Dai coniugi Curie e Lavoiser agli amici-colleghi Crick e Watson.
Ecco come certe coppie hanno fatto la storia della scienza tra rivalità, passioni e qualche sgambetto.
1. Antoine Lavoisier e Marie-Anne Paulze, che chimica!
La chimica come la conosciamo oggi ha un padre: Antoine-Laurent de Lavoisier, francese laureato in legge, di professione esattore fiscale, chimico per passione.
Nel 1764, a 21 anni, scrisse il suo primo saggio, grazie al quale quattro anni dopo divenne membro dell'Accademia delle Scienze di Parigi.
Fu proprio lui ad aprire la strada alla chimica moderna, ma non era solo.
Nel 1771 sposò la tredicenne Marie-Anne Pierrette Paulze che si rivelò una collaboratrice coi fiocchi, con una gran voglia di imparare per essere al livello del marito. Con pochi altri allievi, Marie-Anne seguì i corsi di chimica di un collega di Antoine.
Si dedicò al disegno con il pittore Jacques-Louis David (che in seguito avrebbe eseguito un noto ritratto della coppia, v. foto sotto), studiò latino e inglese per tradurre ad Antoine importanti saggi scientifici.
A uno di questi aggiunse una brillante prefazione e varie note. Assisteva il marito negli esperimenti di laboratorio, annotando i risultati, si occupava di pubbliche relazioni nel suo frequentatissimo salotto e disegnava tavole e illustrazioni per i suoi libri.
Le 13 incisioni di rame che compaiono nel Trattato elementare di chimica (1789) recano la firma Paulze Lavoisier Sculpsit. Quando, nel 1794, Lavoisier fu ingiustamente ghigliottinato, lei si adoperò per pubblicare postume le sue Memorie scientifiche.
Poi chiuse con la chimica, ma non con Antoine: risposatasi nel 1804 con il fisico americano Benjamin Thompson conte Rumford, volle chiamarsi Madame Lavoisier de Rumford.
2. Pierre e Marie Curie, legame da Nobel
Si conobbero a Parigi nel 1894, si sposarono nel 1895.
Lui aveva otto anni di più, aveva già fatto scoperte importanti nel campo del magnetismo e della piezoelettricità; capolaboratorio alla Scuola superiore di chimica e fisica industriali, era "un giovane alto, castano e con grandi occhi limpidi", avrebbe scritto poi lei, la polacca Maria Sktodowska, studentessa di fisica alla Sorbona.
A fine 1897, per il suo dottorato in fisica, Marie iniziò a studiare "i raggi uranici"(scoperti dal fisico francese Henri Becquerel nel 1896) con l'aiuto dell'elettrometro, apparecchio inventato da Pierre.
Lavorando insieme in un laboratorio di fortuna, la coppia scoprì due nuovi elementi chimici: polonio e radio.
Per i loro lavori sulla radioattività (termine inventato da Marie, che ideò anche un'unità di misura detta poi curie), nel 1903 vinsero il Nobel per la fisica insieme a Becquerel.
Docente alla Sorbona dal 1905, Pierre ottenne un laboratorio dove continuare gli esperimenti con la moglie. Ignari del rischio, i due lavoravano senza protezione (i testi di Marie, perfino le sue ricette di cucina, sono ancora oggi radioattivi) e al buio osservavano rapiti i bagliori delle provette con il radio.
L'insolita routine matrimoniale fu interrotta nel 1906 con la morte di Pierre investito da una carrozza.
Dovette ricredersi, chi dubitava delle capacità di Marie, come quel giornalista, che le chiese com'era vivere accanto a un genio: lei rispose di chiedere a Pierre.
"Ereditata" la cattedra del marito, fu la prima donna a insegnare alla Sorbona, e la prima a vincere un Nobel per la fisica (la seconda fu la figlia Irène nel 1935) e un altro, per la chimica, nel 1911.
Marie proseguì gli esperimenti e formò molti scienziati, tra cui un'altra coppia d'eccezione: Irène e il marito Frédéric Joliot, scopritori della radioattività artificiale nel 1934, poco prima che lei morisse per danni da radiazioni.
3. Voltaire ed Émilie du Châtelet, colti amanti
Chi fosse lui, è noto; meno conosciuta è lei, la sua musa. Insieme, i due formarono una coppia dall'interscambio proficuo.
Ricevuta un'ottima educazione umanistica, Voltaire fu un vero figlio dei Lumi, filosofo e prolifico scrittore: tragediografo, poeta, storiografo e pure polemista.
Apprezzato, sì, ma non dagli oppositori. Fu così che nel 1727 trascorse qualche settimana alla Bastiglia e che poi, nel 1734, dopo aver suscitato l'ira del re assolutista Luigi XIV con le sue Lettere filosofiche, fuggì da Parigi.
Fu qui che entrò in campo lei, la marchesa Émilie du Châtelet, con cui aveva una relazione: la donna nascose Voltaire nella dimora di Cirey (nell'Alta Marna) di proprietà del marito, uomo che faceva vita a sé.
