Fin dai tempi più antichi numerose leggende e miti hanno gravitato intorno al “mistero dell’ambra”.
Il suo colore “solare”, il basso peso specifico, la capacità di elettrizzarsi, la sua temperatura al tatto, la presenza in alcuni campioni di inclusioni biologiche, la marcata fluorescenza di alcune varietà e il particolare aroma che emana quando brucia sono alcune delle cause della “magia” di questa gemma.
Proprio per il suo aspetto luminoso e solare l’ambra è stata utilizzata in Europa settentrionale, fin da epoca mesolitica (8000 a.C.), per fabbricare amuleti e oggetti d’ornamento.
E’ una resina fossile originata dalla secrezione di piante ad alto fusto appartenenti a specie, oggi estinte, caratterizzate dalla capacità di produrne in grande quantità.
Tale resina ha subito un complesso processo di fossilizzazione, coinvolgente varie reazioni, quali processi di disidratazione e polimerizzazione e perdendo nel corso dei millenni i terpeni (sostanze volatili che la componevano), trasformandosi da una resina molliccia e appiccicosa in una più dura e resistente.
Il nome ambra, deriva dall’arabo anbar, che inizialmente stava ad indicare una sostanza cerosa, costituente un rifiuto o calcolo intestinale del capodoglio.
Il termine latino per indicare l’ambra era sucinum ed era spiegato da Plinio come derivante da sucum, il succo o la resina degli alberi.
Oggi ci occuperemo di questo meraviglioso e prezioso capolavoro della natura ed in particolare vedremo meglio la sua genesi, morfologia, il processo della sua formazione, la sua classificazione mineralogica e le sue proprietà chimico-fisiche.
1. Genesi dell'ambra
L’ambra è una resina fossile originata dalla secrezione di piante ad alto fusto appartenenti a specie, oggi estinte, caratterizzate dalla capacità di produrne in grande quantità.
Le prime tracce di piante produttrici di resina (antenate delle attuali conifere) si hanno nel Mesozoico circa 250 milioni anni fa.
Le “resine d’origine”, come le attuali, sono insolubili in acqua e non provengono necessariamente da conifere (Gimnosperme), ma anche da diverse piante con fiore (Angiosperme) situate in foreste di aree paleogeografiche con un paleoclima tropicale e subtropicale.
Lo studio delle attuali specie di piante “produttrici” grandi quantità di resina ci può dare utili informazioni sulle quantità d’ambra in alcuni giacimenti, sulla morfologia, sulle inclusioni biologiche/minerali in senso ampio e conseguenti caratteristiche cromatiche.
E’ studiando la biologia degli alberi “produttori di ambra” che la biochimica statunitense J. H. Langenheim (1995) ha trovato numerose analogie tra passato (paleoresine) e presente (resine attuali).
Queste paleoresine sarebbero un complesso di composti terpenoidi costituiti da una frazione volatile e da una componente non volatile, costituita generalmente da diterpenoidi.
Nelle attuali foreste dove vivono queste “piante produttrici di resina” la causa dell’essudazione è attribuibile principalmente a due fattori.
- essudazione a scopo difensivo da insetti fitofagi, funghi patogeni e, nei climi più secchi, per prevenire l’essiccamento del tronco e per proteggerlo dai raggi ultravioletti. I terpenoidi che costituiscono questa resina vengono sintetizzati da cellule epiteliali poste all’interno del tronco. La resina può fuoriuscire, inglobando “materiale estraneo” posto sulla corteccia del tronco, oppure rimanere all’interno accumulandosi all’interno di “tasche” dell’albero.
- essudazione a scopo attrattivo di predatori di insetti fitofagi e impollinatori. Questo tipo di resine viene prodotto dalle foglie della pianta stessa. E’ ricco di componenti volatili (mono e sesquiterpenoidi) che danno una grande fluidità alla resina.
2. Processo di formazione dell'ambra
Dopo la deposizione evapora una parte dei componenti volatili e a seguito di diverse reazioni chimiche, varie molecole si legano tra loro formando alcuni monomeri.
La resina comincia così ad indurirsi, formando un prodotto semifossile denominato copale.
Il processo chimico sì chiude con la polimerizzazione cioè la formazione dì vari polimeri (ovvero molecole giganti costituite dall’unione di vari monomeri) e la conseguente stabilità chimica.
In quest’ottica l’ambra rappresenta il passaggio successivo, ovvero il completamento del processo di fossilizzazione, o più propriamente del processo di polimerizzazione, della copale.
Ma da quale “punto” in poi possiamo cominciare a parlare di ambra?
G.O. Poinar (1992), definisce la copale come “un deposito recente” di resina che non è più modellabile con le mani e che fonde sotto i 150°C.
Estremamente utile per analisi gemmologiche è la procedura utilizzata da S.J.A. Currie (1997), secondo cui, ponendo opportuni solventi, quali etanolo, etere etilico o acetone sulla superficie del materiale in esame per 30 secondi, le resine recenti e le copali (“resine semifossili”) sono solubili, mentre le ambre non lo sono.
Risalire al “grado di maturazione” di una “resina fossile”, indagando sulla conversione dei monomeri in polimeri è certamente meno “arbitrario” ma assai più complesso.
