Malgrado l’apparente inospitalità, i deserti dell’Africa settentrionale e dell’Asia occidentale annoverano molti rettili di notevole interesse terraristico.
Tra i più noti, anche se non tra i più diffusi in commercio, vi sono i sauri Agamidi della sottofamiglia degli Uromasticini, comunemente noti come uromastici o agame dalla coda spinosa (se ne conoscono almeno 18 specie ).
In passato gli uromastici erano ritenuti sauri poco longevi in terrario, dove difficilmente superavano i 2-3 anni di vita: oggi, grazie a dieta e ambiente più appropriati, specie come U. acanthinuro e U. aegyptia possono superare i 15 anni in cattività.
Gli uromastici sono infatti tra i pochi rettili prevalentemente vegetariani, adattatisi a consumare organismi (i vegetali, appunto) certamente non abbondanti nei deserti, ma in compenso costituiti in gran parte proprio da acqua.
La loro dentatura è tipica di animali erbivori: gli elementi della parte anteriore della mascella e della mandibola presentano forma di incisivi e sono separati dagli altri elementi da uno spazio vuoto (diastema).
È raro vederli al mattino o al crespuscolo, quando sono torpidi e lenti nei movimenti, mentre compaiono ovunque quando la temperatura supera i 40°C all’ombra!
Sono infatti tra i rettili più termofili che si conoscano, con una temperatura corporea ottimale di 36-40°C e una TMC (temperatura massima critica) variabile, a seconda della specie, da 45°C a 47-49°C.
Sotto i 20°C arrestano l’attività e, nelle regioni meno calde, d’inverno possono ibernare a 10-15°C nelle stesse tane in cui si rifugiano dal caldo durante le ore più torride.
Questi sauri sono piuttosto costosi: per un captive bred o per un wild ben acclimatato non si spende meno di un centinaio di euro, più frequentemente dai 150-200 euro in su.
Ma scopriamo meglio questi straordinati rettili, come preparare il terrario per tenerli in casa, le loro abitudini e caratteristiche alimentari, la loro riproduzione e tantissime altre cose e consigli utili.
CLASSIFICAZIONE SCIENTIFICA
- Dominio: Eukaryota
- Regno: Animalia
- Phylum: Chordata
- Classe: Reptilia
- Ordine: Squamata
- Sottordine: Sauria
- Infraordine: Iguania
- Famiglia: Agamidae
- Sottofamiglia: Uromastycinae
- Genere: Uromastyx
1. Una coda temibile e ... appetitosa
Chi ha avuto la fortuna di viaggiare nell'immenso deserto del Sahara, o negli altrettanto impressionanti anche se meno estesi deserti dell'Arabia o del Thar, avrà probabilmente incontrato alcuni dei rettili più tipici di quelle aride regioni, tra i quali non possono mancare gli strani uromastici.
Per la verità, osservarli da vicino in natura è tutt'altro che semplice, a causa della loro più che giustificata diffidenza:
i beduini (che chiamano l'uromastice dàbb o dòb), i tuareg (che lo conoscono come agsaràm) e molti altri popoli dei deserti considerano infatti la coda di questi sauri, ricca di adipe in quanto utilizzata come "riserva alimentare" dall'animale, un cibo particolarmente prelibato e per questo li cacciano assiduamente ovunque essi vivano.
Per di più, fino ad un recente passato la loro pelle (in particolare quella di Uromastyx asmussi, dell'Iran) veniva utilizzata per la fabbricazione di borse e scarpe.
Gli uromastici sono facilmente riconoscibili dai numerosi altri sauri deserticoli grazie al corpo tozzo e fortemente depresso, con il capo piccolo e curiosamente simile a quello delle tartarughe terrestri (con le quali hanno del resto in comune la dieta prevalentemente vegetariana), ma soprattutto per la coda larga, grossa e appiattita, coperta superiormente e lateralmente da numerose serie anulari di grandi e regolari squame puntute simili a "spine", nettamente diverse dai piccoli e delicati granuli che rivestono le altre parti del corpo.
L'italiano Giuseppe Scortecci, tra i maggiori studiosi dell'erpetofauna dell'Africa nord-orientale, paragonò questa coda "allo stipite di una palma ancor rivestito della parte basale delle foglie ... la somiglianza è così spiccata che i francesi danno all'uromastice il nome di lucertola delle palme".
