosciuto anche come Primo Ordine, nacque attorno a Francesco di Assisi che raccolse (1208) un piccolo gruppo di discepoli per condividere le esperienze di povertà e castità.
Egli scelse di porsi quale “umile tra gli umili” e di definirsi “minore” (appellativo che individuava i popolani) ad imitazione dei poveri e mendicanti per portare loro sostegno materiale e spirituale. Questa scelta esistenziale poteva, in qualche modo, confondersi con quella del movimento dei catari di cui esistevano numerosi gruppi in Toscana. Ma da questi Francesco si differenziava per l’obbedienza alla gerarchia ecclesiastica e per l’amore verso tutte le manifestazioni della vita, quali la natura e gli animali, ed ancor più per l’amore verso gli esseri umani.
Dopo il 1210 con l’approvazione orale della Formula vitae da parte di papa Innocenzo III, la schiera degli aderenti all’ordine crebbe notevolmente e Francesco presiedette, alla presenza di circa 5000 frati, il primo “capitolo” generale (1217) alla Porziuncola in cui, oltre ad organizzare l’attività interna ed esterna, si assunse l’iniziativa di inviare missioni all’estero (Germania, Francia, Spagna) per promuovere l’espansione dell’ordine. Egli stesso, in occasione della V crociata (1217-1221) si recò in Palestina nel vano tentativo di mettere fine alla guerra fra cristiani e musulmani.
Nel 1221 Francesco pensò una regola che fu rimeditata ed approvata (1223) da Onorio III con la bolla Solet annuere in cui risultava attenuata la rigidità iniziale ed adeguata alla realtà di monaci colti che accettavano doni e ricchezze che comunque venivano incamerate dalla Santa Sede.
Con la collaborazione di S. Chiara d’Assisi, Francesco fondò il ramo femminile delle Clarisse (Secondo Ordine) e quello dei Terziari francescani che nel tempo subì tali ramificazioni che a stento se ne riesce a dare un quadro d'insieme.
La eccezionale santità e l’originale spiritualità di Francesco, a cui piaceva condurre vita eremitica che lo portava ad amare in modo più intenso, si spiega con la dolcezza della sua persona, la semplicità del suo animo e l’umiltà del suo agire da cui si rivela la volontà di sottomettersi alle circostanze ed il dovere di ubbidire senza discussione alla Chiesa in cui vede rispecchiarsi l’intera umanità cristiana. L’itinerario spirituale di Francesco approdava infine alla letizia che è beatitudine e corrisponde all’attesa di Dio.
Alla morte di Francesco i Frati Minori erano presenti in tutti i paesi dell’Europa occidentale. In Italia i conventi ospitavano grosse comunità di frati mentre negli altri paesi le comunità erano poco numerose perché distribuite su un maggior numero di basi volte ad estendere l’influenza su un più vasto territorio, ad essere presenti anche nell’Europa orientale ed a sostituire, nella considerazione dei fedeli, i cistercensi che continuavano a perdere influenza.
Fra i frati sorsero tuttavia contrasti che portarono alla spaccatura tra Spirituali e Conventuali. I primi, richiamandosi alla volontà di Francesco che vietava l’interpretazione della sua regola, ne rivendicavano l’osservanza scrupolosa, mentre i secondi, inclini a mitigarne il rigore, riconoscevano ai conventi la possibilità di possedere beni.
E benché la Santa Sede avesse riconosciuto la posizione di questi ultimi, i contrasti non affievolirono l’attività dell’ordine nel campo della predicazione itinerante e dell’assistenza sia con la fondazione di Monti di pietà che con opere di soccorso a malati e diseredati.
A queste iniziative si aggiunsero i successi sul piano culturale. Ai componenti dell’ordine che ottennero cattedre di teologia nelle università di Parigi, Bologna ed Oxford, si affiancava una intensa opera di predicazione mirante a promuovere la concordia in un periodo caratterizzato da violenti e sanguinosi scontri.