Secondo i geochimici statunitensi K.B. Anderson e J.C. Crelling (1995), il grado di maturazione di una resina dipende dal tempo, ed inoltre dalla temperatura e dalla pressione a cui si trovavano i sedimenti che avvolgono la resina stessa.
Anche per la resina la temperatura accelera i processi chimici e in questo caso, favorisce la formazione della “macromolecola ambra”.
Va sottolineato inoltre l’importanza che ricopre il luogo dove avviene la sedimentazione poiché sia la corteccia sia il sottobosco che ricoprono la resina colata rappresentano una protezione che assicura una maggiore probabilità di successo verso la via della futura polimerizzazione e quindi della formazione dell’ambra.
3. Morfologia dell'ambra
L’ambra si rinviene in noduli o piccole masse di varie dimensioni e forme: a piastre, a grumi (gocce ingrossate), a stalattiti, a colate (talvolta sovrapposte) e a blocchi, fornendoci utili indizi sulla formazione della “paleoresina”.
Alcune forme “a blocchi” deriverebbero dall’accumulo della resina nelle “tasche” poste all’interno dell’albero. Nel secolo scorso veniva fusa per produrre lacche e vernici di ottima qualità.
L'ambra non è un cristallo, ma una miscela di composti organici. Ha un colore giallo-miele e una buona trasparenza. Al suo interno vi possono essere zone opache o superfici piane quasi circolari e perfino insetti, moscerini, ragni, vespe e formiche.
Può essere facilmente confusa con il coppale, una specie di resina semifossile naturale poco pregiata e molto meno trasparente. Distinguere dalle imitazioni sintetiche l'ambra e il coppale naturale è facile, basta preparare una soluzione concentrata di acqua e sale da cucina: l'ambra e il coppale galleggeranno.
Per distinguere l'ambra dal coppale basterà un bicchierino di alcol denaturato: il coppale si ammorbidirà, mentre l'ambra rimarrà durissima. Per distinguere invece l'ambra dalle materie plastiche artificiali ci vorranno due dita di benzolo: anche in questo caso la vera ambra rimarrà intatta, mentre le imitazioni saranno leggermente corrose.
Si conoscono, oggi, almeno 80 siti di ritrovamento di ambra, distribuiti per tutto il pianeta, e costituitisi in un amplissimo periodo che va dal Cretaceo all'Eocene, all'Oligocene al Miocene (Regioni del Baltico, Romania, Sicilia, Santo Domingo, Messico meridionale, Birmania).
4. Classificazione mineralogica e chimica
E’ doverosa una premessa: l’ambra è una sostanza amorfa, in altri termini è priva di reticolo cristallino ed è inerte ai raggi X.
La International Mineralogical Association (IMA) non classifica l’ambra tra le specie minerali; tanto meno la Commission on New Minerals Nomenclature and Classification (CNMNC) subentrata, nello specifico compito di classificazione, all’International Mineralogical Association (IMA) da luglio 2006.
Anche altre classificazioni (ad esempio la Mineral Index) non considerano l’ambra una specie minerale. La Mineralogische Tabellen invece, inserisce l’ambra tra le specie minerali e la riporta nella classe X tra le Sostanze Organiche.
Le discordanze tassonomiche sono la riprova delle difficoltà che si incontrano nel caratterizzare questa gemma.
Nel 1992, attraverso analisi di pirolisi-gascromatografia/spettrometria di massa (pir-GC/MS), lo scienziato Anderson propose, alla comunità scientifica, un razionale sistema di classificazione chimica per “resine fossili” in senso ampio, basato sulle caratteristiche delle strutture molecolari.
L’ambra in senso stretto, appartiene alla classe I dei Polilabdanoidi. Ha una struttura macromolecolare costituita dai polimeri diterpeni labdanoidi legati agli acidi labdatrienici carbossilici, alcoli e idrocarburi. La presenza di acido succinico discrimina l’appartenenza ad una sottoclasse differente.
5. Proprietà chimico-fisiche dell'ambra
Da un lavoro di caratterizzazione di ambre, effettuato tramite analisi termogravimetriche su alcune tra le “principali” ambre (un compromesso tra le quantità estratte e l’interesse scientifico del ritrovamento), risulta che la composizione chimica media, rispetto al peso molecolare complessivo dell’ambra, varia all’interno di un intervallo di:
- 75-84% circa di carbonio (C);
- 10-11% circa di idrogeno (H);
- 5-15% circa di ossigeno (O) e di tracce (0,02-1,74%) di zolfo (S) e di azoto (N).
Schematicamente la formula chimica dell’ambra è: C10H16O.
Come già ricordato l’ambra è una sostanza amorfa (priva di reticolo cristallino) ed è inerte ai raggi X.
La sua densità relativa oscilla fra 1,050 e 1,100, tanto che in una soluzione di acqua con una concentrazione satura di cloruro di sodio galleggia.
La sua durezza varia da 2,5 a 3,5 della scala di Mohs. La frattura è concoide, ed essendo una sostanza amorfa non presenta sfaldatura.
Il suo indice di rifrazione n è 1,540, possiede una tipica lucentezza resinosa (talvolta cerea).
La temperatura di rammollimento va da 200° a 380°C. A contatto con una punta rovente emette un fumo grigiastro con un odore resinoso-acre ed è insolubile all’etanolo, etere etilico e all’acetone.