Evidentemente, una coda così agguerrita non serve solo come riserva di cibo: con essa, infatti, l'uromastice sbarra la tana (una fessura o una cavità tra le rocce e i radi cespugli) in cui si rifugia con inaspettata velocità malgrado la sua apparente indolenza, rendendosi così quasi invulnerabile agli attacchi dei pochi predatori - volpi del deserto, varani, rapaci - che lo minacciano.
2. Abitudini e caratteristiche
Malgrado siano tra i più tipici rettili deserticoli, gli uromastici non si trovano mai tra le classiche dune di sabbia, preferendo piuttosto i biotopi rocciosi e steppici dalla morfologia molto tormentata, con fondo sabbioso o argilloso cosparso di rocce, sassi, arbusti e cespugli secchi per gran parte dell'anno, salvo rinverdirsi in occasione delle rarissime piogge.
Spesso sfruttano le tane scavate da altri animali (roditori soprattutto), con i quali possono perfino convivere, ma di solito se non le scavano direttamente le modellano a loro piacimento.
In tal caso, la galleria che si diparte dall'ingresso scende dapprima ripida per un tratto di circa 30 cm e corre poi orizzontale anche per qualche metro, ramificandosi in alcuni piccoli tunnel secondari, alla cui estremità tra la primavera e l'inizio dell'estate la femmina depone fino a una ventina di uova; dopo la nascita, i piccoli vivono per qualche tempo coi genitori nella tana.
Per resistere alla cronica siccità e alle elevatissime temperature di questi luoghi, gli uromastici hanno evoluto una serie di adattamenti piuttosto sorprendenti.
È raro vederli al mattino o al crespuscolo, quando sono torpidi e lenti nei movimenti, mentre compaiono ovunque quando la temperatura supera i 40°C all'ombra!!!
Sono infatti tra i rettili più termofili che si conoscano, con una temperatura corporea ottimale di 36-40°C e una TMC (temperatura massima critica) variabile, a seconda della specie, da 45°C a 47-49°C.
Sotto i 20°C arrestano l'attività e, nelle regioni meno calde, d'inverno possono ibernare a 10-15°C nelle stesse tane in cui si rifugiano dal caldo durante le ore più torride.
La loro colorazione è molto mutevole, soprattutto quella della gola e dei lati della testa, variando con notevole rapidità insieme alla temperatura: al mattino in genere è molto più scura, ma quando la temperatura corporea aumenta sotto i raggi del sole i cromatofori chiari (gialli e aranciati) si diffondono nella pelle, schiarendola sensibilmente.
Se la loro temperatura corporea supera i 42°C, la respirazione diviene più rapida: spalancano la bocca facendo affluire una quantità d'aria maggiore ai polmoni e accelerando la frequenza degli scambi gassosi, grazie ai quali aumenta l'evaporazione dei liquidi sottraendo così calore al corpo.
Ma non basta: attraverso i solchi della parete cloacale, riassorbono dall'urina e dagli altri escrementi la maggior quantità possibile d'acqua (e con essa anche sali, quali cloruro di calcio e di sodio, elle successivamente vengono di nuovo escreti attraverso speciali ghiandole situate nei condotti nasali, formando spesso attorno alle narici delle croste saline).
Dispongono infine di abbondanti riserve di adipe sottocutaneo e caudale, la cui combustione fornisce ulteriore acqua all'organismo.
3. Come preparare il terrario e l'alimentazione
Anche la dieta contribuisce ad ottimizzare al massimo lo sfruttamento delle preziose risorse idriche nel duro ambiente desertico.
Gli uromastici sono infatti tra i pochi rettili prevalentemente vegetariani, adattatisi a consumare organismi (i vegetali, appunto) certamente non abbondanti nei deserti, ma in compenso costituiti in gran parte proprio da acqua.
La loro dentatura è tipica di animali erbivori: gli elementi della parte anteriore della mascella e della mandibola presentano forma di incisivi e sono separati dagli altri elementi da uno spazio vuoto (diastema).
Si nutrono da adulti quasi esclusivamente di piante erbacee e cespugliose (come le artemisie), semi e bacche, mentre durante il periodo giovanile anche di insetti (coleotteri e locuste).
