Qual è l’unica cosa nella vita che vi renderebbe colmi di gioia? Ottenere un aumento di stipendio? Acquistare una nuova auto? Vincere al superenalotto? Qualunque sia la definizione di felicità per voi, è probabile che la stiate cercando nei posti sbagliati.
Dalla fine degli anni Settanta, sempre più ricerche psicologiche hanno esaminato il modo in cui ci adattiamo alle circostanze della vita e i risultati suggeriscono che, anche se dovessimo spuntare tutte le voci della lista dei desideri, non saremmo comunque soddisfatti a lungo.
L’ebbrezza da dopamina non dura perché siamo programmati per volerne sempre di più. Questo fastidioso senso di insoddisfazione è un elemento così familiare dell’esperienza umana che gli psicologi hanno persino coniato un’espressione per definirlo: tapis roulant edonico.
Coniata dai ricercatori Philip Brickman e Donald Campbell nel 1978, questa espressione descrive chiaramente la tendenza generale a tornare come un boomerang a un livello di felicità di base, nonostante gli alti e bassi della vita.
«Quando sperimentiamo eventi estremamente positivi, come l’acquisto di una nuova casa o un ottimo lavoro, i nostri livelli di felicità raggiungono temporaneamente il picco, dandoci l’impressione che la nostra vita sia fantastica», afferma Lara Aknin, professoressa di psicologia sociale alla Simon Fraser University del Canada e co-redattrice del Rapporto mondiale sulla felicità. «Ma, con il passare del tempo, ci adattiamo alle nuove circostanze, ritornando infine a uno stato di soddisfazione base».
Se non viene gestito, questo strano processo cerebrale può rapidamente portare a un ciclo di definizione degli obiettivi e pensieri del tipo “sarò felice quando…”, il tutto alla costante ricerca di un qualcosa che ci renderà finalmente contenti della nostra vita. Alla fine, però, tutti gli sforzi si riveleranno inutili, e anche se riuscissimo a trovare il presunto “Santo Graal” della felicità torneremmo inevitabilmente al livello di partenza, ancora una volta.
Se tutto questo suona un po’ deprimente, il rovescio della medaglia è che lo stesso principio si applica agli eventi negativi. «Quando sperimentiamo una battuta d’arresto, come un licenziamento o la rottura di una relazione, nella maggior parte dei casi la tristezza non dura per sempre», continua Aknin. «I sentimenti più travolgenti alla fine perdono intensità e tendiamo a tornare ai livelli di base, spesso più velocemente di quanto possiamo pensare».
Ma perché ci ritroviamo intrappolati su questo tapis roulant? Perché non possiamo semplicemente scendere? I ricercatori non sono sicuri del motivo per cui siamo coinvolti in questa caccia infinita. Da una prospettiva evolutiva, tuttavia, esiste una teoria secondo cui questo meccanismo potrebbe aiutarci ad adattarci rapidamente alle nuove circostanze, per ragioni di sopravvivenza.
«Alcuni studiosi chiamano in causa il bias della negatività, per cui ci concentriamo sugli stimoli stressanti per la nostra sicurezza, perché se non prestassimo attenzione alle cose brutte potremmo andare incontro alla fine», ritiene Aknin.
A differenza dei nostri antenati, tuttavia, la maggior parte di noi non vive in ambienti minacciosi, dove potrebbe trovarsi in situazioni di pericolo in qualsiasi momento. Ciononostante, questi pregiudizi ancestrali pesano su di noi e portano la nostra attenzione su elementi non rilevanti.
Fondamentalmente, anche il livello base di gioia di ognuno è diverso. «Non tutti si attestano sul 7 su una scala di 10 punti», spiega Aknin. «Questo livello varia a seconda di dove ti trovi nel mondo, e la maggior parte delle nostre ricerche sulla felicità si concentra esclusivamente sulle popolazioni occidentali relativamente ricche».
Quindi, come si determina il valore di base? Molte ricerche condotte nel campo della psicologia positiva suggeriscono che circa il 50% della nostra felicità sia determinata dalla nostra genetica. Un ulteriore 10% potrebbe derivare dalle circostanze della vita e da fattori esterni come reddito, situazione sentimentale e condizioni di vita. Quindi, se gran parte della nostra felicità dipende da fattori fuori dal nostro controllo, non possiamo fare nulla per cambiarla? Non esattamente. Circa il 40% del nostro livello di felicità dipende da noi e da ciò che i ricercatori chiamano “attività volitive”.
«Si tratta di comportamenti quotidiani che scegliamo di mettere in atto e che apportano dei benefici al nostro stato emotivo», spiega Aknin. Gli articoli sulla felicità tendono a fornire gli stessi consigli: coltivare la grati- tudine ogni giorno, allenarsi regolarmente e trascorrere del tempo con amici e familiari.
