Fino ad appena un secolo fa, si pensava che la volta celeste fosse immutabile ed eterna, sempre uguale a se stessa.
Oggi sappiamo che non è così: le galassie lontane stanno fuggendo le une dalle altre in modo tale da farci dedurre che un tempo – 13,8 miliardi di anni fa – erano tutte concentrate in un punto, a temperatura e densità elevatissime.
In altre parole, il nostro universo è nato da un’esplosione, il Big Bang: da allora ha continuato a espandersi e lo farà anche in futuro.
Ma questo non vuol dire che tutto sia chiarito sulla storia e la struttura del cosmo.
Al contrario, la scoperta del Big Bang ha reso possibile una serie di nuove domande che prima parevano inconcepibili.
Come ha avuto origine il tempo? C’era forse qualcosa prima dell’inizio? Il nostro universo è l’unico possibile, o possono esisterne altri?
Oggi abbiamo selezionato alcuni tra i misteri più affascinanti dell’universo. Alcuni di questi potrebbero essere risolti nel giro di qualche anno. Altri, forse, non lo saranno mai, o magari saranno riformulati in modo diverso.
Vediamoli insieme.
1. Quando è iniziato tutto
Nessuno è in grado di spiegare come, in origine, il cosmo si sia messo in movimento. E secondo alcune ipotesi, addirittura, il tempo non esiste.
Secondo la teoria classica del Big Bang, l’inizio dell’universo è per sua natura indescrivibile.
Al tempo “zero”, infatti, tutto ciò che oggi osserviamo era concentrato in un punto di dimensioni infinitesime, la cui densità era così elevata che la materia si confondeva con l’energia e le forze in gioco erano diverse da quelle attuali.
Per spiegare com’era l’universo allora, ci vorrebbe qualcosa che ancora non c’è: una nuova teoria che metta d’accordo la relatività di Einstein (che spiega l’universo a grande scala, dominato dalla gravità) e la meccanica quantistica (che spiega le particelle elementari ma ignora la gravità).
Queste due grandi teorie, infatti, nelle situazioni che conosciamo sono entrambe molto ben sperimentate, ma in circostanze estreme come il Big Bang diventano incompatibili tra loro.
Tra le nuove ipotesi, quella che più di tutte affronta di petto la questione dell’origine e della struttura dello spazio e del tempo è la Loop quantum gravity, tra i cui fondatori c’è l’italiano Carlo Rovelli, docente all’Università di Aix-Marseille.
Secondo questa teoria, il Big Bang sarebbe stato generato da una fase precedente: all’origine ci sarebbe stato un universo che si contraeva fino a concentrarsi in un punto, per poi “rimbalzare” e cominciare a espandersi in modo speculare.
Secondo la teoria, il concetto stesso di tempo è utile su scala umana, ma non esiste a livello fondamentale. Rovelli spiega a proposito:
«È un fenomeno “emergente”. Un po’ come l’acqua, che perde significato a livello microscopico, in quanto l’idea che ne abbiamo emerge dall’insieme di innumerevoli atomi di idrogeno e ossigeno. Allo stesso modo, la struttura più intima della realtà è come una schiuma in perenne mutamento, senza che però si possa definire un tempo unico e universale valido per tutte le sue parti. Se potessimo conoscere esattamente tutte le variabili alla scala subatomica non ci sarebbe il tempo, che in ultima analisi è una conseguenza della nostra ignoranza».
2. Universi paralleli
La scienza ammette la loro esistenza, per lo meno in linea di principio. E presto sarà forse possibile osservarne l’impronta nel cielo.
La teoria degli universi paralleli, o multiverso, è nata in ambito scientifico nel 1957, quando fu avanzata dal fisico americano Hugh Everett III come soluzione ai problemi concettuali aperti dalla meccanica quantistica, la teoria che descrive il mondo microscopico.
Nel regno quantistico, infatti, ogni particella che si trovi a un bivio della sua evoluzione è come se lanciasse una moneta per decidere il suo destino. Secondo l’interpretazione tradizionale, è il caso a determinare che cosa accadrà.
Secondo Everett III, invece, tutte le soluzioni sono possibili in altrettanti mondi paralleli: ci sarà un mondo in cui la particella si evolverà come se fosse uscito “testa”, e uno in cui lo farà come se fosse uscito “croce”.