Vederli mangiare in natura è un'esperienza davvero interessante: con la bocca afferrano un ciuffetto di steli secchi (si accontentano anche dei cespugli già brucati dalle gazzelle) e, scuotendo il capo, strappano l'erba, poi con lentezza la schiacciano e la ingollano.
In terrario si possono facilmente alimentare con foglie e fiori di erbe selvatiche (cicorie, dente di leone, borragine, trifoglio, erba medica, crescione, valeriana, portulaca), carote, zucchine, semi di girasole e granaglie varie (meglio se ammollati nell'acqua e lasciati asciugare), gli esemplari più voraci e nati in cattività ("cb" o captive bred) anche con pellettati per conigli e iguane.
Solo saltuariamente agli adulti - ma almeno tre volte a settimana agli individui giovani - vanno somministrati insetti quali camole della farina e del miele, grilli, cavallette, bachi e blatte.
Gli uromastici sono ottimi scavatori, ma - salvo le specie più piccole - mediocri arrampicatori, anche se riescono a spostarsi agilmente tra le rocce ripide ed impervie.
Il terrario dovrà essere pertanto ben sviluppato in lunghezza e profondità piuttosto che in altezza (dimensioni minime per una coppia adulta: 150x100x70 cm), anche per evitare una dispersione eccessiva di calore.
Il coperchio, ben chiuso, sarà costituito da una grata o da un telaio di rete fine: in questo modo, all'interno della teca sarà garantita sempre una buona circolazione dell'aria, evitando eventuali su rriscaldamenti e ristagni d'umidità, che sarebbero pericolosi per l'apparato respiratorio.
La sabbia fine per uso terraristico è particolarmente adatta come unico substrato, spesso almeno una quindicina di centimetri (evitare fondi multistrato, facilmente sconvolti dall'attività fossoria degli uromastici).
Nella sabbia si possono sotterrare dei tubi in pvc di diametro adeguato, utilizzabili stabilmente come tana a galleria (tunnel) dai rettili che, in tal modo, scaveranno meno accanitamente sul fondo.
L'estremità della galleria può comunicare con una "camera umida", costituita da una capace scatola di plastica per alimenti dal coperchio rimovibile e con un foro a misura del tubo praticato su una delle pareti: sul fondo della scatola si disporrà uno strato di una decina di centimetri di torba mista a sabbia, mantenuta sempre umida in modo che all'interno della camera l'umidità relativa sia sempre sul 70-80%.
Questo ambiente sarà sfruttato soprattutto dalla femmina per l'ovodeposizione. La vegetazione nel terrario è superflua e, anzi, il più delle volte .. . a rischio, essendo allegramente divorata da questi pacifici sauri erbivori.
L'arredamento dovrebbe essere limitato a qualche grossa roccia, sassi e cortecce di sughero, sfruttati anche per fare basking (riscaldamento sotto una fonte di calore). Nascondigli saranno presenti in diverse zone del terrario, dove gli animali si rifugeranno durante le ore notturne.
4. Per riprodurli ci vuole esperienza
Il fabbisogno idrico degli uromastici è, come già detto, ridotto ai minimi termini.
La classica vaschetta d'acqua è pertanto superflua, se non sconsigliata visto che l'umidità relativa nel terrario non dovrebbe superare mai il 20-30%.
L'escursione termica sarà sempre molto marcata:
spot riscaldanti, lampade a infrarossi o in ceramica assicureranno il calore dall'alto (meglio evitare invece cavetti riscaldanti e piastre termiche interne), con una temperatura sotto il punto basking fino a 45-48°C e una temperatura media all'interno del terrario che, dai 30-35°C durante il giorno, di notte dovrà scendere sensibilmente, portandosi intorno ai 15-20°C.
Gli uromastici necessitano di un'elevata quantità di raggi UV (5-6% di UV-Be 30-35% di UV-A) per la sintesi della vitamina D3, erogati da speciali lampade per terrario:
consigliabile inoltre un'esposizione diretta degli animali ai raggi del sole nelle ore più calde durante i mesi estivi.
