Furono i Greci a dare il nome di Fenici (Phòinikes) ai navigatori che partivano dalle città cananee e che costruirono un impero commerciale e marittimo in tutto il Mediterraneo.
I Romani li chiamarono con una parola simile, pronunciata però un po’ diversamente, Poeni o Punici.
Questo nome derivava dalla parola che in greco indica la porpora, un costosissimo colorante utilizzato per gli abiti di lusso: questa sostanza, ricavata dalla macinazione di una conchiglia, era una delle merci di cui i mercanti fenici avevano il monopolio.
La civiltà fenicia nacque nelle città costiere dell’antica Terra di Canaan, lo stesso paese in cui, più a sud, viveva il popolo di Israele. Oggi il territorio che fu dei Fenici appartiene al Libano e in parte alla Siria.
Come le altre popolazioni cananee, i Fenici parlavano una lingua semitica quasi identica all’ebraico.
Fino a poco tempo fa, tutto quello che sapevamo sull’espansione dei Fenici nel Mediterraneo dipendeva dalle fonti scritte e dai ritrovamenti archeologici.
Negli ultimi anni, però, la scienza ha cominciato a fornirci un nuovo, importante strumento: l’analisi genetica. Il Dna umano è una struttura estremamente complessa che si trasmette in via ereditaria; ovviamente ogni essere umano combina due Dna, quello del padre e quello della madre.
Studiando il Dna è possibile ricostruire parentele anche antichissime fra singoli individui e fra interi gruppi umani; questo significa che nel patrimonio genetico delle popolazioni mediterranee attuali si può ritrovare la traccia dei popoli antichi da cui discendono.
I primi studi dedicati ai Fenici hanno cercato di capire se avessero qualcosa in comune con i Minoici e con i Popoli del Mare; la risposta è stata negativa, perché nel Libano, terra d’origine dei Fenici, e nelle zone colonizzate da loro, come Malta e la Spagna, si è ritrovato uno stesso cromosoma, che manca nelle aree dell’Egeo.
Agli scienziati a volte piace comunicare alla stampa i risultati delle loro ricerche in modo sensazionale: in questo caso hanno dichiarato che forse addirittura 1 uomo su 17 di tutti quelli che vivono nelle zone costiere del Nordafrica e dell’Europa meridionale discende in linea diretta da un Fenicio.
Ma vediamo 5 cose molto interessanti su questo popolo straordinario di navigatori, inventori e commercianti.
1. Una civiltà di navigatori
La civiltà fenicia fiorì nelle città costiere della Terra di Canaan.
I Fenici erano un popolo di origine semitica e il loro nome deriva dalla parola che in greco indica la porpora.
Erano organizzati in città-stato, la cui ricchezza nasceva dal commercio, che, per gran parte del I millennio a.C., fu in mano ai mercanti fenici.
Per gran parte del I millennio a.C. il commercio del Mediterraneo, soprattutto lungo le sponde meridionali, fu in mano ai mercanti fenici, che operavano sotto la protezione di potenti flotte da guerra.
Oltre alla porpora, le merci più importanti su cui si basavano i loro traffici erano vino, tessuti, vetrerie, vasellame, metalli, e il prezioso legno di cedro del Libano.
Per tutta l’Età del Ferro i Fenici dominarono il commercio navale del Mediterraneo e in tutti i luoghi in cui si spinsero fondarono colonie, la più famosa delle quali fu certamente Cartagine, nell’attuale Tunisia.
Ai Fenici, inoltre, si deve la diffusione dell’alfabeto che ancora oggi usiamo.
A partire dal 700 a.C., le città fenicie furono sottomesse dagli Assiri prima e dai Babilonesi poi. In seguito, nel 539 a.C., furono annesse all’impero persiano da Ciro il Grande, per declinare gradualmente dal IV secolo a.C. re delle maggiori città rimasero al potere, ma come vassalli del Gran Re persiano.
La loro potenza navale fu messa al servizio dei Persiani; navi e marinai fenici formavano la maggior parte delle flotte del Gran Re.
Intorno al 350 a.C. Sidone si ribellò e venne distrutta, e pochi anni dopo Alessandro Magno conquistò l’impero persiano; a Tiro, che cercò di resistere, la popolazione venne massacrata o venduta in schiavitù.
A partire da quest’epoca la prosperità della Fenicia declinò definitivamente; il centro della civiltà fenicia era ora Cartagine, molto più a occidente, che si preparava ad affrontare la grande sfida con la potenza emergente di Roma.
2. La potenza di Cartagine
Cartagine venne fondata verso l’800 a.C. da navigatori di Tiro, che la chiamarono in fenicio Qart-hadasht, ossia "la città nuova".
Secondo la mitologia greca e romana, i coloni erano guidati da una donna, Didone, sorella del re di Tiro Pigmalione, che fu la prima regina di Cartagine e ospitò Enea dopo la distruzione di Troia.
La sua posizione si rivelò ideale per il controllo dei commerci tra Oriente e Occidente.
Sulla storia di Cartagine sappiamo purtroppo molto poco. La totale distruzione della città da parte dei Romani nel 146 a.C. ha provocato la sparizione di qualsiasi testimonianza di parte cartaginese.
Da un lato i Cartaginesi crearono una serie di basi navali in tutto il Mediterraneo occidentale, dall’altro si espansero nell’entroterra nordafricano.
