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10 modi strani per adorare Dio

Nella sua lunga storia, l’uomo ha sempre avvertito il bisogno di dialogare con la divinità, e spesso l’ha fatto in modi decisamente bizzarri.

Nel corso dei millenni, l’umanità ha sempre cercato un rapporto con il divino, e da ciò sono scaturite manifestazioni e credenze dei tipi più diversi.

Quali siano stati i culti più strani, curiosi e raccapriccianti è difficile dire.

Ogni religione conserva riti e rituali nati in circostanze speciali o estreme, che talvolta si sono in parte conservati e in parte evoluti, anche al di fuori del loro tempo e del loro mondo.

Abbiamo scelto di raccontare la storia di dieci culti, più o meno antichi, che presentano alcune caratteristiche estreme.

 

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1. KHEPRI E MYLITTA

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- KHEPRI, LO SCARABEO STERCORARIO

Non è tra le divinità egizie oggi più famose, eppure era tra le più importanti, come dimostra l’enorme quantità di sigilli e gioielli che lo raffiguravano e il fatto che essi venivano deposti sopra il cuore delle mummie.
Di recente è stata scoperta una tomba che conserva un grande numero di piccoli animali mummificati.
Non dev’essere stata una procedura facile, dato che si trattava di scarabei stercorari. L’insetto prende il suo nome dal fatto di creare palle di deiezioni animali che fa rotolare con le zampe posteriori fino alla tana.
Lo sterco è il suo nutrimento e soprattutto il luogo per deporre le uova, e quindi si può ben dire che da esso lo scarabeo “rinasca”. Gli Egizi identificavano lo scarabeo stercorario con il dio Sole al suo sorgere.
C’era probabilmente un’immedesimazione tra la sfera che esso spinge, rigorosamente in linea retta, orientandosi con la luce, e l’immagine del globo solare che attraversa il cielo. Proprio per questo, l’insetto venne associato, dal popolo dei faraoni, anche alla resurrezione dell’anima.
Inoltre, era a Khepri, lo scarabeo sacro, che veniva affidato il compito di prendere le difese del cuore del defunto nel momento in cui esso sarebbe stato processato dagli dei per giudicare la sua condotta in vita.
KHEPRI

 

 

- MYLITTA, LA PROSTITUZIONE SACRA

Molti scrittori antichi raccontano di come fosse diffusa presso i templi la prostituzione sacra, anche se oggi gli studiosi tendono a dare interpretazioni più articolate.
Il greco Erodoto, in particolare, offre dettagli per quanto riguarda gli Assiri, descrivendo una pratica rituale connessa al culto della dea Mylitta (Mullissu, la moglie del dio Assur e la Afrodite di Ninive):
«Ogni donna del paese deve andare nel santuario di Afrodite una volta nella sua vita e unirsi a un uomo straniero. Nel santuario di Afrodite si mettono sedute molte donne con una corona di corda attorno al capo; le une vengono, le altre vanno. In tutte le direzioni ci sono passaggi diritti in mezzo alle donne, e passandovi attraverso gli stranieri scelgono.
Quando una donna ha preso posto lì non torna a casa prima che uno degli stranieri, gettatole in grembo del denaro, non si sia unito a lei fuori del tempio.
Gettando il denaro egli deve dire queste parole: “Io invoco la dea Militta”.
La donna segue il primo che le abbia gettato del danaro e non respinge nessuno.
Quelle che hanno un bell’aspetto fisico presto se ne vanno, mentre quelle di loro che sono brutte rimangono per molto tempo, non potendo soddisfare la legge; e alcune fra loro rimangono anche per un periodo di tre o quattro anni».
Prostitute sacre erano presenti anche nella stessa Grecia, così come nell’antica Roma, in India (dove tale pratica è tuttora presente: nella foto sotto, un “amplesso sacro”) e tra diversi popoli che abitavano l’America precolombiana.
MYLITTA

