5 cervelli umani superstiti del passato: che cosa possono raccontarci?

Quando moriamo, la natura non perde tempo nel disfarsi di noi. In pochi minuti, gli enzimi lavorano sui nostri tessuti distruggendo proteine e grassi.

Non molto dopo, i microbi che un tempo abitavano nella nostra pancia, si muovono nell’organismo, attraverso il sangue, e cominciano il processo di putrefazione e liquefazione del corpo.

I nostri tessuti molli in genere spariscono completamente entro cinque o dieci anni lasciando solo ossa e spazi vuoti. Che poi sono esattamente quello che gli archeologi si aspettano di trovare quando scoprono resti umani.

Ecco perché, se un archeologo scopre un cranio, l’ultima cosa che si aspetta di trovare è un cervello. E invece può succedere. Quando le condizioni sono favorevoli, se magari la morte avviene in condizioni particolari, il cervello può mantenersi per centinaia e addirittura migliaia di anni.

Può essere disseccato, cerato, fragile o vitreo, ma le strutture chiave, come per esempio il tronco encefalico, le caratteristiche scanalature e pieghe del tessuto cerebrale e anche alcune delle antiche proteine, possono preservarsi perfino per diversi secoli.

Alcuni studiosi pensano che il cervello umano si conservi più spesso di quanto ci aspettiamo, ma non sempre gli archeologi hanno l ’esperienza necessaria per riconoscerlo e preservarlo.

“Adesso che ci sono molti studi a riguardo, crescerà il numero di quelli che verranno alla luce e potremo sistemarli in una scala temporale e analizzarli”, dice il neurologo Axel Petzold che ha lavorato sul cervello dell’uomo decapitato nello Yorkshire.

Ma che cosa ci possono rivelare i cervelli superstiti riguardo al corpo di cui un tempo facevano parte? Possono aiutarci a scoprire qualche segreto che non ci aspettiamo? O risolvere morti e crimini misteriosi?

Ma c’è un’intrigante domanda in più: come hanno fatto queste masse di tessuto grasso a resistere alla devastazione del tempo? Scopriamolo insieme.

 

1. CONGELATO NEL TEMPO

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ETÀ: 5300 ANNI
LUOGO: Alpi tirolesi, Austria
SCOPERTO NEL 1991

Considerata un fenomeno da Guinness dei primati per il suo stato di conservazione, la mummia trovata ai piedi del ghiacciaio del Similaun è stata soprannominata Ötzi. Ha trascorso gli ultimi 5300 anni in vetta alle Alpi tirolesi prima di essere scoperta da una coppia di turisti tedeschi, all’inizio degli anni ’90.

Era così immersa nel ghiaccio che per estrarla è stato necessario un martello pneumatico. Anche se era a metà decomposta, data la sua età, stava bene.

Tanto che gli scienziati sono stati in grado di ricostruire tutto, da quello che aveva mangiato l’ultima volta (carne di stambecco) al fatto che indossava mutande di pelle, fino al suo genoma. Ötzi, però, tenne qualcosa per sé.

Il suo cervello non è mai stato esaminato da mani o occhi umani, ma ne abbiamo conservato scansioni e campioni. Gli scienziati, diretti da William Murphy, dell’Università del Texas, hanno riprodotto l’immagine del cervello con i raggi X e con la TAC, rivelando che si era ristretto, ma preservato grazie all’adipocera, cioè la cera di cadavere.

 

Questa sostanza cerosa si sviluppa nei mesi successivi alla morte, attraverso reazioni chimiche di acqua e grasso. In confronto ad altri tessuti molli in altre parti del corpo, il cervello di Ötzi era preservato meglio, grazie ai maggiori livelli d’acqua che hanno favorito la formazione della cera cadaverica.

“Il fatto che il tessuto cerebrale sia stato trovato in condizioni migliori - scrivono gli scienziati - è dovuto al fatto che esso è stato protetto dalle ossa del cranio all’interno delle quali si è mantenuta una maggiore umidità rispetto al resto del corpo. E proprio questa differenza ha consentito una maggiore formazione di adipocera nel cervello” .