La riproduzione degli uromastici non è tra le più semplici, già a cominciare dal dimorfismo sessuale, poco evidente: i maschi si riconascono per i pori femorali più marcati, a volte anche per la taglia maggiore e la corporatura più massiccia.
Tutte le specie si possono tenere in coppia (i maschi sono territoriali e molto litigiosi fra loro), eccetto U. hardwickii che in natura vive in colonie dalla gerarchia piuttosto complessa e andrebbe tenuto almeno in trio (un maschio e due femmine).
Assolutamente indispensabile è un periodo di brumazione (leggero letargo) piuttosto lungo, a partire dall'inizio dell'autunno fino a tutto dicembre-metà gennaio, consistente in una graduale diminuzione sia del fotoperiodo (da 12-14 a 3-4 ore al giorno di luce) che della temperatura ambiente (fino a 18-20°C di media, con 10-12°C notturni) e contemporanea riduzione della somministrazione del cibo (sospesa del tutto nell'ultimo mese).
Si procederà quindi a un altrettanto graduale ripristino delle condizioni ottimali, che favorirà l'accoppiamento preceduto dalle vivaci parate nuziali osservabili con l'arrivo della primavera.
Una volta fecondata, la femmina gravida - riconoscibile per la spiccata tendenza a nascondersi e a scavare - andrebbe tenuta separata dal focoso compagno per tutto il periodo della gestazione (4-6 settimane).
L'ovodeposizione avviene di regola nella scatola umida descritta in precedenza: è consigliabile rimuovere delicatamente le uova e trasferirle in un'incubatrice per rettili, dove - a 30-33°C e umidità all'80% - si schiuderanno entro un periodo variabile, a seconda della specie e della temperatura, fra i 50-60 e 80-90 gg.
I piccoli riassorbono il sacco vitellino in 24-48 ore, durante le quali andrebbero tenuti intorno ai 30-35°C e con un'umidità ancora piuttosto elevata (50-70%), prima di trasferirli in un terrario desertico simile a quello degli adulti, dove inizieranno a mangiare. Si possono somministrare loro foglie tenere e germogli sminuzzati di erbe e verdure, ma anche mini-camole e mini-grilli.
5. Sistematica e commercio
Gli Uromasticini si identificano attualmente con l'unico genere Uromastyx Merrem, 1820, comprendente 18 specie diffuse dalle coste atlantiche nordafricane all'India, a sud fino all'Etiopia e alla Somalia, limitatamente alle regioni desertiche e subdesertiche.
Oltre ad Aporoscelis Boulenger, 1885, un sinonimo frequente di questo genere è Uromastix (senza la y), mentre la proposta di spostare alcune specie - tra cui U. hardwickii - nel genere Saara Gray, 1845 non ha trovato unanimità tra gli erpetologi.
Trovare uromastici in commercio non è semplice, perché questi sauri non si riproducono facilmente in cattività e oggi per di più (fortunatamente) sono oggetto di protezione internazionale e locale assai maggiore che in passato, tale da limitarne sensibilmente le catture e le esportazioni.
Attualmente l'intero genere è inserito nell'app. II della Convenzione di Washington (CITES), mentre è sospesa l'introduzione di individui selvatici di U. dispar (da Algeria, Mali e Sudan) e di U. geyri (Mali, Niger) in tutti i Paesi dell'Unione Europea (all.to A del Reg. UE n. 828/2011).
Sul mercato terraristico si trovano ogni tanto individui di U. acanthinura Bell, 1825, la specie nordafricana più comune, ampiamente diffusa nella fascia sahariana e subsahariana tra Marocco, Senegal ed Egitto.
Misura 25-35 cm (eccezionalmente fino a 40 cm), di cui poco più di un terzo di coda, ed è un tipico uromastice di media taglia.
Lo stesso dicasi per U. hardwickii Gray, 1877,delle regioni aride del Pakistan e dell'India occidentale, e per U. ornata Heyden, 1827 (sinonimo: U. ocellatus ornatus), dei deserti di Egitto, Israele ed Arabia.
La specie più grande, U. aegyptia (Forskal, 1775), del Sahara libico ed egiziano e del deserto arabico fino all'Iran, da noi si trova di rado in commercio mentre è abbastanza popolare negli USA: può raggiungere 80-90 cm di lunghezza per un peso di oltre 3 kg.