2. IL PITAGORISMO E SABAZIO

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- IL PITAGORISMO, L’ARMONIA DELLA MATEMATICA

A Crotone, nella Magna Grecia, intorno al 530 a.C. Pitagora fondò una comunità che era sì una scuola, ma anche una setta religiosa.
Da una parte il filosofo propugnò una specie di culto della scienza, e soprattutto della matematica e della geometria che garantivano l’armonia del mondo, le quali venivano studiate insieme ad astronomia, musica e filosofia.
Dall’altra infuse una decisa impronta mistica (il linguaggio della scuola era in codice) e diede alla scienza una marcata valenza salvifica, considerandola come la via della purificazione e dell’armonia.
I pitagorici credevano nell’immortalità dell’anima e nella reincarnazione.
Ai seguaci venivano imposti numerosi tabù e regole, alcune delle quali stranissime: la più famosa obbligava a stare il più lontano possibile dalle fave, ma c’era anche il divieto di mangiare carne, di spezzare il pane, di bere alcolici, di mettere in discussione le affermazioni del maestro; in più, gli adepti avevano l’obbligo del celibato.
I pitagorici potevano ascoltare il maestro ma non vederlo, tanto che egli teneva le sue lezioni al riparo di una tenda. I rituali prevedevano l’obbligo di passeggiate ed esercizi ginnici.
Il culto aveva anche implicazioni politiche: il partito della scuola pitagorica, di stampo fortemente aristocratico, arrivò anche a governare Crotone e influenzò molte altre città elleniche.
PITAGORISMO

 

 

- SABAZIO, IL SERPENTE BARBARICO

Dio della Frigia e della Tracia associato ai serpenti, Sabazio vide diffondersi il suo culto prima nel mondo greco, poi in quello romano.
Il suo rito era caratterizzato da elementi misterici e orgiastici, in buona parte connessi in origine al mondo agreste, più tardi all’aspettativa salvifica.
Per quanto diffuso nel Mediterraneo ellenistico, fu quasi sempre considerato un culto straniero, che i “veri” Greci e Romani non accettavano e spesso persino deridevano.
L’oratore ateniese Demostene descrive in modo caricaturale un corteo diurno dei fedeli di Sabazio, che danzano e gridano per strada con in testa corone di finocchio, dietro a un sacerdote che agita serpenti.
Di notte, invece, avvenivano le iniziazioni ai misteri: l’adepto mangiava carne cruda e beveva una bevanda sacra, era coperto con una pelle animale, poi si stendeva al suolo, dove veniva cosparso di fango e crusca.
Infine, si poteva alzare per pronunciare la formula di rito, poi sopra il suo corpo veniva inscenata un’unione carnale mistica con la divinità attraverso un serpente dorato che il sacerdote faceva passare sotto gli abiti del novizio, dall’alto verso il basso, in un gesto osceno.
Nell’immagine sotto, una mano bronzea di Sabazio.SABAZIO

3. SERAPIDE E CIBELE

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- SERAPIDE, IL DIO CHE NON C’ERA

Il culto di Serapide venne inventato, praticamente a tavolino, da Tolomeo I Lagide, sovrano macedone e faraone d’Egitto.
Tolomeo fece costruire il tempio del dio, il Serapeo, nella sua nuova capitale Alessandria, tra il delta del Nilo e il Mediterraneo.
Il dio Serapide riuniva molte caratteristiche, sia religiose sia simboliche, di divinità precedenti. Il nome derivava probabilmente dalla fusione del dio egizio dell’aldilà Osiride e del toro Api, simbolo del Nilo e della fertilità.
Contaminato con elementi delle divinità olimpiche (e identificabile di volta in volta con Zeus, Ade, Asclepio), Serapide ricevette un aspetto ellenistico, cui si aggiunse un vaso sulla testa, al modo delle divinità egizie.
Sembra che Tolomeo, più che essere colto da un impulso mistico, abbia deciso di dare vita a una divinità “meticcia” che potesse essere apprezzata e venerata dalla comunità multietnica di Alessandria, dove si stavano fondendo Egizi, Greci e Macedoni, con una consistente componente di Ebrei (infatti Serapide mostrava anche tendenze verso il monoteismo).
In seguito, secondo l’imperatore Adriano, Serapide sarebbe stato accettato e integrato anche dai cristiani.
Tale divinità, in realtà, non riscosse mai successo in Egitto; invece, grazie alle sue caratteristiche generiche e sincretiche, si diffuse rapidamente nell’Impero Romano e in tutto il mondo antico.
SERAPIDE