Separatamente, una équipe di scienziati europei ha effettuato piccolissime biopsie dal tessuto del cervello e le ha studiate al microscopio, rilevando strutture simili a neuroni e globuli rossi.

In questo modo ha estratto più di 500 proteine che si erano conservate, alcune delle quali corrispondono alla sequenza genetica della mummia. Inoltre, l’équipe ha rinvenuto numerose proteine collegate allo stress e al sanguinamento.

“Queste proteine - dichiarano i ricercatori - potrebbero supportare la teoria di una ferita alla testa, vicino al punto in cui abbiamo preso i campioni”. E questo ha smontato la teoria precedente, secondo cui Ötzi era morto a causa di una freccia.

 

2. PIENO DI PROTEINE

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ETÀ: 2600 ANNI
LUOGO: Yorkshire (Inghilterra)
SCOPERTO NEL 2008

A volte, luoghi inaspettati nascondono scoperte notevoli, come è stato per esempio il caso di un archeologo che nel 2008 stava lavorando su uno scavo all’Università di York e scoprì un paesaggio agricolo pieno di ceramiche e pietre focaie. La scoperta più sorprendente fu in una fossa umida, segnata da un singolo palo, dove fu rinvenuto il cranio di un uomo decapitato.

Nessimo si accorse che, all’interno della scatola cranica, c’era qualcosa che si muoveva, fino a quando il cranio non venne pulito nella sede del centro archeologico di York.

Sebbene fosse molto disseccato, le ecografie confermarono che si trattava del cervello dell’uomo decapitato. Era un fatto sorprendente, perché le condizioni del teschio non suggerivano in alcun modo che al suo interno si potesse trovare qualcosa.

E infatti nel teschio non c’erano né capelli né tessuti molli. Ma, quando i ricercatori aprirono il teschio, il tessuto cerebrale si rivelò molto acido. Axel Petzold, neurologo alla College University di Londra, era presente e ricorda di aver visto un coltello diventare nero per la corrosione, mentre sezionava il cervello.

 

Una teoria è che la testa della vittima fosse caduta nell’acido. Questo potrebbe spiegare perché le circa 800 proteine che, più in là, Petzold ha estratto dai tessuti fossero così ben conservate. “Nel mio laboratorio - spiega infatti - se voglio conservare le proteine, le metto nell’acido”.

Questa teoria combacia con i risultati pubblicati l’anno scorso, che mostrano come la maggior parte delle proteine della parte esterna del cervello si siano conservate, in confronto a quelle delle parti interne. Il che confermerebbe la presenza di una sostanza acida sconosciuta.

Ma c’è di più: quando l’équipe di Petzold stava cercando di estrarre le proteine, molte di esse sembravano immerse in una sostanza melmosa e insolubile. Successivamente, nei loro esperimenti sulla decomposizione del cervello, i livelli di proteine salivano piuttosto che scendere, come ci si sarebbe aspettati.

Sembrava, insomma, che le proteine si fossero aggregate e che adesso venissero rilasciate. Petzold spiega che i lunghi filamenti nervosi del cervello contengono proteine molto flessibili, che possono appunto mutare forma.

“Pensiamo - dice - che sia questo il modo in cui il cervello si è conservato. Nel corso del tempo, le sue proteine si sono semplicemente aggregate o ripiegate su se stesse” .

Generalmente, esse non si aggregano così, ma le mutazioni in una di queste proteine suggeriscono che l ’uomo decapitato avesse una rara condizione neurologica, chiamata malattia di Alexander, che causa problemi di mobilità e ritardi del linguaggio e anche epilessia.

Questa malattia è anche correlata all’aggregazione delle proteine. Si tratta di un’ipotesi, ma Petzold conferma che questi risultati presentano una possibile spiegazione sul perché l’uomo fosse stato decapitato: i suoi sintomi all’epoca non erano stati capiti e lo avrebbero fatto passare per pazzo.

