Il delfino è il protagonista di miti e leggende, patrimonio della storia culturale di molti popoli costieri del nostro pianeta, alcuni risalenti a 4.000 anni fa.
Oltre ai cantori, i cetacei hanno anche ispirato pittori e scultori; le arti cretese, romana, cinese e indiana del IV e V secolo a.C. ci hanno lasciato realistiche raffigurazioni plastiche, pitture e mosaici di questi animali.
L'uso di imprimere la silhouette di un delfino sulle monete, come simbolo di buona fortuna, è precedente alla cultura greca e lo ritroviamo ancora in tempi recenti.
Le immagini più sfruttate si riferiscono ai delfinidi e in particolare al delfino comune, al tusiope e all'orca, descritti spesso come animali capaci di speciali relazioni con l'uomo, gentili o dotati di poteri soprannaturali, espressione dello spirito che anima la natura e provvisti di una sorta di "intelligenza".
La tendenza dell'uomo è sempre stata quella di umanizzare il comportamento degli animali che ritiene più vicini a lui e così fecero gli antichi con questi straordinari esseri marini.
Pur non sapendo che fossero mammiferi e non conoscendo la loro anatomia e fisiologia, hanno sempre pensato che l'uomo avesse molte cose in comune con loro.
Oggi vedremo, tra mito e realtà, alcune storie (famose e meno famose) che riguardano questi stupendi mammiferi, completamente adattatisi alla vita acquatica. Scopriamole insieme.
1. La leggenda di Arione
C'era una volta Arione, un giovane musicista greco che viveva nell'isola di Lesbo.
Egli suonava e cantava come nessun altro. Si narra che dopo aver vissuto per un certo periodo a Corinto, ospite del re Periandro, decise di recarsi nelle colonie della Magna Grecia.
In Sicilia vinse tutte le gare disputate tra i più valenti cantori e musicisti, ottenendo premi e denaro.
Desideroso di tornare in Grecia, andò a Taranto dove si imbarcò con tutto ciò che possedeva su una nave corinzia.
Per suo sfortuna l'equipaggio era formato da pirati che decisero di ucciderlo per impossessarsi dei suoi averi. Arione supplicò i pirati affinché prendessero il suo denaro in cambio della vita.
Essi gli offrirono come alternativa, di buttarsi al mare, così il musicista, presa la lira, cominciò a suonare e a cantare un inno solenne, lasciando la ciurma stupita.
Terminata la sua esibizione si buttò in mare e subito un delfino lo fece salire sul dorso e lo portò sano e salvo a terra nei pressi di Capo Matàpan.
Da qui raggiunse la corte di Periandro, a cui raccontò la sua avventura. Quando i pirati arrivarono a Corinto, il re chiese loro notizie di Arione.
Essi risposero di averlo lasciato a Taranto, ma all'apparire del cantore non poterono più mentire, così Arione riebbe i suoi premi e il suo denaro.
La leggenda di Arione è certamente la più conosciuta e quella che meglio di ogni altra interpreta il rapporto che ha sempre legato l'uomo e i piccoli cetacei.
Per i greci questi animali erano sacri e il loro nome è associato al culto di Apollo nella città di Delfi, vicino al Monte Parnaso.
2. La leggenda Inuit dei narvali
Ma le leggende servono anche a fornire una spiegazione per ciò che l'uomo non riesce a comprendere ed ecco come per i nativi Inuit si è formato l'inusuale dente del narvalo.
Una vedova viveva con una figlia e un figlio cieco in una capanna isolata, fatta di ossa di balena, pietre e pelle di foca. Una piccola finestra faceva passare all'interno la luce del sole.
Un giorno un orso bianco (nanuq) si affacciò alla finestra. Nonostante ci fosse cibo a sufficienza, la donna costrinse il figlio a uccidere l'orso, aiutandolo a prendere la mira.
Mentendo, disse che l'animale era riuscito a fuggire, invece lo trascinò via, lo cucinò e lo mangiò di nascosto insieme alla figlia. Questa riuscì a noscondere dei pezzi di carne per il fratello, che potè cibarsi mentre la madre dormiva.
Così passò l'inverno e arrivò la primavera. Il ragazzo cieco chiese allora alla sorela di essere accompagnato sulla riva del mare, di essere lasciato solo e di costruire dei segnali di pietra (nuksuk) per consentirgli il ritorno.