 

 

- CIBELE, LA DOCCIA DI SANGUE

Fu un sortilegio a importare a Roma uno dei culti apparentemente più distanti dalla mentalità romana: quello della Magna Mater anatolica, Cibele.
Quando Annibaie, nel 205 a.C., era in Italia, i vaticini tratti dagli antichissimi Libri Sibillini imposero alle autorità romane di adottare dall'Anatolia il culto di Cibele, una dea frigia, selvaggia signora delle fiere, che viaggiava su un carro trainato da leoni.
Sotto vari nomi, era adorata nella forma di una meteorite o roccia vulcanica, la celebre “pietra nera” conservata e venerata a Pessinunte, nel centro della Frigia (attuale Turchia centrale), dove si trovava anche la tomba di Attis, a lei collegato nel culto.
I Romani celebravano feste e giochi paludati in onore della dea, secondo la loro tradizione. Ma era in privato che riemergevano le tradizioni misteriche cruente della divinità originaria.
Il “taurobolio”, cioè il sacrificio di un toro, era un rito misterico che doveva assicurare benessere su questa terra: il fedele scendeva in una fossa, che veniva poi chiusa con tavole forate sopra le quali veniva sgozzato il toro, cosicché una pioggia di sangue, divino e benefico, colasse sopra di lui.
CIBELE

4. ATTIS E EL GABAL

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- ATTIS, L’AUTOCASTRAZIONE

Strettamente connesso al culto frigio della Grande Madre c’era quello di Attis, una giovane divinità frigia dalla tragica storia d’amore finita nel sangue.
A primavera se ne commemoravano la morte e la resurrezione, che rappresentava la rinascita della vegetazione.
Ma non era un culto innocente: il corteo di sacerdoti eunuchi di Cibele e Attis, i “galli”, si mettevano a girare freneticamente al suono dei corni, inebriati dalla danza, dai flauti, dai piatti e dai tamburelli.
Storditi dall’estasi, si flagellavano con staffili (le cui corde erano rese taglienti dalla presenza di molti ossicini), si ferivano battendosi il petto con pigne, si mutilavano a coltellate; coloro che non erano ancora eunuchi si castravano da soli, a imitazione di Attis.
La cerimonia avveniva in un’atmosfera di esaltazione parossistica collettiva, realizzata a mezzo di canti litanici, danze e musiche assordanti, al cui culmine chi si voleva votare cruentemente alla Grande Madre si denudava e si evirava usando una scheggia di selce o di coccio.
I suoi genitali venivano raccolti in un vaso e conservati come oggetto di culto.
A Roma, che non amava le esagerazioni, i riti più cruenti erano celebrati esclusivamente in forma privata da sacerdoti stranieri, con forti limitazioni per i cittadini romani.
ATTIS

 

 