 

3. DIBATTITO ACCESO

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ETÀ: 1942 ANNI (79 D.C.)
LUOGO: Campania (Italia)
SCOPERTO NEGLI ANNI '60 (il cervello è stato segnalato nel 2020)

Nel primo secolo d.C., la tragica eruzione del Vesuvio devastò la città di Ercolano. In seguito, gli archeologi vi scoprirono 330 corpi e molti altri ne trovarono anche a Pompei e in altri insediamenti romani.

Si trattava prevalentemente di persone decedute sotto le macerie delle loro case, ma una vittima, come un macabro reperto esposto in un museo, fu trovata nell’atto di cercare riparo nel proprio letto.

Il suo cranio appariva distrutto come se fosse stata una ceramica in frantumi, la testa era esplosa a causa del calore dell’eruzione e per la successiva nuvola piroclastica. Questo scheletro fu scoperto negli anni 60, ma ancora oggi sta svelando i suoi segreti.

“Quasi 60 anni dopo - dice Pier Paolo Petrone, ricercatore presso l’Università di Napoli Federico II - durante l’ispezione di un sito, ho visto qualcosa brillare nella polvere vulcanica che riempiva il cranio. Era un materiale nero e vitreo” .

 

Ebbene, quel materiale, incastrato all’interno dei frammenti del cranio, lo portò alla naturale conclusione, trattata in uno studio del 2020, che qualsiasi effetto l’avesse prodotto, doveva essere uscito dalla testa della vittima.

L’équipe di Petrone voleva dimostrare che quei resti erano tessuto cerebrale trasformato in vetro dal calore dell’esplosione. Petrone spiega: “Penso che il cervello sia stato preservato grazie al rapido abbassamento della temperatura, dopo l’elevatissimo calore della prima eruzione”.

La vetrificazione che trasforma il liquido in un solido, ma senza formare cristalli, è anche usata per crioconservare uova congelate, sperma ed embrioni durante i trattamenti di fertilità.

Questo studio ha sollevato obiezioni tra gli archeologi, soprattutto a proposito delle temperature della vetrificazione, ma anche a riguardo delle antiche proteine che l’équipe di Petrone ritiene di aver trovato nel vetro, poiché nessuna di queste combaciava con le proteine trovate nel cervello di Otzi o dell’uomo decapito nello Yorkshire.

Petrone conclude però che la conservazione delle strutture nel cervello antico è comunque eccezionale e dunque potrà essere studiata "a un livello di risoluzione mai visto prima".

 

4. MUMMIE DELLE MONTAGNE

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ETÀ: 500 ANNI
LUOGO: Monti Llullaillaco (Argentina)
SCOPERTO NEL 1999

Sulle vette delle Ande, una combinazione di temperature sotto zero, bassi livelli di ossigeno e umidità possono mummificare in modo naturale coloro che muoiono sulle montagne. Queste condizioni difficili, però, hanno contribuito alla straordinaria conservazione di tre bambini congelati, sacrificati dagli Incas.

Dopo che sono stati scoperti nel 1999, gli scienziati li hanno avvolti in plastica dentro congelatori individuali, per mantenerne l’umidità e per evitare che si disintegrassero.

Secondo i primi rilievi, i bambini, due femmine e un maschio, furono congelati subito dopo la morte, fermando il processo di decomposizione prima che potesse prendere il sopravvento.

Nel 2016, l’esploratore Johan Reinhard ha descritto la sua sorpresa quando ha spostato la coperta che copriva la testa della bambina più piccola. “Nessuno di noi si aspettava di vedere la sua faccia. Soprattutto di vedere un’espressione pensierosa” , ha scritto.

 

Quasi tutti gli organi dei bambini erano visibili nelle scansioni e c’era ancora sangue nel cuore e nei polmoni, al punto che queste mummie vengono considerate come le meglio preservate che siano mai state trovate. Nonostante questo, nessuno ha mai preso campioni del loro cervello.