Questa interpretazione non è stata finora smentita da nessuno: resta un problema aperto, anche se molti la considerano più una questione filosofica che scientifica.
C’è però un altro tipo di multiverso che si è affermato in tempi più recenti, quando ci si è posti il problema di spiegare la ragione dell’uniformità del cosmo.
In qualsiasi direzione puntino i nostri telescopi, infatti, osservano più o meno le stesse proprietà, anche tra regioni che sono troppo distanti tra loro per aver avuto il tempo – dal Big Bang a oggi – di mettersi in contatto termico.
Sarebbe come prendere due bicchieri di tè, uno in Canada e uno in Marocco, e scoprire che hanno esattamente la stessa temperatura: può essere un caso ma è improbabile.
Per spiegare questo mistero, l’ipotesi ritenuta più plausibile è che, nelle primissime fasi della sua vita, l’universo si sia espanso in modo ultrarapido (i due bicchieri, nella metafora, erano originariamente a contatto), con un processo chiamato “inflazione”.
Quest’idea ha ricevuto importanti conferme dalle osservazioni sulla radiazione cosmica di fondo, residuo del Big Bang. Ma la teoria prevede anche l’esistenza di universi paralleli.
L’inflazione, infatti, sarebbe stata generata da un brusco cambiamento di struttura del vuoto: così come in una pentola d’acqua sul fuoco si formano nel liquido bolle di vapore, allo stesso modo nell’universo primordiale si sarebbero create innumerevoli “bolle” di universi in espansione, tra cui il nostro.
In molti hanno accusato queste teorie di fare previsioni impossibili da verificare.
Ma le osservazioni sempre più sofisticate sulla radiazione di fondo, e in particolare quelle annunciate dai ricercatori dell’esperimento Bicep2 nel marzo del 2014 – che avrebbero rilevato l’impronta delle onde gravitazionali liberate dall’inflazione – hanno riacceso la speranza di chi vorrebbe dare una risposta, seppur indiretta, a queste domande.
I risultati di Bicep2 sono stati messi in discussione. Ma la questione è aperta, e già si attendono i prossimi dati, quelli dell’esperimento Planck, che potrebbero gettare nuova luce sulle primissime fasi di vita dell’universo.
3. Siamo soli nell'Universo?
La scoperta di esseri viventi extraterrestri è ormai alla portata dei nostri strumenti.
Non manca molto: tra non più di due decenni, grazie ai progressi dei telescopi spaziali, potremmo scoprire qualche forma di vita aliena al di fuori del nostro sistema solare.
La ricerca sui pianeti simili alla Terra, infatti, sta proseguendo con ottimi risultati.
Dei quasi 2.000 esopianeti finora conosciuti (ma il loro numero aumenta rapidamente), 21 – di cui almeno 5 con dimensioni di poco superiori a quelle della Terra – si trovano nella cosiddetta “zona abitabile”, la regione attorno a una stella dove è teoricamente possibile per un pianeta mantenere acqua liquida sulla sua superficie.
Già questo è un buon risultato, ma non basta. Perché su un pianeta si sviluppi la vita, deve esserci pure un’atmosfera abbastanza densa, una coltre di ozono che protegga la sua superficie dai raggi UV, ed è necessario che le condizioni ambientali si mantengano stabili a lungo.
Occorrono infatti centinaia di milioni di anni per permettere lo sviluppo di forme di vita a partire dagli ingredienti di base, che risultano essere abbastanza comuni nel cosmo: sono più di 220 le molecole complesse formate da 2 fino a 70 atomi, molte delle quali con almeno un atomo di carbonio, osservate nelle comete, nelle meteoriti, nel mezzo interstellare e in altre galassie.
Tra queste ci sono molte molecole organiche come il benzene, l’alcol etilico, l’acido acetico, l’urea. Per non parlare dei cosiddetti idrocarburi policiclici aromatici (PAH), catene molecolari che potrebbero costituire il 20% del carbonio esistente e che si pensa svolgano un ruolo importante per lo sviluppo della vita.
Ci sono perfino indizi che la glicina, il più semplice degli aminoacidi, sia presente non solo nello spazio interplanetario (dove è stata trovata dalla sonda Stardust della Nasa), ma anche in quello interstellare.