Il declino vissuto dall’ordine nel XIV e XV sec. a seguito del tentativo di ripristinare l’osservanza della regola nella sua interezza fu combattuto dal movimento degli Osservanti che si staccò dai Conventuali, tanto che Leone X
(1513-1521), all’inizio del XVI sec., constatata l’impossibilità di far convivere sotto una stessa regola ed un medesimo governo i due movimenti, con la bolla Ite vos ne sancì ufficialmente il distacco (1517).
Matteo da Bascio, ( fondatore e primo superiore generale dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini)nel 1552, organizzò gli osservanti nel nuovo movimento dei Cappuccini che applicarono la povertà totale, predicazione itinerante ed abito di panno grezzo con cappuccio.
Le varie ramificazioni ebbero diverse costituzioni e, pur facendo capo al ministro generale degli Osservanti, furono riunite (1897) da Leone XIII (1878-1903) nell’Ordo fratrum minorum, per cui da allora i Francescani si divisero in Frati Minori, Cappuccini e Conventuali.
Attualmente, accanto all’attività pastorale, missionaria e di studio, i campi di intervento riguardano lo sviluppo della pace internazionale, l’assistenza agli emarginati, la salvaguardia della natura.
2. Ordine dei Carmelitani
L’Ordine della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, o semplicemente Carmelitani, sembra derivi da una comunità di tipo eremitico sorta in Palestina presso la grotta del profeta Elia sul monte Carmelo (giardino, in aramaico) in cui egli visse nel rispetto della fede del Dio di Israele.
Nei secoli successivi al IV sec. vi si stabilirono presumibilmente comunità cristiane di rito maronita. Alla fine del XII sec. si unirono al cenobio pellegrini cristiani che, giunti dall’Occidente con la III crociata, tra cui il nobile Bertoldo, edificarono una chiesa consacrata alla Vergine.
All’inizio del XIII sec. papa Onorio III con la bolla Ut vivendi normam ha approvato l’Ordine (1226) con il primo statuto, regola primitiva o formula vitae verosimilmente redatto da Alberto da Vercelli (1150-1214) patriarca latino di Gerusalemme (con sede a S.Giovanni d’Acri), che prescriveva veglie notturne, digiuno ed astinenza rigorosi, pratica della povertà e del silenzio.
Nel 1235, a causa delle incursioni saracene, i frati abbandonarono l’Oriente per stabilirsi inizialmente a Messina, (località Ritiro) e quindi, con la fondazione di diversi conventi, diffondersi, sotto la guida del priore Simone Stock (1165-1265), nelle principali sedi universitarie d’Europa.
Papa Innocenzo IV confermò (1247) la regola dei frati Carmelitani (Quae honorem conditoris omnium) attenuandone la pratica eremitica e facendone un ordine di mendicanti che si propose di diffondere il culto mariano.
Nella stessa occasione Innocenzo IV sancì la formazione del quarto ordine mendicante, quello degli Eremitani di S. Agostino (Agostiniani). Ben presto ai frati si affiancarono alcune donne che nel 1452 diedero vita a vere e proprie comunità monastiche.
Nel XV sec. si divisero in conventuali ed osservanti e, nel 1562-68, con la riforma di S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della Croce, ebbero origine i Carmelitani Scalzi (frati e monache) che, nel 1593, ottennero da papa Clemente VIII (1592-1605) una completa autonomia dai Carmelitani Calzati dell’antica osservanza.
L’ordine, nei secoli successivi, ebbe un grande sviluppo tra i laici con l’istituzione del Terz’Ordine Carmelitano e delle Confraternite dello Scapolare del Carmine, fino al ridimensionamento subito a seguito della rivoluzione francese.
Nell’ordine carmelitano esistono numerose congregazioni di suore che, avute origine nel 1452, oggi contano 75 comunità suddivise in Monache Carmelitane dell’antica osservanza e Monache Carmelitane Scalze (Teresiane).
