L’opinione pubblica si appassiona ai delitti difficili da risolvere.
Perché? Perché includono “tutte le passioni umane: rancori, gelosie, vendette, amori”.
Anche la stampa ci mette del suo, assegnando a questi gialli titoli accattivanti: “La belva di via san Gregorio”, “La strage degli innocenti”, “Il cigno nero”, “Il processo dell’Italia Giolittiana”.
Oggi abbiamo scelto cinque processi famosi: alcuni condizionati dalla politica (Murri, Montesi, Cuocolo, Trigona), altri simboli di fenomeni o emergenze sociali osservabili nel Paese: per esempio emigrazione (Fort).
Tutti rimasti nella memoria degli italiani.
1. Per sfuggire ai ricatti del marito, Linda Murri lo fa uccidere
2 SETTEMBRE 1902 via Mazzini 39 (Bologna).
Dalla casa del conte Francesco Bonmartini e della moglie Linda proviene un odore nauseabondo.
Tullio, fratello della donna, non ha le chiavi e chiama la polizia: sul letto c’è il cadavere in decomposizione del conte, ucciso con tredici coltellate.
Nella foto sotto, Linda Murri al braccio del marito Francesco Bonmartini, ucciso nel 1902.
LA STORIA
Per la fama dei personaggi, il delitto ebbe un gran clamore: Tullio e Linda erano figli del clinico Augusto Murri, autorevole rappresentante della cultura laica, e la vittima apparteneva all’aristocrazia terriera veneta.
Presto però Linda si rese conto di aver sposato un uomo rozzo, che, minacciando di trasferirsi a Padova con i figli, chiedeva continui favori al suocero: di essere iscritto a Medicina senza avere il diploma o di diventare suo assistente.
Tullio, legato alla sorella, decise di intervenire: confessò al padre (che lo denunciò) di essersi introdotto in casa con le chiavi di Linda e di avere ucciso il conte.
Anticipato da una campagna dei giornali cattolici contro i socialisti, di cui il giovane Murri era consigliere provinciale, nel 1905 iniziò il processo: dopo 6 mesi di dibattito, 104 udienze, 18 avvocati (per la prima volta anche periti psichiatrici), 420 testimoni, 53 giornalisti, Tullio fu condannato a 30 anni e Linda a 10.
Lei restò in prigione solo otto mesi: il re, grato al padre per avergli curato la figlia, la graziò. Nel 2003 Gianna, figlia di Tullio, rivelò che l’autore del delitto era stato il “biondino”, amante della governante di casa, che aveva confessato sul letto di morte.
La lettera in cui Tullio raccontava la verità era stata distrutta da Linda, mandante dell’omicidio.
2. Coniugi Cuocolo: uccisi in luoghi diversi ma con la stessa arma
6 GIUGNO 1906
Ore 6, Torre del Greco (Napoli): uno spazzino scopre sulla spiaggia il corpo di Gennaro Cuocolo (foto accanto), assassinato a coltellate e bastonate.
Ore 9, Via Nardones 95, Napoli: la domestica trova nuda nel letto Maria Cutinelli, moglie di Cuocolo, uccisa con undici coltellate.
Le autopsie stabiliscono che è stata usata la stessa arma.
LA STORIA
Gennaro, figlio di un ricco commerciante, frequentò malavitosi fin da ragazzo. Quando sposò Maria, prostituta detta ‘a surrentina, si specializzarono in furti in case signorili.
Comandava allora la polizia napoletana il capitano Carlo Fabroni, che istituì una squadra speciale, i “cosacchi”, libera di violare regole e creare prove false pur di debellare i rapporti tra camorra e politica.
Teste principale del caso Cuocolo fu Gennaro Abbatemaggio, detto ‘o cucchiariello, in carcere per furto.
Con la promessa della libertà si dichiarò a conoscenza degli avvenimenti e disse che la condanna a morte di Cuocolo, sospettato d’essere confidente della polizia, era stata decisa la sera prima al ristorante Mimì a mmare vicino al luogo del delitto.
Nel 1911 venne istituito il primo “maxiprocesso” italiano. Gli imputati furono condannati a 354 anni di reclusione. Uno di loro dopo la sentenza si suicidò. Nel 1926 Abbatemaggio ritrattò ma non vi fu revisione processuale. La vicenda ha ispirato poesie, canzoni e film come quello diretto dalla mitica Elvira Notari, Il processo Cuocolo del 1909.
Del 1952 è Processo alla città di Luigi Zampa con Amedeo Nazzari, Paolo Stoppa e Silvana Pampanini. Qua sotto, processo alla camorra sul caso Cuocolo nel 1911-12.
3. La contessa Giulia Trigona fu uccisa dall’amante. Lui si sparò, ma sopravvisse
2 MARZO 1909
Hotel Rebecchino (Roma), ore 12.15. Una cameriera sente gridare nella stanza 8 e spiando dalla serratura vede un uomo che taglia la gola a una donna e si spara.
La donna è la contessa Giulia Trigona, l’uomo il barone Vincenzo Paternò del Cugno.