Gli ingredienti indispensabili, insomma, sono sparsi ovunque. Quello che ancora non si sa è come, e dove, possa scoccare la scintilla della vita.
4. Come finirà l’Universo?
L’espansione attuale continuerà (si pensa) in futuro. Ma potrebbe accelerare in modo “esplosivo”.
Attualmente, non ci sono dubbi, l’universo si sta espandendo. E fino a una ventina di anni fa si pensava che ci fossero due alternative possibili.
Se la densità media fosse stata maggiore di un certo valore critico, allora l’attrazione gravitazionale tra le stelle sarebbe stata sufficiente a contrastare l’espansione: alla lunga l’universo sarebbe collassato su se stesso generando un Big Crunch (“Grande collasso”).
Se invece la densità fosse stata inferiore o pari a quella critica, avrebbe continuato a espandersi sempre di più, finché tutte le stelle fossero morte e le galassie dissolte. Un simile scenario è detto Big Freeze (“Grande gelo”).
In entrambi i casi ci si aspettava che la gravità, essendo una forza attrattiva, avrebbe rallentato l’espansione in corso. E invece, nel 1998, osservando l’esplosione di alcune stelle (supernovae) lontane, si è scoperto che sta accadendo il contrario: l’espansione sta accelerando.
La “colpa” è stata attribuita a un’entità misteriosa, denominata “energia oscura” dato che non si ha idea di cosa si tratti.
Si sa, però, che è l’ingrediente fondamentale dell’universo, in quanto ne costituisce il 68,3%, contro il 4,9% della materia ordinaria (composta da atomi e altre particelle), mentre il resto è costituito dall’altrettanto misteriosa “materia oscura”.
Il risultato di questa spinta espansiva è, comunque, chiaro: l’universo si avvierebbe verso un Big Freeze. Se la spinta repulsiva dovesse aumentare ulteriormente, come prevedono alcuni, le conseguenze sarebbero ancora più drastiche: si disgregherebbero prima le galassie, poi le stelle, i pianeti, e alla fine gli stessi atomi.
La materia si smembrerebbe nelle sue componenti più fondamentali, ciascuna delle quali rimarrebbe isolata dalle altre. Questa ipotesi è nota come Big Rip, la “Grande lacerazione”. Unica consolazione: tutto questo avverrebbe tra molti miliardi di anni.
5. La massa mancante
Solo una piccola parte delle galassie è costituita da particelle a noi note. Il resto è fatto di un’entità “oscura”.
L’universo gioca a nascondino con noi, e per ora sta vincendo.
La materia che vediamo, infatti, è solo una piccola parte di quella di cui è fatto il cosmo: il resto non riusciamo a vederlo.
Ce lo dicono tante cose, ma la prova decisiva viene dalle galassie a spirale: al loro interno, infatti, le stelle più lontane dal nucleo orbitano più o meno alla stessa velocità di quelle più centrali.
Eppure noi vediamo molte più stelle (cioè più massa) nel nucleo, dove quindi la gravità dovrebbe essere più forte e far orbitare le stelle più velocemente.
La spiegazione più logica di questo mistero è che attorno alle galassie ci sia un alone di massa che non si vede, ma che fa sentire la sua gravità: questa entità è stata chiamata “materia oscura”, e i calcoli dicono che è addirittura l’84% della materia presente nell’universo.
Si pensa che consista di particelle diverse dai “soliti” protoni, neutroni ed elettroni a noi noti. I fisici per il momento le chiamano Wimp (Weakly Interacting Massive Particles, cioè “particelle con massa poco interagenti”), perché questi presunti corpuscoli non emettono (né riflettono) luce e attraversano come fantasmi la materia ordinaria.
Ogni tanto, però, qualche rara collisione potrebbe esserci, e vari esperimenti in tutto il mondo (in Italia, nei laboratori del Gran Sasso) cercano di “fotografare” questi eventi per capire qualcosa sulle Wimp.
Per ora non c’è riuscito nessuno, e non manca chi crede che si tratti di un abbaglio. Secondo il fisico israeliano Mordehai Milgrom, per esempio, la materia oscura non esiste affatto: è la gravità che bisognerebbe riscrivere. Ai margini delle galassie, secondo lui, questa forza sarebbe più intensa di quanto dicono le attuali teorie.