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1 maggio: 5 libri da leggere per ricordare la festa dei lavoratori

La festa dei lavoratori viene celebrata il 1 Maggio e ricorda le battaglie operaie volte alla conquista di precisi diritti: la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore giornaliere e la corresponsione di un salario adeguato alle necessità della vita dei lavoratori e delle loro famiglie.

Questa festa ebbe origine negli Stati Uniti d’America negli anni 1882 – 1884, a seguito di una risoluzione approvata dalle organizzazioni dei lavoratori.

I lavoratori, sin dalla metà del 1800, non avevano diritti e lavoravano per almeno 16 ore al giorno ininterrottamente, in pessime condizioni, percependo una scarsa retribuzione e spesso anche morendo nei luoghi di lavoro.

In Italia, la storia del Primo Maggio si intreccia con le lotte operaie per la riduzione della giornata lavorativa a otto ore, la regolamentazione del lavoro delle donne e dei fanciulli, il miglioramento salariale, i contratti di lavoro, la legalizzazione dello sciopero.

Nell’agosto del 1891 il II congresso dell’Internazionale, riunito a Bruxelles, decise di rendere permanente la ricorrenza. Il fascismo in Italia, però, soppresse il primo maggio. Durante in Ventennio, infatti, si fece coincidere con la celebrazione del 21 aprile, il cosiddetto Natale di Roma. Il 1 maggio tornò a celebrarsi nel 1945, sei giorni dopo la liberazione dell’Italia.

La festa dei lavoratori è riconosciuta a livello mondiale, anche se in alcuni Stati non è totalmente ufficiale, ma vengono fatte ugualmente delle celebrazioni in occasione del Primo maggio. In ricordo di tutti coloro che hanno perso la vita rivendicando i propri diritti sul lavoro.

Thomas Carlyle diceva: ”Felice colui che ha trovato il suo lavoro; non chieda altra felicità”. Una riflessione a tema con la giornata di oggi, che è in quasi tutto il mondo riconosciuta come la Festa dei Lavoratori.

Per celebrare questa giornata importante vi presentiamo 5 libri molto interessanti da leggere dedicati a questo tema.

 

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1. "La nuova geografia del lavoro " di Enrico Moretti

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Negli Stati Uniti l'economia postindustriale, basata sul sapere e sull'innovazione, sta cambiando profondamente il mercato del lavoro, sia per la tipologia dei beni prodotti sia per le modalità e, soprattutto, le località in cui vengono realizzati, creando enormi disparità geografiche in termini di istruzione scolastica, aspettativa di vita e stabilità famigliare.

Per alcune regioni e città, infatti, la globalizzazione e la diffusione di nuove tecnologie vogliono dire aumenti nella domanda di lavoro, più produttività, più occupazione e redditi più alti.
Per altre, chiusura di fabbriche, disoccupazione e salari sempre più bassi.

E poiché questa radicale ridistribuzione di impieghi, popolazione e ricchezza è un processo destinato a diffondersi nei prossimi decenni in ogni angolo del Vecchio continente, Italia compresa, le dinamiche in atto oltreoceano offrono importanti lezioni anche per i paesi europei.

Di questa "nuova geografia del lavoro" Enrico Moretti traccia una mappa dettagliata: visita città in ascesa, che vedono fiorire un virtuoso intreccio di buoni impieghi, talento e investimenti, e città in declino; passeggia per le vie di Pioneer Square, quartiere trendy di Seattle, e per quelle di Berlino, la capitale più attraente d'Europa, ma anche una metropoli sorprendentemente povera; e scopre che ogni posto di lavoro creato in centri di eccellenza dell'innovazione ne genera almeno cinque in altri settori produttivi, e tutti retribuiti meglio che altrove.

Enrico Moretti è docente di economia all'Università della California a Berkeley.
Ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui, nel 2006, lo Young Labor Economist Award dall'istituto di ricerca tedesco Iza e, nel 2008, la medaglia Carlo Alberto, premio assegnato ogni anno a un economista italiano under 40 per i risultati ottenuti nell'attività di ricerca.
I suoi interventi sono spesso ospitati sulle pagine di importanti giornali americani, come il "New York Times" e il "Wall Street Journal". Mondadori nel 2013 ha pubblicato il saggio "La nuova geografia del lavoro".