Cartagine divenne un impero marittimo e commerciale, che estendeva il suo controllo su una lega di città alleate, più o meno autonome, ma fu anche uno Stato territoriale con un’importante produzione agricola.
Il potere militare e quello civile erano divisi. Quest’ultimo era affidato ai suffeti. Vi erano, inoltre, un consiglio di governo, un tribunale supremo – importantissimo centro di potere – e l’assemblea dei cittadini.
Dalla fine del VI secolo a.C., Cartagine comincia a confrontarsi con altre potenze mediterranee emergenti. A quest’epoca risale la stipula del primo trattato commerciale con Roma (509 a.C.).
3. La religione dei Fenici
I Fenici erano politeisti. Il dio supremo era Baal , che vuol dire ‘il Signore’; era il padrone dell’universo e come lo Zeus greco scatenava le tempeste, temutissime dai navigatori.
Un’altra divinità importante era Astarte, la grande divinità femminile di tutto il Vicino Oriente, dea dell’amore e della guerra.
C’erano poi gli dèi protettori delle singole città, come Melqart, protettore di Tiro, da cui pretendevano di discendere i re della città.
Il culto degli dèi fenici era molto diffuso persino tra gli Ebrei, ma sulle pratiche religiose ci è giunto ben poco.
Sappiamo però che a gestire il culto erano i sacerdoti dei templi, personaggi potenti nel contesto sociale.
I marinai di Tiro celebravano il loro protettore, Melqart, con una danza sacra fatta di salti e giravolte, come se fossero stati invasati e posseduti dal dio; e danze ritmiche di questo genere erano praticate anche a Cartagine.
Il culto degli dèi era gestito soprattutto dai sacerdoti dei templi, che erano personaggi potenti: a Tiro, il sommo sacerdote del tempio di Melqart era secondo soltanto al re.
A Cartagine il dio Melqart fu gradualmente sostituito da Baal-Hammon, identificato con il sole.
Negli ultimi secoli della sua storia, prima della distruzione della città da parte dei Romani, a Cartagine prese piede anche il culto della dea Tanit, identificata con la Luna e chiamata a proteggere la fertilità.
4. Moloch e i sacrifici di bambini
La pratica più discussa della religione fenicia è quella dei sacrifici di bambini e neonati.
Le fonti in nostro possesso sono quelle marcatamente ostili degli Ebrei e dei Romani.
Nella Bibbia il dio a cui sono sacrificati i neonati è chiamato Moloch, e Yahweh rivolgendosi al popolo di Israele condanna espressamente questa pratica, ordinando di lapidare a morte chi «dà i suoi figli a Moloch» (Levitico 20,2-5).
In realtà Moloch è probabilmente un fraintendimento della parola fenicia molk, che indicava il rituale stesso del sacrificio, il "passaggio per il fuoco".
Tuttavia, benché gli archeologi non abbiano trovato traccia di queste pratiche nelle città della costa fenicia, sono state ritrovate ossa carbonizzate di bambini nei tophet delle colonie occidentali, in Nordafrica, ma anche in Sardegna, Sicilia e Malta.
È plausibile ritenere che il sacrificio di bambini – il bene più prezioso della comunità – fosse svolto per ingraziarsi la benevolenza del dio del Sole.
Negli ultimi secoli della storia di Cartagine, i sacrifici di bambini vennero sostituiti dai sacrifici di piccoli animali.
Questo cambiamento è probabilmente legato alla crescente influenza della cultura greca, di cui a quell’epoca risentirono tutte le città del Mediterraneo e che trasformò in parte Cartagine in una città ellenistica, dove le tradizioni fenicie originarie perdevano forza.
5. Nel Mediterraneo: viaggiano gli uomini e le merci, gli alfabeti e gli dèi
Il dinamismo dei navigatori fenici favorì la circolazione delle merci e della ricchezza, ma anche della cultura e delle idee, contribuendo in modo determinante alla mescolanza culturale e linguistica tipica del Mediterraneo.
I Greci, per esempio, adottarono dai Fenici l’alfabeto e alcune tradizioni religiose.
Quando i Greci, intorno all’800 a.C., avvertirono il bisogno di scrivere di nuovo la loro lingua, secoli dopo la fine della civiltà micenea, non ricorsero più all’antico Lineare B, che era stato del tutto dimenticato, ma imitarono l’alfabeto fenicio, che si basava su un concetto nuovo e molto più pratico, con un segno per ogni suono, anziché per ogni sillaba.
Questo alfabeto aveva appena 22 segni. I Greci usarono certe lettere dell’alfabeto fenicio, corrispondenti a suoni che non esistevano nella loro lingua, per scrivere le vocali.
La prima lettera dell’alfabeto, aleph, in fenicio indicava probabilmente quel suono gutturale che i linguisti chiamano glottal stop, ma i Greci la usarono per scrivere la vocale “a”; la lettera però conservò il suo nome, che i Greci pronunciavano alpha.
La popolazione cartaginese fu il risultato della mescolanza tra le genti fenicie e quelle berbere dell’entroterra.
Cartagine, inoltre, ospitava mercanti e artigiani greci e la sua aristocrazia assorbì sempre più i modelli culturali, politici e religiosi ellenistici. E lo stesso si può dire di Roma nella stessa epoca.