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5 “errori di percezione”: come la scienza ha riscritto la nostra visione della terra e dell’universo

zary 9 Giugno 2025
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Per secoli, l’essere umano ha guardato il cielo con meraviglia, interrogandosi sul proprio posto nell’universo.

Il sole che sorge e tramonta, le stelle che sembrano inchiodate a una volta celeste immobile, la sensazione di solidità e immobilità della Terra sotto i nostri piedi: tutto questo ha alimentato, sin dai tempi più antichi, una serie di convinzioni intuitive quanto errate.

Ma se c’è una lezione che la storia della scienza ci insegna con forza, è che ciò che “sembra ovvio” spesso è soltanto un’illusione della nostra percezione. Il mondo, e ancor più l’universo, non è affatto come appare.

Dall’idea che la Terra fosse piatta a quella che fosse al centro del cosmo, fino a credere che il tempo e lo spazio fossero assoluti e immutabili, l’umanità ha costruito elaborate visioni del mondo basandosi sui sensi e sull’esperienza quotidiana.

 

Eppure, proprio queste percezioni si sono rivelate ingannevoli. Solo grazie alla scienza — con il suo metodo paziente, critico, spesso rivoluzionario — siamo riusciti, passo dopo passo, a sollevare il velo dell’illusione e a intravedere la realtà con occhi nuovi.

Ogni epoca ha i suoi dogmi, i suoi limiti cognitivi, le sue false certezze. Ma nel corso della storia, figure visionarie e coraggiose — da Copernico a Galileo, da Newton a Einstein — hanno osato sfidare il senso comune, spesso a costo della propria reputazione, se non della propria vita. Hanno dimostrato che le apparenze possono mentire, e che solo l’osservazione rigorosa, la matematica e l’esperimento possono condurci verso una comprensione più profonda del cosmo.

La nostra visione della realtà è estremamente limitata. Il motivo è semplice: ci siamo evoluti in una pianura africana 3 milioni di anni fa e quindi abbiamo sviluppato sensi necessari per sopravvivere in una pianura africana: occhi che possono vedere abbastanza lontano da individuare un predatore, orecchie abbastanza sensibili da sentire un fruscio nell’erba lunga, ecc.

Per gran parte della storia umana ci siamo dovuti affidare solo a questa nostra capacità naturale di percepire e interpretare il mondo, arrivando a credere in verità assolute che poi si sono rivelate completamente false. Ecco 5 esempi…

1. LA TERRA È PIATTA

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A uno sguardo superficiale, la Terra può davvero sembrare piatta. Le nostre esperienze quotidiane — camminare su un terreno che ci appare stabile, osservare un orizzonte che si estende in linea retta, o vedere le montagne elevarsi come eccezioni locali — rafforzano questa impressione.

Per secoli, questa percezione ha alimentato l’idea, intuitiva ma errata, che vivessimo su una superficie piana. Tuttavia, anche in epoche remote non mancavano indizi osservabili che suggerivano una realtà ben diversa.

Uno dei primi e più accessibili segnali della curvatura terrestre è rappresentato dal modo in cui le navi scompaiono progressivamente all’orizzonte: la parte inferiore sparisce per prima, seguita da quella superiore. Un altro indizio inequivocabile si presenta durante le eclissi lunari, quando la Terra proietta sul suo satellite un’ombra sempre circolare, compatibile solo con un corpo sferico.

Una svolta decisiva nella conferma della sfericità del nostro pianeta si ebbe nel XVI secolo, con la prima circumnavigazione del globo. L’impresa, iniziata dal navigatore portoghese Ferdinando Magellano e completata dopo la sua morte dal basco Juan Sebastián Elcano nel 1521, dimostrò in modo empirico che era possibile viaggiare in una direzione e tornare al punto di partenza: un risultato impossibile da ottenere su un mondo piatto.

Oggi, naturalmente, la prova più diretta e inconfutabile proviene dallo spazio. Le immagini scattate dagli astronauti delle missioni Apollo, in particolare quella iconica della Terra che sorge sull’orizzonte lunare durante la missione Apollo 8, mostrano chiaramente un globo azzurro e sferico. Ma la scienza è andata ben oltre l’osservazione visiva.