Attualmente i frati carmelitani (contraddistinti da un mantello nero con cappuccio su tunica bianca) divisi in 20 province, sono impegnati nella cura dei santuari mariani, nella gestione di scuole e nell’attività missionaria in nazioni occidentali ed in numerose del terzo mondo.
3. Ordine dei Domenicani
Fondato da S. Domenico di Guzman, abile oratore e grande teologo, l’Ordine fu approvato (1216), secondo la regola di S. Agostino, da Onorio III (Cencio Savelli, 1216-1227) ed unì alla vita contemplativa una intensa opera di studio e predicazione (Aliis tradere).
L’ordine dei Frati Predicatori crebbe e già dopo qualche anno i suoi aderenti, presenti in tutta Europa e nelle principali università del tempo (Parigi e Bologna), dovettero lottare contro l’opposizione dei vescovi finché Onorio III (1218) con una bolla ordinava a tutti i prelati di accordare assistenza ai domenicani.
Nel 1220 e nel successivo anno convocò due “capitoli” generali per definire gli elementi costitutivi dell’ordine che vennero riportati nella magna carta. Il cammino spirituale dei domenicani prevedeva povertà, penitenza, ed ascesi.
La povertà comportava un regime cenobitico che consentiva solo il possesso di quanto necessario alla sussistenza ed alla predicazione e, per differenziarsi da quegli ordini che avevano mantenuto la proprietà comunitaria, Domenico volle, per liberare l’anima da preoccupazioni materiali, una povertà concreta che obbligasse i conventi a vivere di mendicità.
La penitenza, quale metodo di perfezione personale, obbligava alla rinuncia dei beni e dei piaceri, non alla fuga dal mondo. L’ascesi era volta a prepararsi all’azione di soccorso da rendere agli altri ed al servizio di predicazione.
Per poter predicare e diffondere la dottrina fra scismatici e pagani e contrastare le tesi degli eretici era necessario avere una solida conoscenza dogmatica, motivo per cui i frati mendicanti furono sottoposti a studi approfonditi nei singoli conventi e molti furono inviati nelle migliori università del tempo (Tolosa, Cambridge, Coimbra accanto alle più affermate Bologna, Parigi ed Oxford).
Emersero eminenti figure sia tra i Domenicani che tra i Francescani, le quali, oltre a contrastare le eresie, furono utilizzate nella guida dei tribunali dell’Inquisizione su nomina (1233) di papa Gregorio IX. L’ordine, che si era diviso fra chi voleva praticare una stretta osservanza e chi una regola più rilassata, è ritornato all’osservanza della originaria istituzione.
4. Ordine certosino
Il monachesimo seppe riformarsi, nel 1084, su iniziativa del tedesco di Colonia S. Bruno (Brunone), filosofo e teologo, che, insofferente verso i corrotti costumi del tempo e divenuto tenace difensore dell’integrità morale dei pastori della Chiesa, guidò un gruppo di sei compagni (quattro chierici e due laici) in cerca di solitudine.
Si recò dal vescovo di Grenoble, Ugo (Ugone) (1053-1132) che gli concesse una località nella parte più impervia delle Alpi del Delfinato, sul Massif de la Chartreuse, dove (1084) fondò un piccolo monastero, Grande Certosa. Da cui il nome certosini dell’ordine monastico che fondò sottolineando l’importanza della solitudine necessaria per l’attesa di Dio.
A tal fine destinò una parte consistente del tempo alla vita solitaria e contemplativa, caratteristica che si è conservata nei secoli e che fa dei certosini l’unico ordine che si è mantenuto fedele all’iniziale ideale (una comunità mai riformata perché mai deformata).
S. Bruno nelle sue lettere descrisse i caratteri fondamentali delle regole di vita cui si uniformò: solitudine vigilante, comunione con i fratelli eremiti e comportamenti atti a conseguire la purezza che permette l’unione con Dio nella solitudine.