Sebbene questi siano tutti suggerimenti utili, il tapis roulant edonico (torna anche qui) potrebbe ridurne l’effetto. Ecco perché, ad esempio, all’inizio ci farà bene annotare quotidianamente in un diario le cose per cui sentirci grati, ma, probabilmente, perderemo interesse circa un mese dopo, quando la sensazione di felicità inizierà a scemare.
Per risolvere questo problema, abbiamo chiesto agli esperti di segnalare quelle scelte di vita in grado di incrementare realmente il nostro livello di felicità di base e, soprattutto, mantenerlo a uno stato elevato più a lungo. Tutto questo senza bisogno di ricorrere alle affermazioni positive quotidiane.
Se non vi state godendo le gioie della vita è perché potreste essere bloccati su quello che gli psicologi chiamano “tapis roulant edonico”.
Ecco come fare a scendere e passare più tempo a essere felici.
1. BASTA PERDERE TEMPO
Se chiedete alle persone cosa le renderebbe felici molte risponderrano «I soldi». Sebbene Aknin confermi che i risparmi in banca ci diano una certa gioia, è in realtà il tempo la valuta della felicità per eccellenza.
«Per le persone con redditi molto bassi, un notevole aumento della ricchezza può tradursi in livelli più alti di benessere, in parte perché garantisce stabilità e sicurezza. Ma, una volta raggiunto uno stile di vita confortevole, i dati mostrano che più soldi non si traducono in un incremento di felicità», afferma Aknin.
In effetti, investire tutto il tempo libero in programmi per guadagnare più soldi potrebbe rivelarsi controproducente.
«Le relazioni sociali sono un elemento indicativo della felicità, quindi se passate i fine settimana a lavorare invece di trascorrere del tempo con amici e familiari, è probabile che vi sentiate meno soddisfatti della vostra vita», avverte Aknin.
Ovviamente, la necessità di portare a casa uno stipendio limita la quantità di tempo libero a disposizione, ma questo non significa che non si possano fare delle scelte per gestirlo meglio. Un’idea viene dal concetto di “quiet quitting”, ossia la tendenza a svolgere solo i compiti strettamente necessari e niente di più.
Niente straordinari fino a tardi, niente mail nel fine settimana. Oppure, se siete in pensione, non assumetevi responsabilità che vi portano all’esaurimento.
2. MEGLIO VARIARE CHE SPECIALIZZARSI ED ESSERE PRONTI A INIZIARE UNA CONVERSAZIONE CON UN ESTRANEO
- MEGLIO VARIARE CHE SPECIALIZZARSI
Lo scrittore Malcolm Gladwell rese popolare l’idea che 10.000 ore di pratica sarebbero bastate per diventare un esperto in qualsiasi campo. Ma il suo numero magico potrebbe non essere a prova di bomba (il professor Anders Ericsson, l’autore della ricerca su cui si è basato Gladwell, ha affermato personalmente che il numero è totalmente arbitrario).
In effetti, ripetere la stessa tipologia di allenamento potrebbe far subentrare la noia. Perciò, i ricercatori intenti a studiare come l’esercizio fisico possa renderci felici ritengono che dovremmo formulare una routine di allenamento che incorpori diversi tipi di sport, come la boxe un giorno, il calcio il giorno dopo, l’arrampicata su roccia e il pilates nel fine settimana.
«Coerenza e routine sono concetti ancora importanti nel fitness, ma diversificare l’esercizio permette di variare. Così facendo, si evitano gli effetti dell’adattamento, con un minore rischio di annoiarci e sentirci insoddisfatti», afferma Aknin.
- ESSERE PRONTI A INIZIARE UNA CONVERSAZIONE CON UN ESTRANEO
Probabilmente, non vorreste mai che sui mezzi pubblici qualcuno inizi a conversare con voi. Ma alcune ricerche recenti mostrano che anche brevi interazioni con estranei possono aumentare la vostra felicità momentanea. Infatti, studi sui pendolari di Chicago e Londra, in viaggio su autobus e treni, hanno scoperto come sia gli introversi che gli estroversi traggano beneficio dal parlare con estranei.
Se avvicinare persone a caso per strada potrebbe non essere congeniale a voi (o a loro), unirvi a un gruppo di persone con i vostri stessi interessi vi permetterà di entrare in contatto con nuove persone.
«I rapporti sociali sono un importante fattore indicativo della felicità, e molti studi stanno prendendo in esame il potenziale delle conversazioni non umane basate sull’intelligenza artificiale, per apportare lo stesso appagamento emotivo che si ottiene chiacchierando con uno sconosciuto», afferma Aknin.