LA STORIA
Giulia Mastrogiovanni Tasca di Cutò a 18 anni sposò il conte Romualdo Trigona di Sant’Elia. Fu nominata dama di compagnia dalla regina Elena.
Quando il conte intrecciò una relazione con un’attrice della compagnia Scarpetta, lei divenne l’amante del barone Paternò, geloso e violento.
Per tentare una riconciliazione nel marzo 1909 la regina Elena convocò i coniugi Trigona a Roma. Paternò chiese a Giulia un ultimo incontro che le fu fatale.
L’uomo sopravvisse. Nel 1912 fu condannato all’ergastolo. Furono trovate le lettere in cui Giulia gli rivelava notizie compromettenti sui Savoia, con le quali lo spregiudicato barone li ricattava.
Anche se furono distrutte, in prigione Paternò ne rivelò il contenuto al compagno di cella Paolo Schicchi, che una volta libero scrisse un libro sequestrato dai fascisti prima della pubblicazione.
Finì nelle mani di Mussolini che lo sfruttò per tenere sotto scacco il re, il quale concesse la grazia a Paternò per assicurarsene il silenzio. Scarcerato a 62 anni, Paternò sposò la sua domestica da cui ebbe un figlio. Morì nel 1949.
4. Rina Fort l’amante delusa diventa una belva e stermina la famiglia del suo uomo
30 NOVEMBRE 1946
via San Gregorio 40 (Milano). Quando la commessa va a casa del titolare, Giuseppe Ricciardi, a prendere le chiavi del negozio scopre i cadaveri della moglie di lui Franca (40 anni)
e dei loro figli: Giovanni (7 anni), Giuseppina (5), Antonio (10 mesi).
LA STORIA
Fu il Ricciardi a fare il nome di Rina Fort, che dopo 70 ore di interrogatorio confessò.
Nata nel 1915 vicino Pordenone, a 3 anni aveva perso la nonna che l’allevava, a 10 un fulmine distrusse la sua casa, il padre finì in un burrone per aiutarla, un fidanzato morì di tubercolosi, il marito impazzì la notte di nozze.
A Milano nel 1945 divenne commessa di Ricciardi, e poi sua amante. Era sterile e saputo che Franca era incinta, accecata dalla collera entrò in casa, la aggredì con una spranga di ferro, poi colpì i bambini più grandi che la difendevano e il piccolo nel seggiolone.
«Le vittime agonizzavano ancora quando accostai la porta e discesi le scale. Andai a casa, mangiai due uova fritte. La notte non dormii. Il giorno seguente mi recai al lavoro», raccontò.
Il processo iniziò a gennaio 1950. Così la descrisse lo scrittore Dino Buzzati sul Corriere della Sera: «Ha un paltò nero, un poco infagottato. Una sciarpa di lana gialla, gettata sulla spalla, le copre metà faccia. Tiene la testa china e si nasconde gli occhi con le mani, nere per i guanti di filo».
Disse l’avvocato Armando Radice: «Il guanto nero che fascia la sua mano è il rifiuto di ciò che quella mano ha fatto». Condannata all’ergastolo, per placare l’incubo notturno delle voci dei piccoli Ricciardi, cuciva vestitini per l’infanzia.
Graziata nel 1975 dal presidente della Repubblica Leone, cambiò nome e andò a vivere a Firenze. «I bambini non li ho toccati» disse fino all’ultimo. Morì nel 1988, pochi mesi dopo Ricciardi.
5. Wilma Montesi e lo scandalo nella Roma bene degli anni cinquanta
11 APRILE 1953
Torvajanica (Roma). Ore 7.30: un operaio nota un corpo femminile sulla spiaggia con la testa in acqua.
LA STORIA
L’autopsia sul cadavere di Wilma Montesi non accertò l’ora della morte. Fu trovata sabbia nei polmoni e gelato nello stomaco. Non aveva subito violenza né assunto alcol.
La 21enne romana era scomparsa da 48 ore. Bella, legata a un poliziotto, timida, non andava da sola in tram. Poi qualcuno parlò di passione per il lusso e giro di prostituzione. Per spiegare la sua morte si ipotizzò una caduta in mare.
Ma il quotidiano Roma insinuò che si stesse tentando di coprire l’omicida, figlio di un politico. Per la rivista comunista Vie Nuove si trattava di Piero Piccioni, fidanzato dell’attrice Alida Valli e figlio di Attilio, Ministro degli Esteri DC.
Secondo i giornali la ragazza, drogata, era svenuta nella vicina tenuta del marchese Montagna. Creduta morta e abbandonata sulla spiaggia, era annegata.
Intervistate, sue presunte amiche parlarono di orge dal Montagna in cui Piero era coinvolto. Seguirono inchieste e liti nella DC. Attilio Piccioni si dimise, Piero, Montagna e il questore di Roma furono arrestati.
Al processo il marchese disse di non aver mai conosciuto Wilma, Alida Valli confermò che Piccioni in quei giorni era con lei ma un certificato medico che doveva testimoniarlo risultò falso.
Nel 1960 il tribunale assolse con formula piena gli imputati.