- EL GABAL, L'INTRUSO A ROMA

Divinità solare adorata a Emesa, in Siria, El Gabal si incarnava in una pietra nera.
Quando il quattordicenne Marco Aurelio Antonino, che discendeva dai grandi sacerdoti di Emesa, divenne imperatore di Roma (218-222), provò a imporvi il suo culto atavico.
Egli stesso è conosciuto soprattutto con il nome di Eliogabalo, che viene, appunto, da El Gabal.
I riti prevedevano che il sacerdote-imperatore danzasse intorno alla pietra sacra, costringendo i senatori ad assistere.
Durante le grandi cerimonie del solstizio d’estate, la pietra veniva posta su un carro con sei cavalli e portata in parata mediante un grande corteo per tutta Roma.
Per l’intera durata della cerimonia, l’imperatore camminava all’indietro, tenendo le briglie dei cavalli rivolte verso la pietra, come se stesse trascinando il carro.
Altri riti di El Gabal erano orgiastici e sanguinosi. Scandalizzando i cittadini dell’Urbe, Eliogabalo sposò una sacerdotessa vestale, ossia una vergine sacra della più antica e schietta tradizione romana.
Soprattutto, il giovane imperatore orientale tentò di trasformare El Gabal nell’unica divinità di Roma, con un sincretismo quasi e monoteistico: a questo scopo lo mise al di sopra di Giove e lo identificò con i maggiori numi adorati dai Romani.
Fece celebrare nozze sacre, in cui El Gabal si univa a dee come Minerva, Astarte e la cartaginese Urania; riunì tutti gli oggetti più sacri di Roma (la Magna Mater, il fuoco di Vesta, gli scudi Ancili dei sacerdoti Salii, il Palladio e gli altri pignora imperii) e pretese che anche i culti di cristiani ed Ebrei venissero trasferiti nel tempio di El Gabal sul Palatino.
Ma presto Eliogabalo morì e la pietra nera fu rimandata a Emesa.
EL GABAL



5. TAIPING E IL TEMPIO DEL POPOLO

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- TAIPING, LA GUERRA PER LA PACE

Una delle più sanguinose rivolte della Storia ebbe origini religiose, in nome della pace.
Negli anni Quaranta del XIX secolo, in Cina, un certo Hong Xiuquan fondò il movimento religioso degli “Adoratori di Dio”, proclamandosi fratello minore di Gesù e Tianwang (“re celeste”).
Messia, taumaturgo e capo politico, annunciava un nuovo millennio e il ritorno del Taiping tianguo, o “Regno celeste della Grande pace”.
Hong, che aveva fallito nel tentativo di entrare nei ranghi della gerarchia confuciana, adottò una bibbia tradotta approssimativamente in cinese quale suo libro sacro e utilizzò elementi di cristianesimo, taoismo, buddismo e religione tradizionale del Celeste Impero, variamente mescolati, predicando monoteismo ed egualitarismo.
Organizzati su base militare, nel 1851 i seguaci di Hong fondarono un loro Stato e conquistarono Nanchino, espandendosi in gran parte del sud della Cina, ribellandosi agli imperatori Qing.
Ne derivò una devastante guerra civile che si combattè tra il 1851 e il 1864, quando la rivolta venne repressa al prezzo di milioni di morti. Ormai spacciato, Hong si tolse la vita ingoiando lamine d’oro.
TAIPING

 

 

- IL TEMPIO DEL POPOLO, SUICIDIO DI MASSA

Nel 1955, il predicatore James Warren Jones (che era stato anche assessore a San Francisco), detto Jim Jones (nella foto in alto a sinistra), fondò negli Stati Uniti “Il Tempio del popolo dei Discepoli di Cristo”, noto anche come “Tempio dei popoli”, dopo aver inizialmente avuto la denominazione di Wings of Deliverance (“Ali della liberazione”).
Il culto fondeva, in una miscela bislacca, il comunismo con una patina di cristianesimo, criticando ferocemente l’Antico Testamento della Bibbia, che a suo avviso era razzista, sessista, violento e usato dal maschio bianco per giustificare il proprio dominio.
I membri vivevano in comune, e furono accusati di promiscuità sessuale e attività politiche segrete, motivo per cui un migliaio di loro si trasferì a Jonestown, nella giungla della Guyana.
Nessuno poteva uscire dalla colonia, e quando i parenti dei “fedeli”, preoccupati per la sorte dei loro cari, ottennero che gli Usa inviassero una delegazione, la sicurezza del campo sparò, uccidendo cinque persone.
A quel punto, il 18 novembre del 1978 il leader e 912 seguaci della setta si uccisero in massa bevendo un cocktail al cianuro. Chi non accettò di togliersi la vita venne giustiziato.
Nella foto sotto, datata 1977, Jim Jones predica a un gruppo di seguaci di Martin Luther King.
IL TEMPIO DEL POPOLO






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