 

2. "Il costo della vita. Storia di una tragedia operaia" di Angelo Ferracuti

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Porto di Ravenna, cantieri navali Mecnavi, 13 marzo del 1987. Mentre alcuni operai stanno ripulendo le stive della Elisabetta Montanari, nave adibita al trasporto di gpl, e altri colleghi tagliano e saldano lamiere con la canna ossidrica, una scintilla provoca un incendio.

Le fiamme si propagano con una rapidità inarrestabile. È la tragedia. Tredici uomini muoiono asfissiati a causa delle esalazioni di acido cianidrico.

I tredici uomini erano tutti picchettini, e si chiamavano Filippo Argnani, che all'epoca aveva quarant'anni, Marcello Cacciatori, che di anni ne aveva ventitre, Alessandro Centioni, ventuno, Gianni Cortini, diciannove, Massimo Foschi, ventisei, Marco Gaudenzi, diciotto, Domenico Lapolla, venticinque, Mohamed Mosad, trentasei, Vincenzo Padua, sessant'anni, che stava per andare in pensione e si trovava lì per puro caso chiamato all'ultimo momento per una sostituzione. Vincenzo era l'unico operaio veramente in regola assunto dalla Mecnavi.

E ancora: Onofrio Piegari, ventinove anni, Massimo Romeo, ventiquattro, Antonio Sansovini, ventinove, e infine Paolo Seconi, ventiquattro. Tredici lavoratori morti come topi, come tredici era il giorno di quel mese, tutti asfissiati nel ventre della balena metallica.

"Non credevo che esistessero ancora simili condizioni di lavoro, a Ravenna, alle soglie del Duemila", disse il procuratore capo della Repubblica Aldo Ricciuti che svolse le indagini. La tragedia poteva essere evitata? La giustizia ha poi "ripagato" le vittime e i famigliari?

Angelo Ferracuti è reporter e scrittore. Ha collaborato con «Diario» e oggi con «il manifesto». Ha pubblicato, fra l'altro: Viaggi da Fermo (Laterza 2009), Il mondo in una regione (Ediesse 2009), Il costo della vita (Einaudi 2013), Andare, camminare, lavorare (Feltrinelli 2015), Addio (Chiarelettere 2016), Giovani leoni (Minimum fax 2017), La metà del cielo (Mondadori 2019).

 

3. "Fabbrica di carta. I libri che raccontano l'Italia industriale" di Giorgio Bigatti e Giuseppe Lupo

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Da Lucio Mastronardi a Giovanni Giudici, da Ottiero Ottieri a Leonardo Sinisgalli, da Franco Fortini a Paolo Volponi e Nanni Balestrini, da Elio Vittorini a Luciano Bianciardi, da Carlo Emilio Gadda a Italo Calvino, Primo Levi e molti altri.

E la letteratura industriale italiana del Novecento quella raccolta per la prima volta unitariamente in questa antologia, da quando il fenomeno acquista compattezza (anni Trenta) fino agli ultimi decenni, quando si sono registrati la fine del lavoro industriale e il modificarsi del concetto di fabbrica.

Rispetto alla produzione narrativa e poetica dedicata all'industria, sono state selezionate opere e autori seguendo un percorso suddiviso in capitoli tematici organizzati temporalmente e incentrati sulle diverse figure coinvolte, dagli impiegati agli imprenditori, dagli operai agli intellettuali.

Curata da Giorgio Bigatti e Giuseppe Lupo, studiosi di storia e di letteratura industriale, e introdotta da un saggio di Antonio Calabro, Fabbrica di carta testimonia quanto "l'identità italiana sia anche industriale.

E il suo racconto, riscoperto, riletto, affidato a parole nuove, dice di noi, della nostra storia, della nostra complicata e contorta eppure buona umanità. Merita spazio. E sguardo lungo all'orizzonte". Prefazione di Alberto Meomartini.

 

4. "Le colpe dei padri" di Alessandro Perissinotto

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Guido Marchisio, torinese, 46 anni, è un uomo arrivato. Dirigente di una multinazionale, appoggiato dai vertici, compagno di una donna molto più giovane e bellissima: la sua è una vita in continua ascesa.