Due strolaghe nuotavano lungo la riva: una di esse si avvicinò al ragazzo e lo fece salire sul suo dorso, portandolo al largo dove si immerse più volte, fino a che il giovane riacquistò la vista.
Ritornato alla capanna, egli vide la pelle dell'orso e chiese alla madre da dove provenisse. Mentendo ancora una volta, ella disse che era un dono dei cacciatori.
Venne l'estate e branchi di bianchi beluga passavano davanti all'accampamento. Il ragazzo preparò un'arpione con una vecchia sega lasciata dal padre, le zanne di un tricheco e il legno di un relitto di una baleniera arenata sulla spiaggia.
Fece una cima molto robusta con pelle di foca e catturò beluga a sufficienza per avere carne e lardo (maktak) per passare l'inverno. La madre avida pretese che ne cacciasse ancora e volle aiutarlo, tenedo la cima che era legata all'arpione.
Due beluga emersero vicino a loro, uno era molto grande. La donna disse di arpionare il più piccolo, ma il figlio sbagliò la mira e colpì l'esemplare più grosso che immergendosi trascinò con sé la donna.
Quando il cetaceo riemerse, la madre era legata al suo fianco e gridava disperata "Udluk, udluk!" ("Il mio coltello!").
Un vortive avvolse in una lunga spirale i suoi capelli che si trasformarono in un lungo dente, mentre il beluga la trascinava sul fondo, dove i 2 corpi si fusero, trasformandosi nel narvalo.
I cacciatori, ancora oggi, mentre si avvicinano ai narvali, sentono il grido "Udluk, udluk!" prima che gli animali si immergano.
3. La leggenda cinese del lipote e della neofocena
In Cina il lipote è conosciuto con il nome di Bai ji, termine che indica il colore bianco.
Nella tradizione cinese il lipote è spesso posto in contrasto con un altro odontocete che frequenta le acque dolci e gli estuari del sud-est asiatico, la neofocena, assimilata al colore nero.
Nonostante il comportamento confidente, il lipote non è mai stato descritto come i delfini nell'antica Grecia, né ritratto da artisti che pure si sono ispirati a molti organismi acquatici.
La più antica descrizione del lipote si trova su un dizionario denominato Erh Ya di datazione incerta (1000 a.C. circa). Le ragione della colorazione contrastante del lipote e della neofocena sono spiegate in un racconto.
In Cina c'era un bellissimo lago chiamato Dong Ting. Era così bello che sembrava un dipinto. Su una vicina montagna viveve un padrone di nome Bai.
Egli aveva una figlia tanto gentile quanto bella. Quest'uomo era molto severo e non le permetteva di parlare con nessuno. La ragazza era vivace e spesso si recava di nascosto sulle rive del lago Dong Ting.
Là incontrò un giovane fattore che era stato assunto da un anno. Presto i due si innamorarono e cominciarono a incontrarsi sulla spiaggia dove il giovane allietava la fanciulla suonando un flauto di bambù.
Un giorno, avendo sentito il richiamo del flauto, la giovane stava per raggiungere la spiaggia quando fu scoperta dal padre che la chiuse in casa e ordinò ai servi di arrestare il fattore e di frustarlo.
La ragazza corse in suo aiuto, ma il padre in collera li fece annegare nel lago Dong Ting. Quando la madre della fanciulla seppe quanto era avvenuto, obbligò il marito ad allontanarsi da casa. Dopo molti anni l'uomo decise di ritornare.
Sulla via del ritorno usò violenza a una giovane che viaggiava con lui sullo stesso vascello e che il dispiacere si suicidò nel lago. In quel momento un foglio salì in superficie, vi era scritto: "Molto tempo fa hai impedito l'amore tra tua figlia e il fattore gettandoli nel lago. Oggi hai violentato la figlia di un altro uomo presso lo stesso lago, sei una bestia con sembianze umane".
Improvvisamente, una tempesta fece annegare la nave e l'uomo fu tramutato in un delfino dalla pelle scura (neofocena). Quando si vedono insieme il delfino scuro con il delfino chiaro, si pensa che il padre segua la figlia trasformata nel lipote.