Già nel III secolo a.C., il matematico e astronomo greco Eratostene fu in grado di stimare con straordinaria precisione la circonferenza della Terra. Sfruttando le ombre proiettate da due obelischi — uno a Syene (l’odierna Assuan), dove il Sole allo zenit non generava ombre nel giorno del solstizio d’estate, e uno ad Alessandria, dove l’ombra era ben visibile — egli calcolò l’angolo di incidenza dei raggi solari e, conoscendo la distanza tra le due città, applicò un semplice ragionamento geometrico per dedurre la curvatura terrestre.

Il risultato fu sorprendente: una stima della circonferenza pari a circa 39.000 km, molto vicina al valore reale di 40.075 km.

In epoche più recenti, metodi ancora più sofisticati hanno confermato la sfericità del nostro pianeta. Tra questi, l’analisi delle rotte aeree e delle distanze tra città su scala globale ha offerto un’ulteriore verifica geometrica: su una sfera, le distanze tra punti non seguono le stesse regole della geometria piana, e ciò si riflette nei calcoli delle compagnie aeree e nei sistemi GPS.

Persino nella cultura popolare, la comprensione delle geometrie spaziali può offrire spunti scientifici. Il fisico americano Steven Weinberg, nel suo celebre Gravitation and Cosmology (1972), ha ironicamente utilizzato le distanze immaginarie dell’universo narrativo di Tolkien per dimostrare che la Terra di Mezzo non poteva essere piatta, a dimostrazione di come i principi della scienza possano essere applicati anche a mondi fantastici.

In definitiva, l’idea di una Terra piatta rappresenta un classico esempio di errore percettivo, superato grazie al progresso della conoscenza scientifica. Le apparenze possono ingannare, ma la scienza — con il suo rigore e la sua capacità di misurare, verificare e spiegare — ha permesso all’umanità di riconoscere e abbracciare la vera forma del nostro pianeta.

 

2. LE STELLE GIRANO INTORNO ALLA TERRA

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Per l’osservatore terrestre, è naturale percepire il cielo notturno come una cupola rotante, in cui il Sole, la Luna e le stelle sembrano muoversi attorno a una Terra perfettamente immobile.

Questo modello intuitivo, noto come geocentrismo, ha dominato per secoli il pensiero umano, poiché forniva una spiegazione semplice e coerente con l’esperienza sensoriale quotidiana. Tuttavia, la semplicità di questa visione si è rivelata illusoria: la verità è molto più profonda e affascinante.

L’idea che fosse la Terra a muoversi — e non l’universo intero a girare intorno ad essa — trovava inizialmente forti resistenze, in gran parte perché sembrava contraddire ciò che gli esseri umani sperimentano ogni giorno. Se il nostro pianeta si muove davvero, perché non percepiamo questo movimento? Perché non sentiamo il vento sferzare costantemente in direzione opposta? Come possiamo essere in moto se tutto intorno a noi sembra perfettamente fermo?

A queste domande rispose nel XVII secolo Galileo Galilei, uno dei padri fondatori del metodo scientifico moderno. Attraverso il famoso esperimento concettuale del "gran navilio", Galileo mostrò come, all'interno della stiva di una nave che si muove a velocità costante e senza sobbalzi, ogni fenomeno fisico — dal moto degli oggetti al volo di un insetto — si comporta esattamente come se la nave fosse ferma.

Questa intuizione anticipa il principio di relatività galileiana: in un sistema in moto uniforme non esiste alcuna prova interna del movimento stesso. Applicato alla Terra, questo principio spiega perché, pur muovendoci a circa 1.670 km/h all’equatore, non percepiamo tale velocità.