«C’è ancora molto da scoprire in questo campo e sono necessarie ulteriori ricerche, ma si tratta di un nuovo orizzonte entusiasmante sul vasto e complesso mondo della felicità».
3. PROVARE COSE NUOVE SOLO PER IL GUSTO DI FARLO
Essere principianti in un’attività può essere imbarazzante. Prendere stecche al pianoforte, toccare a malapena le dita dei piedi nello yoga, disegnare figure storte al corso di fumetto: troppo spesso l’ego può ostacolarci nel perseguire attività che siano veramente entusiasmanti.
Ma c’è un enorme vantaggio nel cimentarci con un hobby nuovo: i nostri pensieri si focalizzano sul presente.
«Il tapis roulant edonico vive nella fallacia del passato e del futuro. Per questo i concetti di mindfulness si rivelano preziosi alleati in questo processo, perché ci spingono a godere del momento senza farci rimuginare sulle cose che crediamo ci manchino», afferma lo scienziato comportamentale Michael Rucker.
Egli fa riferimento a numerose ricerche che dimostrano quanto il divertimento sia benefico per il nostro benessere. Eppure, troppo spesso, non sfruttiamo al meglio questo strumento, una situazione che Rucker definisce “fame di divertimento”. «Abbiamo la sensazione che la felicità sia da qualche parte in un lontano futuro, che non è alla nostra portata nel presente».
Rucker suggerisce piuttosto di cercare attivamente le “micro-gioie”, nuovi hobby e interessi che ci diano soddisfazione e felicità immediate, senza la pressione di dover compiere progressi seri o raggiungere obiettivi specifici.
4. TROVATE NUOVI OBIETTIVI
Siamo indotti a pensare che sia possibile scendere dal tapis roulant edonico raggiungendo gli obiettivi che ci fissiamo. Questa tendenza è stata chiamata “bias dell’impatto” dagli psicologi Dan Gilbert e Timothy Wilson (nel 1998), per descrivere la tendenza a sovrastimare quanto un evento futuro influenzerà le nostre emozioni e per quanto tempo.
«Il bias dell’impatto è il motivo per cui tendiamo a 5 pensare che raggiungere gli obiettivi prefissati ci renderà felici per il resto della vita», afferma il dottor Christian Ehrlich, docente di comportamento organizzativo presso la Oxford Brookes Business School. Ehrlich afferma che fissare degli obiettivi non è necessariamente una cosa negativa, ma che ciò che conta davvero è fare e non raggiungere risultati.
Per risolvere questo problema, suggerisce di scrivere i propri obiettivi e dividere quelli intrinsechi (ossia quelli perseguiti per la loro intrinseca soddisfazione) da quelli basati su ricompense esterne o sulla volontà di evitare conseguenze negative. Spostare l’attenzione sui primi può aiutarci a individuare quelle attività che rimarranno piacevoli dall’inizio alla fine.
5. ADOTTARE L’APPROCCIO DELLA “DEINFLUENZA”
Tra le cose che tengono in moto il tapis roulant edonico ci sono anche persone di cui spesso sappiamo poco o nulla, ovvero coloro che compaiono sui nostri feed dei social media. Tutto dipende da un fenomeno chiamato “teoria del confronto sociale”, secondo il quale determiniamo il nostro valore in base al confronto con gli altri.
Quando sui social vediamo delle persone sfoggiare oggetti che non possediamo, avvertiamo il desiderio di acquistare e possedere cose che, in realtà, tendono a non donarci una reale felicità.
«Sul letto di morte, generalmente, tutti affermano due cose: di aver voluto lavorare meno e trascorrere invece più tempo con le persone care. Eppure, nonostante tutti condividano queste riflessioni, la maggior parte di noi fa l’esatto opposto», afferma Christopher Boyce, ricercatore presso il Centro di scienze comportamentali dell’Università di Stirling.
«L’ambiente in cui viviamo ci induce a consumare oggetti che hanno un effetto di breve durata sulla nostra felicità».
La deinfluenza è una soluzione a questo problema che ci incoraggia a considerare più attentamente gli acquisti, spesso esagerati, che tendiamo a fare. Boyce, ad esempio, ha una regola secondo la quale non compra qualcosa finché non esce e non tocca prima un albero.
«Potrà sembrare strano, ma c’è sempre qualcosa che compete per attirare la mia attenzione. Quindi, stare a contatto con la natura mi aiuta a sviluppare la consapevolezza di ciò che effettivamente soddisfa un bisogno umano più profondo e di ciò che invece ha motivazioni secondarie».