La vita certosina implica una dimensione fraterna che si esplica nella celebrazione della Liturgia (“..quando ci raduniamo per l’Eucarestia, l’unità della famiglia trova il suo perfetto compiacimento nel Cristo presente ed orante..”) stabilendo una completa comunione fra i fratelli in favore dei quali ogni certosino è capace di personali rinunce.
La loro vita non è circoscritta all’interno di una cella perché i padri si riuniscono tre volte al giorno per la celebrazione comunitaria delle lodi del mattino, della messa e dei vespri pomeridiani.
Alternativamente alle preghiere in cella, i monaci devono provvedere alla cura della persona ed assicurare, possibilmente in solitudine, lo svolgimento delle incombenze pratiche (obbedienze), interrotte per la preghiera (a cui si dedica circa metà delle ore a disposizione) del mezzogiorno, un breve tempo dedicato alla conversazione (locutio), la recita dell’ufficio divino (oratio) ed una meditazione dedicata a studi teologici in cella.
La celebrazione dei Vespri in coro, il pasto solitario e la preghiera concludono la giornata. Poi il riposo fino all’ufficio in comune del mattutino di mezzanotte. Quindi un riposo prima di partecipare, qualche ora dopo, alle lodi del mattino. Una volta alla settimana escono per una passeggiata (spaziamento) durante la quale si può parlare liberamente.
Quel che differenziava la vita certosina dai cenobi iniziali era la presenza dei fratelli conversi che, occupandosi delle necessità quotidiane della comunità, consentivano ai padri eremiti di dedicarsi totalmente a perseguire l’incontro con Dio. Altra scelta dei certosini è la devozione per la Madonna che è considerata loro madre particolare, in quanto tramite tra Dio e l’uomo.
L’ordine certosino, fedele all’itinerario tracciato da S. Bruno, è rimasto dedito alla contemplazione divina alternata alla vita comunitaria. Il primo compendio di regole, Consuetudines Cartusiae, redatte da Guigo (quinto priore della certosa di Grenoble) sulla base dello statuto stilato dal primo priore Pietro Guido di Chastel ed approvato da papa Alessandro III, reinterpretava la regola di S. Benedetto accentuando l’aspetto eremitico: celle separate e riunioni solo per la preghiera e per i pasti in comune dei giorni festivi.
Bruno, dopo qualche anno venne convocato a Roma dal’ex discepolo papa Urbano II che lo trattenne prima di proporgli la nomina ad arcivescovo di Reggio Calabria. Bruno, attratto dalla vita monastica, rifiutò per recarsi sul monte della Serra, in Calabria, dove in località Torre fondò (1091) il primo insediamento certosino in Italia.
Ricevette il sostegno del conte normanno Ruggero I d’Altavilla che gli fece battezzare il figlio Ruggero II, futuro re di Sicilia e gli consentì di costruire la Chiesa di S.Maria della Torre. I resti di Bruno riposano nella Certosa di Serra che fu costruita dopo la sua morte ed ampliata in periodo normanno.
I certosini, fedeli alle regole del fondatore, non accettando possedimenti e ricchezze, nel 1193 abbandonarono la costruzione monasteriale che passò ai cistercensi e da questi (1411) agli abati commendatari che ne alienarono i beni.
Il rinvenimento dei resti di Bruno e del successore Lanuino nell’altare della Chiesa suscitò un ritorno di fede che indusse i certosini a riprendere il possesso dei pochi fabbricati per avviare la costruzione di un grande complesso monasteriale che, danneggiato dal terremoto del 1783, venne interamente ricostruito. Esso è rimasto tutt’ora di stretta clausura.