Voltaire aveva 41 anni, la graziosa marchesa 29. Forte della sua brillante formazione scientifica, Émilie lo iniziò allo studio delle scienze, gli lesse testi in latino e in inglese, gli fece scoprire un fisico allora ignoto.
"Studio la filosofia di Newton sotto gli occhi di Émilie, a mio parere ancor più amabile di Newton", scrisse Voltaire, che aiutò poi la donna nella stesura del suo Elementi della filosofia di Newton (1737) e di altre opere, tra cui una dedicata al filosofo Leibniz.
Insieme, i due lavorarono tra microscopi e telescopi, approfondirono vari temi, fecero esperimenti sulla propagazione del fuoco, scrivendo due saggi indipendenti che presentarono all'Accademia delle Scienze.
Se Voltaire divenne il filosofo che fu, molto lo dovette a lei, che però nel 1746 lo lasciò per un altro. Tre anni dopo, in seguito alla morte di Émilie, lo scrittore, come ultimo tributo alla sua musa, curò la pubblicazione postuma della sua complessa traduzione dei Principia mathematica di Newton.
4. James Watson e Francis Crick con Maurice Wilkins e Rosalind Franklin: la doppia coppia del Dna
II 7 marzo 1953 James Watson e Francis Crick costruirono un modellino in fil di ferro e cartone che fece storia: era la prima rappresentazione della struttura del Dna, tra le maggiori scoperte della biologia del '900.
Il brillante duo era composto dal biochimico americano Watson, 23 anni, e dal biologo molecolare inglese Crick, 35 anni.
Incontratisi a fine 1951 al dipartimento di fisica dell'Università di Cambridge, erano incaricati di studiare l'uno la mioglobina e l'altro l'emoglobina, ma a loro interessava solo la struttura del Dna e volevano scoprirla a ogni costo.
Fu questo forte interesse comune a farne una squadra vincente, con tratti comuni poco edificanti riassunti da Crick così: arroganza giovanile, spregiudicatezza, impazienza.
I due si ammiravano e si criticavano. Il collega, scrisse Watson nel 1968 nel suo Lo doppia elica sui retroscena della ricerca, lo trattava come un fratello minore e non peccava certo di modestia.
A lavorare sul Dna avrebbero dovuto essere due colleghi del King's College di Londra: Rosalind Franklin, biochimica pioniera della cristallografia a raggi X, e Maurice Wilkins, biologo molecolare per cui la collega era solo un'assistente (motivo per cui lei preferiva lavorare da sola).
I due compirono numerosi esperimenti, rallentando la corsa, a differenza di Crick e Watson che per arrivare primi usarono i dati di un rapporto non confidenziale della Franklin, senza avvertirla.
Ne sfruttarono anche un'immagine a raggi X (la cosiddetta Foto 51, foto in alto a sinistra ), che fu mostrata loro segretamente da Wilkins. Da qui la geniale intuizione che portò alla vittoria.
Nel 1962 fu assegnato loro il Nobel della medicina insieme a Wilkins - ma non alla Franklin, morta nel 1958 a 37 anni, e a cui Crick riconobbe il loro debito. Dopo la scoperta il duo prese strade diverse, conservando però l'amicizia.
5. Diderot e d'Alembert, insieme pel l'Encyclopédie
Quando fu completata, nel 1772, la monumentale opera comprendeva 35 volumi (13 di tavole).
Vantava oltre 160 collaboratori, grandi nomi come Voltaire, Rousseau e Montesquieu e molti altri di "tutte le branche dello scibile umano", come scrisse il poliedrico filosofo Denis Diderot, il cui nome è indissolubilmente legato all'Encyclopédie insieme a quello del fisico, matematico e filosofo Jean Le Rond d'Alembert.
Entrambi scrissero testi e revisionarono quelli altrui, il primo nell'area umanistica e il secondo in quella scientifica. Se l'opera vide la luce, gran parte del merito fu loro.
Tutto cominciò nel 1745, quando il libraio André Le Breton volle tradurre e integrare la Cyclopaedia del britannico Ephraim Chambers (1728). Affidò la direzione dei lavori a Diderot, incaricato anche della traduzione, e a d'Alembert.
Dalle loro ambizioni congiunte nacque un'opera nuova: tutta francese, nemica dei pregiudizi, rivoluzionaria e capace di "cambiare il modo di pensare" come dichiarò Diderot.
Il primo volume, del 1751, scatenò la censura dei religiosi: per 24 anni si susseguirono i sequestri. Diderot non si scoraggiò, ma d'Alembert preferì defilarsi.
Due anni dopo lasciò, lamentando pure una scarsa paga. Ad aiutare Diderot a finire il lavoro fu il medico, poco noto, Louis de Jaucourt.
Nella foto sotto, il poliedrico filosofo Denis Diderot (a sinistra) e il fisico, matematico e filosofo Jean Le Rond d'Alembert (a destra).