Fino al 26 ottobre 2011, una data che crea una frattura tra ciò che Guido è stato e quello che non potrà mai più essere.

Quella mattina, infatti, un incontro non previsto insinua in lui il dubbio: possibile che esista da qualche parte un suo sosia, un gemello dimenticato, un suo doppio misterioso e sfuggente?

Giorno dopo giorno, il dubbio diventa ossessione e l'esistenza dell'ingegner Marchisio inizia, prima piano poi sempre più velocemente, a percorrere la stessa rovinosa china della sua azienda e della sua città.

Di tutte le sicurezze costruite col tempo, non rimane più nulla: il suo ruolo di freddo tagliatore di teste, di manager di successo, la sua figura di uomo affascinante, tutto, per colpa di quel sospetto, sembra scivolare via da lui, come se accompagnasse l'emorragia che lentamente svuota l'industria italiana. Andare a fondo significherà per Guido affacciarsi all'orlo di un baratro e accettare l'inaccettabile.

Alessandro Perissinotto nasce a Torino nel 1964. Pratica vari mestieri e, intanto, si laurea in Lettere nel 1992 con un tesi in semiotica. Inizia quindi un’intensa attività di ricerca, occupandosi di semiologia della fiaba, di multimedialità e di didattica della letteratura. È docente nell'Università di Torino.
Collabora inoltre con il quotidiano "La Stampa", per il quale scrive articoli e racconti che appaiono sul supplemento "TorinoSette", e con "Il Mattino" di Napoli. Approda alla narrativa nel 1997 con il romanzo poliziesco L’anno che uccisero Rosetta (Sellerio), al quale fanno seguito La canzone di Colombano e Treno 8017 (Sellerio, 2000 e 2003).
Nel 2004 pubblica per Rizzoli il noir epistolare Al mio giudice (Premio Grinzane Cavour 2005 per la Narrativa Italiana), seguito nel 2006 da Una piccola storia ignobile (Rizzoli), un’indagine della psicologa Anna Pavesi, che torna anche in L’ultima notte bianca e L’orchestra del Titanic.
Nel 2008 la riflessione sul poliziesco si sviluppa anche in forma saggistica con La società dell’indagine (Bompiani), mentre la sua produzione narrativa evolve verso il romanzo politico con Per vendetta (2009). Le sue opere sono state tradotte in numerosi paesi europei e in Giappone.
Con Piemme ha pubblicato Semina il vento (2012), Le colpe dei padri (2013, secondo classificato al Premio Strega), Coordinate d'Oriente (2014) e Quello che l'acqua nasconde (2017). Con Mondadori ha pubblicato Il silenzio della collina (2019). Nel 2020 esce per Laterza Raccontare.

 





5. "Marzo 1943. Un seme della Repubblica fondata sul lavoro" di Roberto Finzi

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Vista in una prospettiva più ampia di quanto la storiografia a essa dedicata abbia in genere fatto, spogliata da ogni elemento mitico o propagandistico, quella del marzo 1943 fu una lotta che per diversi aspetti segnò fortemente il cammino successivo della storia italiana e il volto della Repubblica che dalle rovine del fascismo scaturì.

Roberto Finzi ha insegnato storia economica, storia del pensiero economico, storia sociale negli atenei di Bologna, Ferrara e Trieste. Ha pubblicato con alcune tra le maggiori case editrici italiane e in numerose riviste italiane e straniere.
Suoi lavori sono stati editi, oltre che in Italia, in Argentina, Belgio, Brasile, Cina, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Spagna, Stati Uniti.
Tra le sue opere si segnalano la cura di "A.R.J. Turgot, Le ricchezze, il progresso e la storia universale" (Einaudi, 1978) e le monografie "L’antisemitismo. Dal pregiudizio contro gli ebrei ai campi di sterminio" (Giunti-Castermann, 1997), "L’università italiana e le leggi antiebraiche" (Editori Riuniti, 1997), "Ettore Majorana. Un’indagine storica" (Edizioni di storia e letteratura, 2002) e "La superiore prosperità delle società civilizzate. Adam Smith e la divisione del lavoro" (Clueb, 2008). Nel 2014 esce per Bompiani "L'onesto porco. Storia di una diffamazione".

 








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