5. Ordine camaldolese
Attorno a San Romualdo (925-1027), convinto che la vita eremitica costituisse il vertice dell’esperienza monastica e primo ad attuare in seno alla Chiesa latina il cenobitismo eremitico, si raccolsero comunità di discepoli che, nei monasteri di Camaldoli, vissero in povertà e penitenza.
L’inquieto e carismatico Romualdo, dopo aver peregrinato e vissuto diverse ed insoddisfatte esperienze, diede vita ad un movimento di riforma dell’istituto monastico, promuovendo dall’eremo di Camaldoli (Arezzo) nel 1012, il nuovo ordine religioso della Congregazione Camaldolese ispirato alla regola benedettina, coll’accentuazione della dimensione penitenziale.
Cercò di coniugare la tradizione monastica orientale dell’anacoretismo con il cenobitismo benedettino (Ego vobis, vos mihi) espressi dalla presenza nella stessa struttura sia dell’eremo che del monastero e simbolizzati nello stemma da due colombe che bevono dallo stesso calice.
Romualdo, deluso dal cenobitismo dei suoi tempi, fece vincolare la fondazione dell’eremo camaldolese ad una stabile vita solitaria, contemplativa, ancorata alla stabilità (stabilitas loci) e condotta con rigore, senza cui sarebbe stato difficile evitare di ricadere nelle comuni forme cenobitiche.
Per questo il primo nucleo dell’eremo camaldolese, costruito su una radura (Campo di Maldolo) rimase per parecchi anni una piccola struttura rappresentata da cinque celle separate da un piccolo orto, quasi a garantire aree autonome di silenziosa solitudine.
Qui alcuni contemplativi conducevano una vita solitaria povera ed ascetica, seguendo la regola di digiunare, tacere e rimanere nelle cellette, ad eccezione di alcuni momenti di preghiera, della refezione in comune (per cui era stato costruito un piccolo hospitium), e del “capitolo” domenicale per il quale si recavano alla Fonte Avellana (Gubbio), un eremo fondato da Romualdo negli ultimi decenni del X sec.
Il monastero sorto poco più in alto a completamento dell’eremo, si ingrandì nei secoli successivi. La Congregazione sostenuta dalla volontà riformatrice del vescovo di Arezzo, Teodaldo, ricevette il privilegio dell’esenzione dall’autorità vescovile e della protezione apostolica da papa Alessandro II (1061-1073) e l’ospizio fu subordinato all’eremo con la garanzia della sua assoluta autonomia.
Dopo la metà dell’XI sec., il monaco camaldolese Pier Damiani (1007-1072), priore di Fonte Avellana, noto per le sue qualità di maestro, attratto dal modello strutturale di Cluny, fu indotto ad espandere la Congregazione oltre la diocesi aretina ponendosi a capo di una piccola comunità di eremi che ebbero un successivo sviluppo e la cui intangibilità e la potestà assoluta del priore su tutta la congregazione furono sanciti dalla redazione di una Costituzione durante il priorato di Rodolfo (1074-1089).
All’inizio del XII sec. il mutato clima generale indusse una revisione (Regulae eremticae vitae) che anticipò la riforma cistercense con l’assunzione, per quanto riguarda i rapporti interni, di un modello più comunionale capace, allo stesso tempo, di garantire maggiore autonomia alle fondazioni dipendenti ed una rivalutazione della vita cenobitica ma, per quanto riguarda i rapporti esterni, accompagnato dall’esenzione dal potere di giurisdizione vescovile.
Schema che viene a superare la rigidità istituzionale, consentendo che, nonostante le rotture che hanno colpito nei secoli successivi il monachesimo e la stessa Camaldoli, il rapporto di comunione fra le due forme di vita spirituale (cenobitica ed eremitica) sia continuato a rimanere fino ad oggi la caratteristica pressoché unica della congregazione camaldolese nel panorama monastico occidentale.
La prima comunità femminile con la regola degli eremiti camaldolesi fu fondata dal beato Rodolfo Falcucci (1086) a Luco di Mugello.
porcodio