Ma oltre alla teoria, vi sono anche prove fisiche concrete. Una di esse proviene dallo studio delle deviazioni delle traiettorie dei proiettili a lungo raggio. Durante il XIX secolo, l’artiglieria militare notò che i proiettili venivano deviati: verso destra nell’emisfero nord, verso sinistra in quello sud. Questo effetto, noto come forza di Coriolis, si verifica perché la Terra ruota e le diverse latitudini si muovono a velocità angolari diverse.

Ad esempio, un proiettile sparato verso nord da una zona equatoriale mantiene la velocità di rotazione della zona di partenza, che è maggiore rispetto a quella delle latitudini più settentrionali. Il risultato osservato da terra è una deviazione apparente verso est.

Una dimostrazione ancora più elegante e visivamente potente fu fornita nel 1851 dal fisico francese Léon Foucault, con l’ideazione dell’omonimo pendolo. Installato sotto la cupola del Pantheon di Parigi, il dispositivo consisteva in una pesante sfera metallica sospesa da un lungo filo d’acciaio, libera di oscillare in qualsiasi direzione.

Col passare delle ore, il piano di oscillazione sembrava lentamente ruotare, ma in realtà era la Terra a ruotare sotto di esso. Questo esperimento fornì una prova tangibile della rotazione terrestre, accessibile all’osservazione pubblica e ripetibile in qualsiasi parte del globo.

Tuttavia, la conferma definitiva è arrivata in epoca moderna, grazie all’osservazione diretta del nostro pianeta dallo spazio. Le riprese satellitari e le immagini delle missioni orbitali mostrano inequivocabilmente la Terra che ruota lentamente su se stessa nello spazio profondo. Non si tratta più di una teoria da dimostrare, ma di un fatto osservabile con gli strumenti della tecnologia contemporanea.

In conclusione, la percezione che le stelle ruotino attorno a una Terra statica è una delle tante illusioni che il nostro cervello costruisce sulla base dei sensi. Solo attraverso la scienza — con la sua capacità di indagare oltre l’apparenza — è stato possibile svelare la realtà: è la Terra a muoversi, immersa in un cosmo in perenne dinamismo.

 

3. IL TEMPO SCORRE UGUALE PER TUTTI

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L’idea che il tempo scorra in modo uniforme per tutti — ovunque e in qualsiasi condizione — appare intuitivamente corretta. Sincronizziamo gli orologi, li confrontiamo dopo qualche ora o giorno, e verifichiamo che marcino lo stesso trascorrere dei minuti.

Tutto sembra suggerire che il tempo sia una costante universale, un flusso omogeneo che avanza per ogni osservatore allo stesso ritmo. Ma questa è solo una percezione limitata, influenzata dal nostro vivere quotidiano in un ambiente a bassa velocità e in un campo gravitazionale relativamente debole.

Quando si esce dai confini del nostro mondo ordinario e si entra nel dominio delle alte velocità o delle forti gravità, la realtà si rivela profondamente diversa. È la teoria della relatività di Albert Einstein, formulata nel 1905 e ampliata nel 1915, ad aver stravolto la nostra concezione del tempo, mostrando che esso è tutt’altro che assoluto: è relativo all’osservatore e al contesto fisico in cui si trova.

La relatività ristretta, enunciata nel 1905, si basa su un principio fondamentale: la velocità della luce nel vuoto è costante e identica per tutti gli osservatori, indipendentemente dal loro stato di moto. Perché questa costanza sia rispettata, lo spazio e il tempo devono adattarsi: al crescere della velocità di un corpo, il tempo rallenta rispetto a quello di un osservatore in quiete.

Questo fenomeno prende il nome di dilatazione del tempo. In altre parole, un orologio in movimento ticchetta più lentamente rispetto a uno fermo, dal punto di vista di un osservatore esterno. Più ci si avvicina alla velocità della luce, più marcata diventa questa differenza.

Ma non è solo la velocità a influenzare il tempo. Dieci anni dopo, con la formulazione della relatività generale, Einstein dimostrò che anche la gravità gioca un ruolo cruciale nel modellare lo scorrere del tempo. La presenza di una massa — come quella della Terra, di un pianeta o di una stella — deforma lo spazio-tempo circostante. Questa curvatura fa sì che il tempo, in prossimità di un corpo massivo, scorra più lentamente rispetto a zone dove la gravità è più debole.