Solo nel 2003, un’équipe, di cui faceva parte anche Reinhard, ha pubblicato le loro TAC cerebrali. Gli spazi all’interno del cranio hanno dimostrato che i cervelli si erano ridotti (proprio come quello di Otzi, ma forse un po’ meno).

Tuttavia, i ricercatori sono stati in grado di distinguere la materia grigia (che contiene i corpi delle cellule neuronali) da quella bianca (che contiene le fibre nervose).

“Il tessuto adiposo dei corpi e la materia bianca erano ben visibili nelle TAC” , hanno scritto, e questo fa pensare che la materia bianca fosse ben visibile per via della reazione della cera cadaverica che, combinata con gli acidi grassi eminerali, si saponifica.

Dalle TAC si deduce che i bambini non sono morti a causa di un trauma cranico, ma che probabilmente sono stati seppelliti vivi o soffocati. Più recentemente, le analisi dei capelli della bambina più grande suggeriscono che sia lei che gli altri siano stati sedati con droga e alcol.

Secondo uno studio del 2015, gli Incas raramente facevano rituali sanguinosi, perché lo scorrere del sangue avrebbe reso il sacrificio incompleto.

 





5. BEN COTTO

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ETÀ: 4000 ANNI
LUOGO: Kiitahya (Turchia dell’Ovest)
SCOPERTO NEL 2010

C'è qualcosa di speciale nel terreno a Seyitömer Höyük in Turchia, spiega il biologo Meric Altinoz. Secondo lui, non è una coincidenza che lo stesso terreno che ha preservato il cervello delle quattro vittime di un incendio dell’Età del bronzo, abbia anche preservato i semi di lenticchie che erano ancora in grado di germinare dopo 4000 anni.

Seyitömer Höyük è un antico tumulo funebre, che si pensa si sia formato sopra il sito di un incendio provocato da un terremoto. Quattro degli scheletri rinvenuti lì erano parzialmente bruciati e avevano il cervello che, in seguito alla frattura della scatola cranica, si era sparso fuori dalla testa.

Anche se adesso lavora nel campo della neurochirurgia, Altinoz faceva parte di un’équipe turca che nel 2014 ha analizzato quei residui organici e il terreno in cui erano sepolti. E questo è il punto più importante, perché si tratta di un’argilla che viene usata nella vicina città di Kutahya nell'industria della ceramica.

Infatti, Altinoz definisce i cervelli raggrinziti e pietrificati di Seyitömer come “bio porcellana”, perché presentano una struttura simile alle ceramiche prodotte nella zona.

 

Il loro contenuto di grasso dimostra una chiara presenza della cera cadaverica, ma, quando i ricercatori hanno osservato con più attenzione la loro composizione, hanno scoperto che essa conteneva alti livelli di minerali alcalini, tra cui potassio e magnesio, presenti nelle argille, e boro, che invece è usato per la smaltatura delle piastrelle, ma anche nella conservazione dei cadaveri.

“C’era ancora più boro di quanto ne fosse utilizzato per la mummificazione del cervello degli antichi Egizi”, dice Altinoz. Invece, mentre l’acqua è importante nella formazione della cera cadaverica o d ell’adipocera, qui c’era solo fuoco.

L’équipe, quindi, teorizza che, subito dopo la morte, il cervello sia stato bruciato nella sua stessa acqua tessutale. Reazioni a una temperatura così alta vengono usate anche in campo industriale per estrarre, dal grasso animale, l’acido stearico, che è il maggior acido grasso che compone l’adipocera.

Inoltre, i minerali trovati nell’argilla in quel particolare terreno hanno contribuito a rendere la cera più dura, ma più facile da scalfire. In merito al boro, anche se è solo un’ipotesi, Altinoz rimane convinto che abbia giocato un ruolo fondamentale nel preservare il cervello e anche i semi (il boro è famoso perché aiuta a non far marcire le piante).

Sfortunatamente, non è stato in grado di raccogliere granché dai semi di lenticchie, perché si ruppe il suo frigorifero e si seccarono così gli ultimi campioni germinati che erano rimasti.

 








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