4. L'orca Old Tom e la caccia alle balene
L'esperienza più recente dimostra che gli incontri tra uomo e delfino non sono solo frutto della fantasia e il mito spesso nasce da fatti realmente accaduti: la storia di Old Tom non è una leggenda, ma potrebbe apparire tale.
A Twofold Bay, sulla costa sud-est dell'Australia, la caccia alla balena franca australe e alla megattera iniziò intorno al 1830 e continuò per circa un secolo.
Nella stessa area gli aborigeni australiani avevano un diverso rapporto con i cetaceii e in particolare con le orche.
Essi credevano che fossero la reincarnazione dei guerrieri morti e per questo motivo offrivano cibo ai grossi cetacei, che rispondevano ai loro richiami.
Nel 1860 Alexander Davidson, un cacciatore di balene, formò equipaggi di aborigeni ritenendo di utilizzare le loro capacità di abili cacciatori.
Questi continuarono nella loro abitudine, offrendo parti delle balene uccise alle orche, le quali impararono presto ad aiutare i balenieri, spingendo verso di loro le balene per ottenere in cambio pezzi di carne.
Gli uomini riconoscevano ogni individuo grazie alle cicatrici sulla pelle o dalla forma delle pinne dorsali. La più nota tra le orche era un maschio detto Old Tom, che pare abbia aiutato per circa 20 anni i balenieri della baia.
Si racconta che in qualche caso abbia afferrato la cima legata all'arpione e trascinato la carcassa della balena uccisa verso riva.
Morì di vecchiaia, il suo corpo fu recuperato il 17 settembre 1930 e il suo scheletro è oggi conservato presso il Museo di Eden, vicino a Sydney, in Australia (nella foto).
5. Diverse fonti storiche e la leggenda della tribù Haida
Attualmente, sempre in Australia, nella Shark Bay, ogni giorno un gruppo di delfini si avvicina alla costa per giocare e farsi offrire del cibo.
Questo fenomeno è oggi diventato un'attrattiva turistica, ma se fossimo degli antichi Greci potremmo interpretare questa confidenza come un segno della benevolenza di Poseidone.
L'uomo però non tollera di essere inferiore a qualsiasi altra forma vivente del pianeta e se nell'immaginario collettico il delfino è amico e porta con sé buoni auspici, la balena è troppo grande ed è quindi entrata nei miti di tutto il mondo attraverso un dualismo che confina tra il divino e il mostruoso.
Il nome stesso, cetacei, che comprende oltra alle balene anche i delfini, deriva dal greco ketos, mostro acquatico, a cui va portato rispetto.
Melville in Moby Dick dice: "Vi riuscirà interessante il pensiero che questo mostro fortissimo è veramente il re diademato del mare".
Nella Bibbia, nel libro di Giobbe, Giona (nella foto) è inghiottito dal Leviatano che è senza dubbio una balena. "Sulla terra non v'è simile a lui, creato senza paura. Egli contempla tutto ciò che è in alto, è re su tutti i figli dell'orgoglio".
Anche la tradizione islamica fa riferimento alle balene e dice che è una balena sulle acque a sostenere il mondo: essa, infatti, sorregge un toro che a sua volta sostiene un angelo con il mondo sulle spalle. Se il demonio distrae la balena e questa si muove, avvengono i terremoti.
Esistono anche leggende che tentano di sfatare la cattiva fama che ha sempre accompagnato i grani animali.
Un'antica storia canadese sostiene che i mostri del mare fossero esseri dotati di poteri soprannaturali, che abitassero una città edificata sul fondo dell'oceano e che catturassero gli uomini che si avventuravano al largo per pescare. ù
Un giorno, uno di questi pescatori della tribù Haida, fi trasformato in orca e divenne il capo. L'orca, non dimentica delle sue origini, decise di convincere tutti i mostri del mare a non assalire più i pescatori e li invitò a una festa, presso il fiume Nass.
Quando tutti furono nella sua casa, ciascuno con il proprio costume, presero posto intorno al fuoco secondo il loro rango e ascoltando le sue parole.
Dopo un lungo silenzio tutti promisero di rispettare le sue richieste. Il capo, per dimostrare la sua gratitudine, decise di indossare a turno i loro costumi.
Da quel giorno i discendenti del capo scolpiscono l'effigie dei mostri marini sulla sommità dei loro totem per ricordarlo.