Per comprendere visivamente questo effetto, immaginiamo un orologio basato su impulsi di luce: un raggio laser rimbalza tra due specchi paralleli, generando un “tic” ogni volta che colpisce una delle superfici. In assenza di gravità, la luce segue una traiettoria lineare, e il ticchettio avviene a intervalli regolari.

Tuttavia, in presenza di un campo gravitazionale intenso — come sulla superficie terrestre — lo spazio-tempo si incurva. Di conseguenza, la luce deve percorrere una traiettoria più complessa, e i “tic” avvengono con minore frequenza. Il tempo, in sostanza, rallenta.

Questi fenomeni non sono semplici teorie speculative. Sono stati confermati sperimentalmente con precisione estrema. I satelliti del sistema GPS, ad esempio, devono correggere continuamente i loro orologi per tener conto sia della velocità orbitale (che causa dilatazione temporale) sia della minore gravità rispetto alla superficie terrestre (che, al contrario, fa "accelerare" il tempo). Senza queste correzioni, le misurazioni di posizione sarebbero imprecise nel giro di pochi minuti.

In definitiva, la nozione che il tempo sia un’entità universale e immutabile appartiene al pensiero pre-relativistico. La fisica moderna ci insegna che il tempo è fluido, plastico, legato alla velocità e alla gravità. Viviamo in un universo in cui il tempo non è un fiume che scorre identico per tutti, ma un tessuto che si tende e si rilassa, modificando il suo ritmo in base alle condizioni fisiche del cosmo.

4. LA LUNA NON CADE

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A un primo sguardo, può sembrare che la Luna sfidi ogni legge naturale sospesa lì, nel cielo, immobile nella sua orbita. Perché non precipita sulla Terra, come farebbe qualsiasi oggetto lasciato libero in prossimità del nostro pianeta? La risposta è tanto sorprendente quanto illuminante: la Luna sta cadendo — ma non nel modo in cui siamo abituati a concepire la caduta.

Questa intuizione straordinaria si deve al genio di Isaac Newton, il padre della fisica moderna, che nel XVII secolo trasformò il modo in cui comprendiamo il moto dei corpi celesti. Per spiegare l’orbita lunare, Newton immaginò un esperimento mentale: un cannone posto sulla cima di una montagna che spara un proiettile orizzontalmente.

Se la velocità del proiettile è moderata, esso seguirà una traiettoria curva e cadrà al suolo, come accade normalmente sulla Terra. Ma cosa accadrebbe se aumentassimo progressivamente la velocità del proiettile? Newton ipotizzò che, sparando con sufficiente potenza, il proiettile continuerebbe a cadere verso il suolo... ma senza mai raggiungerlo. Perché?

Perché la superficie terrestre si incurva sotto di esso allo stesso ritmo con cui il proiettile cade. A una velocità di circa 28.000 km/h (circa 7,8 km/s), il corpo entra in orbita: inizia a cadere in cerchio. È questa l’essenza dell’orbita. Un corpo in orbita non sfugge alla gravità: è in costante caduta libera, ma la sua traiettoria curva fa sì che continui a “mancare” la Terra.

Lo stesso accade alla Luna. Essa non è sospesa in equilibrio magico né è priva di peso. È intrappolata dalla gravità terrestre, ma si muove a una velocità tale da “curvare” costantemente attorno al nostro pianeta. Non cade perché è in perenne caduta libera, seguendo una traiettoria chiusa che noi chiamiamo orbita.

Questa condizione — la caduta continua che dà origine all’assenza di peso apparente — è la stessa vissuta dagli astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Contrariamente a quanto si crede comunemente, gli astronauti non fluttuano nello spazio perché sono lontani dalla Terra (la ISS orbita a soli 400 km di altitudine, dove la gravità terrestre è ancora circa l’89% di quella al suolo), ma perché, come la Luna, stanno cadendo.

Anche loro viaggiano a una velocità sufficiente da far sì che la traiettoria della loro caduta segua la curvatura terrestre. È come essere in un ascensore il cui cavo si sia spezzato: durante la caduta libera, non si percepisce il proprio peso, almeno fino al momento dell’impatto — che nello spazio, fortunatamente, non arriva mai.

L’intuizione di Newton ha reso possibile non solo la comprensione del moto lunare, ma anche l’intera scienza dell’astronautica. Ha spostato il concetto di “caduta” da fenomeno verticale e lineare a movimento orbitale curvo, rivelando che le stesse leggi che fanno cadere una mela valgono anche per i corpi celesti. In questo modo, la Luna non è un’eccezione alla gravità, ma una delle sue più poetiche manifestazioni.

 





5. GLI ANIMALI SONO PROGETTATI PER SOPRAVVIVERE NEI LORO HABITAT

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È facile guardare alla natura e scorgervi l’ombra di un disegno. Lo squalo, con la sua forma affusolata e le sue mandibole perfette per la predazione, sembra concepito per dominare le acque. Il pino, con i suoi rami inclinati e gli aghi resistenti, appare come l’albero ideale per affrontare la rigidità invernale delle montagne.

Le creature viventi sembrano scolpite su misura per i loro ambienti, come se fossero il prodotto raffinato di un progetto preciso e intenzionale. Questa impressione, così intuitiva, è anche profondamente fuorviante.

Nel suo influente saggio L’orologiaio cieco (1986), il biologo evoluzionista Richard Dawkins (foto sotto) ha sintetizzato in modo memorabile questa illusione: «La biologia è lo studio di cose complesse che danno l’impressione di essere state progettate per uno scopo». Il punto è proprio quell’impressione. Ciò che sembra il frutto di un’intelligenza, in realtà, è il risultato di un processo impersonale e cieco: l’evoluzione per selezione naturale.

La realtà è ben diversa da quella raccontata dai miti della creazione. Non c’è un disegno preesistente, ma un incessante processo di tentativi casuali. La materia prima di questa dinamica sono le mutazioni genetiche: piccole variazioni nel DNA che emergono in ogni generazione.

La maggior parte di esse non porta alcun beneficio — anzi, spesso compromettono la sopravvivenza dell’organismo, che soccombe prima ancora di riprodursi. Solo una minima parte conferisce vantaggi, permettendo agli individui che ne sono portatori di vivere abbastanza a lungo da trasmettere i propri geni.

È un processo brutale, sì, ma straordinariamente efficace. Per comprenderlo, immaginate una fabbrica che produce chiavi completamente a caso. Migliaia, milioni di chiavi diverse — e solo pochissime riescono, per puro caso, ad aprire una determinata serratura. Quelle fortunate che ci riescono non sono state progettate per quella toppa: semplicemente, si adattano.

Eppure, osservandole nel loro funzionamento, potremmo essere tentati di pensare il contrario. Lo stesso accade in natura: gli organismi che vediamo oggi non sono il risultato di un progetto intelligente, ma i superstiti fortuiti di un immenso archivio di tentativi falliti.

L’illusione del disegno è talmente potente che ancora oggi molte persone, influenzate da una visione teleologica della realtà — cioè orientata verso un fine — rifiutano l’idea che l’evoluzione sia sufficiente a spiegare la complessità del vivente.

Dawkins, con una punta di ironia, osserva: «È quasi come se il cervello umano fosse stato progettato appositamente per fraintendere il darwinismo e trovarlo difficile da credere». La nostra mente è, infatti, naturalmente incline a cercare intenzioni e significati dietro ogni forma complessa, anche quando non ce ne sono.

Ma proprio questa difficoltà rende la scoperta dell’evoluzione ancora più affascinante. Non è necessario un architetto per costruire meraviglie. La selezione naturale, agendo per millenni, ha modellato la vita con pazienza e indifferenza, producendo adattamenti raffinati senza sapere cosa stava facendo. E ciò che ci appare come un disegno è, in realtà, il riflesso di una lunga storia di sopravvivenza.

 








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